Gli errori politici della Francia e del Regno Unito, e più in generale degli “Occidentali”, sono stati così evidenti che Barack Obama, commentando il suo mandato presidenziale, ha parlato della Libia come del dossier gestito nel modo peggiore. “Il mio errore peggiore? Probabilmente sbagliare nel pianificare la cosa giusta da fare intervenendo in Libia”. Il caos nella lunga transizione della Libia post-Gheddafi arriva oggi fino al cuore dell’Europa: oltre ai pericolosi “spazi” di manovra concessi ai miliziani dell’Isis, le coste libiche sono sostanzialmente alla mercé dei trafficanti di uomini che fanno partire migliaia di migranti alla volta dell’Europa senza alcun controllo.
«Gli errori nella “questione libica” sono una lezione per il futuro e per tutti i leader che si occupano di politica estera. Non è bastato l’Iraq per capire i rischi di un’operazione che prevede solo la distruzione di una struttura statale, anche se si tratta di una dittatura, senza accompagnare un percorso programmato di “state building”», inquadra così la questione il generale Leonardo Tricarico, presidente della Fondazione Icsa (Intelligence, culture and strategic analysis), ex Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica Militare e già Comandante della 5^ Forza Aerea Tattica Alleata della Nato.
Generale Tricarico, Obama nella sua intervista a The Atlantic addossa le colpe in particolare agli alleati europei, accusandoli di “opportunismo”.
«Washington non è immune da tutte le responsabilità: ha scelto fin da subito la strategia del “leading from behind”, cioè quella di guidare da dietro le quinte il cambio di regime, ma ha depotenziato troppo presto l’azione e la direzione dell’intervento. Mi auguro che gli americani non debbano pentirsi ancora in misura maggiore degli errori che hanno compiuto nello scacchiere mediorientale. D’altronde il riordino della politica estera e di difesa americana sta privilegiando nell’area mediterranea le dinamiche “Est-Ovest”, trascurando quelle “Nord-Sud”. Si stanno interessando più alla questione russo-ucraina, e al posizionamento dei paesi dell’Est dell’Europa e baltici rispetto alla Russia, piuttosto che al caos geopolitico nel Mare Nostrum».
La Camera dei Rappresentanti di Tobruk ha nuovamente fatto saltare il voto di fiducia al governo di unità nazionale di Fayez al-Sarraj. Quali sono i nostri punti fermi in Libia nel quadro dell’agenda mediorientale?
«I nostri servizi e la nostra rete diplomatica sono attivissimi sul “fronte al-Sarraj”. In questi mesi abbiamo messo a “sistema” tutte le storiche entrature e reti di relazione che abbiamo sul posto: un patrimonio di contatti e capacità di mediazione che altri paesi non hanno. La nostra missione è quella di “stabilizzare” a tutti i costi il governo, in modo da avere un interlocutore affidabile per gli affari energetici e la questione gigantesca dei flussi di migranti che partono proprio dalle coste libiche. I primi a subire le conseguenze di un fallimento di Fayez al-Sarraj siamo noi italiani».
Quale sarà il ruolo dell’Italia nella Libia post-accordo di unità nazionale?
«Posso dirle quello che è un dato di fatto: i libici non vogliono “stranieri” in casa loro. Vogliono una interlocuzione con la comunità internazionale, e di questo si occupa l’inviato Onu Martin Kobler, e sostegno dagli italiani. Aiuti, addestramento delle truppe, mezzi, ma non forze combattenti. I libici hanno l’obiettivo prioritario di bonificare il proprio territorio dall’Isis ma rifiuteranno chiunque metta gli scarponi militari sul terreno. Ci dirà il nuovo governo libico cosa vuole dall’Italia. Potranno chiederci una forza di stabilizzazione, supporto nella sorveglianza armata per alcuni siti, know-how militare. Tutto da decidere però assieme ai libici».
Chi c’è sul “campo” in Libia, oltre alle tribù locali, con cui rapportarsi?
«Fayez al-Sarraj può contare sulla fazione di Misurata, circa 40 mila uomini, discretamente armati e addestrati. Noi abbiamo, come detto, buone entrature a tutti i livelli. Basti pensare alla struttura dell’Eni nel paese, o di Finmeccanica, che fino a poco tempo fa operava con i suoi addetti in un aeroporto vicino a Tripoli per la manutenzione degli elicotteri. Entrature da “rispolverare” e far ri-funzionare. L’obiettivo strategico per ricomporre tutti i nostri interessi nazionali, in loco e legati all’immigrazione, è chiaro: dobbiamo farci promotori di una pacificazione generale».
Potremo controllare in modo più diretto i territori dove operano i trafficanti di uomini?
«Dobbiamo riprendere un progetto datato 15 febbraio 2012, che Finmeccanica propose al governo libico e che lo stesso Fayez al-Sarraj conosce bene. Si tratta di un controllo straordinario del territorio libico e delle sue frontiere. Droni più sistemi satellitari da utilizzare in modo congiunto per “mappare” tutta la Libia, con una ricognizione puntuale di tutti i movimenti, da quelli migratori a quelli legati alla lotta antiterrorismo».
In questa fase di caos un progetto così “sensibile” è attuabile in tempi ragionevoli?
«Sul versante libico ci sono analisti in grado di utilizzare questi strumenti, ovviamente affiancati dagli italiani, per esempio dalla nostra Aereonautica nell’uso dei droni. All’epoca i droni sarebbero serviti ai libici anche per monitorare la frontiera a Sud, oggi il progetto sarebbe a vantaggio anche dell’Europa per controllare le coste e le partenze dei barconi».
I satelliti sarebbero gestiti solo dagli italiani?
«Abbiamo a disposizione la tecnologia di Cosmo-SkyMed (Constellation of small Satellites for Mediterranean basin Observation), realizzato da Thales Alenia Space in collaborazione con l’Agenzia Spaziale e dal Ministero della Difesa. È considerato il miglior sistema satellitare di controllo del territorio al mondo. Non è intercettabile da nessuno, potrebbe “mappare” la Libia 4/5 volte al giorno, ed è in grado di individuare anche le impronte di un cammello. Lavora sui cambiamenti di mappa – la cosiddetta “change detection”- e in caso di movimenti particolari fa arrivare i droni sul posto».
Intervista a cura di Luigi Marcadella
Giornalista e notista di politica estera ed economia internazionale
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