Le elezioni USA del 2024 hanno una particolarità che è avvenuta solo un’altra volta nella storia
elettorale americana: un candidato che si ripresenta per la terza volta dopo aver vinto un’elezione
e perso l’altra. Era il 1892 quando Grover Cleveland, un Democratico, sconfisse Benjamin
Harrison, Presidente Repubblicano uscente che l’aveva a sua volta battuto nel 1888, sebbene solo
nel voto elettorale. Infatti, al contrario di Trump, Cleveland vinse il voto popolare in entrambe le
prime due elezioni (e anche alla terza). A rendere lo scenario attuale ancora più simile a quello, il
fatto che Kamala Harris sia Vicepresidente uscente e quindi abbia avuto anche lei un ruolo
governativo di vertice. Bisogna tornare al 1984 per assistere a una sfida tra due ex inquilini della
Casa Bianca: quella tra il Presidente uscente (il Repubblicano Ronald Reagan, riconfermato) e un
ex Vicepresidente (Il Democratico Walter Mondale).
Le analogie tra Cleveland e Trump risiedono anche nel fatto che sono due dei cinque Presidenti a
essere riusciti a vincere le elezioni perdendo il voto popolare. Tra di essi, Trump ha il record in
termini assoluti con -2,9 milioni di voti alle elezioni del 2016. Eppure, vinse a valanga nel voto
elettorale.
Tra l’altro, è interessante osservare che un candidato Repubblicano ha ottenuto la maggioranza
del voto popolare solo 1 volta nelle ultime 5 elezioni presidenziali (nel 2004, con George W. Bush)
e 2 volte nelle ultime 9 (nel 1988, con George H. W. Bush). Ciò nonostante, ha vinto al voto
elettorale un candidato Repubblicano in 4 di queste 9 elezioni.
Infatti, quelle americane sono di fatto elezioni indirette, essendo in realtà i 538 elettori assegnati da
ogni Stato in numero diverso (in base ai membri del Congresso, più i 3 del D.C.) ad eleggere il
presidente all’interno del Collegio Elettorale. Il candidato che prevale anche di un solo voto in uno
Stato, ottiene tutti gli elettori attribuiti da quello stesso Stato (per esempio, la Florida quest’anno ne
assegna 29, il Nevada 6…). Questo fa sì che la competizione sia determinata dai risultati di pochi
Stati chiave, i cosiddetti “Swing States” perché sono quelli che possono cambiare “colore” da
un’elezione all’altra, a differenza degli altri che restano per lunghi periodi blu (Dem) o rossi (GOP).
Ecco perché è sbagliato osservare i sondaggi a livello nazionale, dove Trump ha comunque
recuperato lo svantaggio dovuto alla novità della candidatura della Harris, superandola
recentemente nella media dei sondaggi di pochi punti percentuali, mentre bisogna analizzare quelli
dei sette Stati chiave, dove Trump è avanti di circa un punto percentuale, sempre nella media dei
sondaggi.
Per questa analisi predittiva pondererò la psefologia al sentiment manifestato dalla società e mi
baserò sui dati del sito RealClearPolling, sia perché raccoglie nella media i sondaggi di tutte le
società e sondaggisti – che per evitare bias vanno comunque soppesati in base al loro indice di
precisione delle ultime due elezioni (quelle in cui si è candidato Trump), sia perché nel 2016 e nel
2020 ho sempre preso come riferimento questo sito per le mie analisi, il che mi permette di
confrontare i dati e i trend in modo più coerente e parallelo.
Innanzitutto, una prima avvisaglia di come si sta muovendo l’elettorato la si può avere
considerando che nel 2020 facevano parte dei battleground States – ovvero Stati considerati in
bilico dai sondaggi (ma anche nel voto) – la Florida e il Texas, mentre quest’anno sono dati come
probabili GOP, con Trump a oltre il +6% di media. Le elezioni USA 2024 si giocano quindi solo in 7
Stati: Arizona, Georgia, Michigan, Nevada, North Carolina, Pennsylvania e Wisconsin.
Un’altra riflessione da fare è sulla divisione dell’elettorato: storicamente la polarizzazione della
politica USA si è incentrata sull’immigrazione e sulla distribuzione della ricchezza e del reddito.
Negli ultimi anni si è aggiunta quella tra zone urbane e rurali, accentuata di anno in anno e che
emergerà duramente anche stavolta. Nelle elezioni del 2016, ho notato che le issues vertevano su
pro/contro immigrazione e pro/contro globalizzazione. Oggi, invece, le divisioni (i cleavages, per
dirla con Rokkan) avvengono in modo più marcato rispetto alle precedenti elezioni sul livello
dell’istruzione e della religione: i non laureati prediligono Trump, i laureati la Harris, mentre c’è una
grande mobilitazione per rivolgersi all’elettorato cattolico ed ebraico, con questioni come l’aborto e
la guerra tra Israele e Hamas (ed Hezbollah) che influenzeranno notevolmente le scelte
dell’elettorato e soprattutto di alcune categorie di elettori. In questo senso, si sta spendendo molto
Robert F. Kennedy Jr. in favore di Trump tra l’elettorato cattolico. Le differenze etniche e di censo
hanno un ruolo elettorale inferiore – ma non secondario – rispetto al passato. Basti pensare che
circa il 18% dell’elettorato afro-americano dichiara di votare per Trump (Mitt Romney nel 2012
contro Obama prese il 6% tra i neri, i sondaggi lo davano addirittura allo 0%!) rispetto al 6-8% del
2016 e al 12% del 2020, mentre il 40% dei latino-americani voterebbe ora per Trump, rispetto al
28% del 2016 e al 32% del 2020. Dall’altra parte, secondo un sondaggio del Financial Times, solo
il 28% degli elettori sostiene di essere stato finanziariamente meglio durante la presidenza Biden
rispetto a quella di Trump, che è il candidato di cui gli americani si fidano maggiormente
sull’economia, il lavoro e il costo della vita. Al contempo, Trump rappresenta anche meglio le classi
più ricche e benestanti e gli interessi delle grandi aziende, potendo attingere quindi a un elettorato
più ampio. In ogni caso, questi due aspetti sono tenere assolutamente in considerazione e in
particolare dai Dem poiché la più penalizzata da questa de-polarizzazione è proprio la Harris, in
quanto le maggiori preoccupazioni degli americani sono rappresentate proprio dall’economia e in
particolare dall’inflazione, mentre gran parte della popolazione degli Stati chiave è costituita da
persone di colore e non avere il loro pieno appoggio può determinare la sconfitta, trattandosi di
Stati dove si vince per qualche migliaio di voti. Un’allarmante contraddizione per una candidata di
colore che fa potente leva proprio su quell’elettorato.
Tenendo presente tutto ciò, si deve entrare nel particolare di ogni Stato chiave per prospettare
come questi temi incideranno nei trend che osserviamo. Partiamo proprio dai primi dati disponibili,
ovvero quelli dei voti anticipati (per posta o in persona), che di solito sono in larga maggioranza
espressi da elettori Dem: i grafici di CNN Politics mostrano come in Arizona, North Carolina e
Nevada ci sia stata una inversione rispetto al 2020, con gli elettori registrati come Repubblicani
che hanno superato quelli registrati come Democratici, mentre in Pennsylvania i primi sono passati
dal 20% al 30%, i secondi dal 70% al 59%. Secondo la mappa di NBC News, che registra non i
numeri delle schede elettorali richieste, bensì i voti effettivamente espressi Stato per Stato, Trump
sarebbe già in vantaggio nei voti anticipati in Arizona, Nevada, North Carolina e Georgia (dove
si sta rilevando un’affluenza altissima), confermando dunque il trend.
Non sono dei dati incoraggianti per Kamala Harris, soprattutto rilevando che nel voto anticipato
rispetto al 2020 sono in crescita gli elettori più anziani, mentre Trump sta puntando sui giovani
bianchi, con ottimi progressi. Questo elettorato potrebbe andare a votare il giorno delle elezioni,
garantendo un’ottima base per mantenere il vantaggio. Ma in tutti i battleground States sono anche
in aumento gli elettori bianchi e in diminuzione i neri, soprattutto in Georgia (dove costituiscono il
30% dell’elettorato), North Carolina e Pennsylvania. Questo è un campanello d’allarme per la
Harris, che sta puntando molto su di loro. Non solo: in Arizona e Nevada, dove i latinoamericani
rappresentano rispettivamente il 30% e il 20% circa dell’elettorato e sono nettamente più numerosi
dei neri, una minore partecipazione di questi ultimi e uno spostamento verso Trump dei primi può
portare a un ribaltamento dei due Stati, sebbene il Nevada sia l’unico degli Swing States in cui
Trump non abbia mai vinto. Mentre la Harris continuerà comunque a vincere tra i giovani e i neri,
ma con un margine inferiore rispetto agli altri candidati Dem, potrebbe perdere invece nel voto
latinoamericano.
Abbiamo detto che quest’anno si assiste però anche alle divisioni su istruzione e religione. Dove
queste si manifestano maggiormente tra i battleground States è nella Rust Belt: in Wisconsin e
Pennsylvania 1 cittadino su 4 è cattolico, in Michigan lo è 1 ogni 5. Ma anche gli Stati chiave della
Sun Belt hanno un’elevata popolazione cattolica: il 25% del Nevada e il 21% dell’Arizona. Robert F.
Kennedy Jr. ha iniziato a diffondere il suo spot a favore di Trump tramite il gruppo conservatore
CatholicVote proprio in Pennsylvania e anche JD Vance sta indirizzando il suo impegno su questo
tema, concentrandosi in questi Stati. In Pennsylvania, lo Stato più importante da vincere e che
nelle ultime 8 elezioni è stato vinto solo da Trump tra i Repubblicani (e solo nel 2016), i cattolici
sono la comunità religiosa più numerosa tra gli elettori, seguiti dai protestanti tradizionali e
protestanti evangelici. Da notare, poi, che circa il 3,3% degli abitanti dello Stato sono ebrei e che
gli ispanici sono aumentati del 10% negli ultimi 3 anni. Ma i veri punti di forza per una vittoria di
Trump in Pennsylvania sono (stati) due, oltre al fatto che Elon Musk sta facendo campagna per lui:
il tentato assassinio al comizio di Butler e la geniale trovata del McDonald’s a Feasterville. E non è
un caso che dopo l’attentato Trump abbia detto di essere stato salvato da Dio…
Nelle ultime 6 elezioni, solo nel 2000 perse il candidato (Al Gore) che ottenne la maggioranza dei
voti dei cattolici, nonostante avesse comunque vinto il voto popolare. Nel 2016 Trump ottenne il
52% dei voti dei cattolici, nel 2020 fu invece Biden a prevalere di 5 punti percentuali. Quest’anno,
secondo un sondaggio del National Catholic Reporter, Trump sarebbe in vantaggio sulla Harris tra
gli elettori cattolici negli Stati chiave per il 50% contro il 45%, in particolare in Wisconsin (+18%) e
in Michigan (+12%). Il sondaggio NCR riflette i risultati del sondaggio condotto dal Pew Research
Center a inizio settembre, che aveva rilevato come il 52% dei cattolici voterebbe per Trump, che
sale al 61% tra i cattolici bianchi. Ma lo stesso sondaggio lo colloca al 61% anche tra i protestanti e
addirittura all’82% tra i bianchi evangelici. Un ottimo presupposto per Trump in Georgia e North
Carolina, dove i protestanti evangelici rappresentano più del 35% della popolazione, ma anche per
la Pennsylvania sommandoli ai cattolici.
Le difficili relazioni di Kamala Harris con i cattolici si sono palesate anche con la sua assenza alla
cena della Alfred E. Smith Memorial Foundation. Ma non se la cava affatto meglio con gli arabo-
americani: secondo un sondaggio dell’Arab American Institute, l’ex presidente Donald Trump e la
vicepresidente Kamala Harris sono virtualmente in parità, rispettivamente con il 42% e il 41%. A
pesare è sicuramente la gestione della crisi a Gaza da parte dell’amministrazione Biden (81% degli
arabo-americani ritiene che Gaza abbia un ruolo importante nel determinare il proprio voto), con la
Harris che rimane 18 punti percentuali al di sotto del livello di sostegno di Biden tra gli elettori
arabo-americani del 2020 (59%). Ma quest’anno solo il 63% si dichiara entusiasta di votare,
mentre l’affluenza di questo gruppo è stata costantemente attorno all’80%: una bassa
partecipazione avrà probabilmente un impatto alle urne. L’identificazione di questi elettori tra
Democratici e Repubblicani è oggi pari al 38%, proseguendo il trend in discesa per i Dem dal 52%
del 2016 e 40% del 2020 e quello in salita del GOP dal 26% del 2016 e 33% del 2020. A
dimostrazione di come si stiano creando due poli corrispondenti, che assumono una maggiore
importanza.
Anche con gli elettori ebrei, storicamente schierati con i Democratici fin dall’amministrazione del
presidente Franklin Delano Roosevelt, Kamal Harris mostra di avere seri problemi: in un sondaggio
pubblicato il 15 ottobre dal gruppo indipendente ebraico non-profit Forward, il 62% degli elettori
ebrei registrati ha dichiarato che avrebbe votato per Harris contro il 31% che ha dichiarato che
avrebbe votato per Trump. Si tratta di un numero significativo, considerando che solitamente
votano Dem tra il 70% e l’80% degli ebrei e che il punteggio più basso da parte di un candidato
Democratico negli ultimi decenni è stato segnato da Obama nel 2012 con il 68%. I numeri
pubblicati dall’American Jewish Population Project della Brandeis University mostrano la
ripartizione degli elettori ebrei in ciascuno dei 7 Stati in bilico: Arizona (113.000), Georgia
(104.000), Michigan (105.000), Nevada (60.000), Carolina del Nord (82.000), Pennsylvania
(300.000-400.000) e Wisconsin (42.000). Ciò significa che Kamala Harris potrebbe perdere fino a
70mila voti in Pennsylvania. Considerato che Trump nel 2020 ha perso lo Stato per meno di 82mila
voti, gli elettori ebrei potrebbero davvero non solo determinare il risultato della Pennsylvania, ma
dell’intera elezione presidenziale 2024.
La divisione sull’istruzione si manifesta ancora di più negli Stati della Rust Belt: i bianchi laureati
sono un terzo dell’elettorato della Pennsylvania e il 30% degli elettori del Michigan. Trump
otterrebbe il 36% di sostegno tra questi elettori in Pennsylvania e il 39% di sostegno in Michigan,
ma è in calo rispettivamente di 8 punti e di 7 punti percentuali rispetto al 2020, secondo un
sondaggio del Wall Street Journal. Per di più, Kamala Harris è in vantaggio di 17 punti tra gli
elettori bianchi laureati nel Michigan – rispetto ai 6 punti di vantaggio del presidente Biden nel 2020
– i quali hanno un elevato tasso di partecipazione: alle elezioni di midterm del 2022, ha votato il
75% degli studenti che erano elettori registrati presso l’ Università del Michigan e la Michigan State
University. Dove gli elettori bianchi laureati sono aumentati in modo ancora maggiore è in
Wisconsin (+4%). Di contro, diminuiscono gli elettori non laureati e nello specifico i bianchi non
laureati. Ciò consente allla Harris di controbilanciare i voti che perde dall’elettorato nero, che a sua
volta è aumentato anch’esso a livello federale. In Pennsylvania, invece, il cambiamento non è così
marcato: un articolo della CNN riporta una analisi del Census Bureau condotta dal demografo
William Frey, il quale ha scoperto che qui la quota di elettori bianchi non laureati è diminuita dal
2020 di circa 1,5 punti percentuali: circa la metà rispetto agli altri due ex Stati del “muro blu” .
Con questi indicatori, è possibile leggere i sondaggi e le medie dei sondaggi di ogni Stato chiave
partendo dai trend e considerando il sentiment e la composizione della società con i relativi
cleavages. La maggiore probabilità è che Trump vinca in North Carolina per la terza volta, seguita
dal capovolgimento di Georgia e Arizona. In questi Stati è sempre stato in vantaggio nelle medie
dei sondaggi contro la Harris. Molto più incerti sono gli altri Stati: in Michigan Trump ha superato
la Harris a inizio ottobre e, sebbene il sondaggio Quinnipiac (che spesso si discosta molto dai
risultati effettivi) abbia fatto calare il trend, Trump si mantiene davanti nella media e il Trafalgar
Group (che si è rivelato il più preciso) lo dà in vantaggio di 2 punti. Resta comunque uno Stato
molto complicato da ribaltare, dovendo Trump recuperare 155mila voti (-2,78%) dal 2020 e avendo
vinto nel 2016 appena di 10mila voti (+0,23%). Il Michigan ospita oltre 200.000 elettori musulmani
registrati. Nell’ultimo anno, il sostegno dei musulmani al Partito Democratico è crollato: in un
recente sondaggio condotto tra il 25 e il 27 agosto, il Council on American Islamic Relations ha
scoperto che in Michigan il 40% di loro voterebbe la candidata del Partito Verde, Jill Stein, il 18%
Trump e solo il 12% la Harris. Si tratta di 12mila voti circa in più per Trump, che sommati ai quasi
20mila che la Harris potrebbe perdere dagli ebrei rende il Michigan più condendibile da quello che
mostrano i sondaggi. In Pennsylvania Trump è stato davanti tutto ottobre e degli ultimi 6 sondaggi
solo uno (Bloomberg Morning Consult) dà la Harris in vantaggio. Kamala Harris potrebbe vincere
in Nevada (per Trafalgar è davanti di 1 punto), dove il voto per prevedere l’aborto come diritto
costituzionale dello Stato potrebbe far pendere la corsa verso la Harris, considerando anche che
nel 2016 la Clinton vinse (+2,4%) nonostante Trump fosse davanti nella media dei sondaggi
(+0,8%) e in Wisconsin dove è quasi sempre stata davanti la Harris, ma i Democratici hanno
underperformato contro Trump sia nel 2016 sia nel 2020 tra la media dei sondaggi e il voto
effettivo (Biden -6%, Clinton -7,2%). In questi due Stati, la Harris si deve difendere da un possibile
Shy Tory factor. Importante sarà anche come influiranno i cambi demografici in Nevada (molti
californiani stanno andando ad abitare lì) e quelli legati all’istruzione in Wisconsin.
Uno scenario del genere vedrebbe due strade per Donald Trump per tornare alla Casa Bianca:
quella del Michigan e quella della Pennsylvania. Vincendo in North Carolina, Georgia e Arizona –
dando per persi Nevada e Wisconsin – gli basterebbe vincere in uno solo di quei due Stati.
La terza analogia con Grover Cleveland potrebbe quindi essere che anche Donald Trump riesca a
vincere il secondo mandato alla terza elezione. Magari, al contrario, senza mai vincere il voto
popolare. I dati sono a lui favorevoli, i trend portano in quella direzione e l’analisi dei precedenti
conferma psefologicamente questa ipotesi.
Alessio Ercoli
Laureato in Scienze politiche e delle relazioni internazionali all’Università della Valle d’Aosta – Vallée d’Aoste con la tesi “Dal Pennsylvania Path al 1400 Pennsylvania Avenue”