Dopo anni di missione ISAF, il cui obiettivo primario è stato quello di supportare il governo afghano nel percorso per rendere il paese stabile e sicuro e non più un rifugio per il terrorismo internazionale, ora con la fine della missione, si palesa un periodo davvero critico. L’Afghanistan, per anni sottoposto alle peggiori sofferenze della guerra, deve ora fare i conti con forze ostili e contrarie alla stabilità.
La battaglia per la conquista di Kunduz (e successivo ritiro), avvenuta alla fine dello scorso settembre da parte dei Talebani, non rappresenterebbe solo la prima conquista di una grande area urbana, ma è anche un sintomo di una crisi molto più ampia in un processo di cambiamento del paese dopo il ritiro delle forze internazionali.
Negli ultimi mesi, la sicurezza, soprattutto a ovest e a nord del paese, è nettamente peggiorata rispetto allo scorso anno, con i combattenti Talebani presenti in gran numero per testare la capacità di controllo del territorio delle forze di sicurezza afghane.
Viene naturale chiedersi come mai i Talebani, dopo anni di presenza di ISAF e finanziamenti a pioggia da parte dei paesi occidentali, riescano a mettere ancora alle corde le forze di sicurezza afghane, dopo che queste hanno beneficiato di programmi di addestramento ed equipaggiamenti vari.
Negli ultimi tre anni più di 13.000 soldati e poliziotti afghani sono stati uccisi in combattimenti contro gli insorgenti. Una statistica impressionante che probabilmente continuerà ad aumentare. Quest’anno, 4.302 membri della sicurezza afghana sono stati uccisi mentre 8.009 sono stati feriti, circa il 40 per cento in più rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.
Il sostegno della popolazione ai Talebani, nei villaggi remoti del paese, è un fattore importante, spesso proprio a causa della corruzione endemica e dilagante, la popolazione locale si rivolge prevalentemente ad un sistema di giustizia tribale per risolvere le controversie piuttosto che alla magistratura. Un articolo della BBC del 2012 riportava un esempio molto significativo riguardante una zona del nord dell’Afghanistan, la città di Kunduz, in cui alcuni comandanti delle milizie che lavoravano per il governo erano stati accusati di estorsione, rapina e stupro, ma nessuno di loro è mai stato portato in tribunale.
Una componente importante della strategia talebana è la guerra psicologica che mira a conquistare i cuori e le menti (hearts and mind) della popolazione afghana, favoriti anche dal basso tasso di alfabetizzazione in molti distretti del paese.
Spesso in certe aree il governo esiste solo sulla carta mentre chi effettivamente governa sono i Talebani.
Il supporto più importante, che i Talebani ricevono, sono i finanziamenti per l’acquisto di armi e munizioni che sembrano non mancare mai. Le fonti di finanziamento sono molteplici, dalle donazioni di denaro provenienti dai paesi del Golfo al fiorente e redditizio commercio dell’oppio ricavato dai papaveri coltivati nel vasto territorio afghano.
Una situazione fragile e non propriamente idilliaca che il governo afghano, tra corruzione, problemi di governance e sicurezza e un’economia del tutto dipendente dagli aiuti internazionali, si trova ad affrontare, contestualmente al processo di pacificazione con i Talebani.
E’ inutile nascondere che il processo di pace tra Kabul e i Talebani sarà molto difficile. Il primo round di colloqui tra le due parti si era tenuto il 7 luglio a Murree, nei pressi di Islamabad, Pakistan, mentre, il secondo round, previsto alla fine del mese di luglio nella stessa località, è stato rinviato su richiesta dei talebani. Secondo un comunicato del ministero degli esteri pachistano, la richiesta e conseguente decisione, è stata presa a causa della conferma della morte del Mullah Omar.
Il Mullah Akhtar Mansour, nuovo leader dei Talebani afghani, avrebbe lasciato intendere che è aperto a colloqui di pace con il governo afghano solo se le truppe straniere saranno espulse e saranno revocati gli accordi sulla sicurezza con gli USA.
I governi degli Stati Uniti e dell’Afghanistan avevano firmato un accordo, nel settembre 2014, che prevedeva lo stazionamento di circa 13.000 truppe straniere (missione Nato Resolute Support), la maggior parte degli Stati Uniti, per sostenere gli sforzi di lotta al terrorismo. Il presidente Obama, nei giorni scorsi ha esteso la permanenza delle attuali forze USA, circa 9.800 soldati, anche per il 2016 con una riduzione delle forze a 5.500 nel 2017.
Il leader dei Talebani, dovrà cercare di consolidare la propria posizione all’interno del gruppo, assicurandosi il sostegno da parte di tutti i comandanti Talebani, in particolare quelli operativi nel sud del paese, e mantenere la coesione tra tutti i gruppi, soprattutto per evitare che migrino verso il concorrente Stato Islamico, che sembra guadagnare simpatie anche in Afghanistan.
Le recenti azioni dei militanti Talebani nel nord del paese potrebbero far parte degli sforzi orientati a ricompattare tutti i militanti di un movimento apparentemente diviso e nello stesso tempo mandare un messaggio molto forte al governo afghano.
Elvio Rotondo
Country Analyst
Caro Elvio,
come al solito, analisi precisa, poche parole e dritto al punto. Noi che siamo stati da quelle parti sappiamo bene come è facile far cambiare direzione all’ago della bilancia, in questo caso la popolazione. Il grosso problema lo hai centrato, la corruzione e l’intoccabilità di chi, pur rivestendo responsabilità ed autorità, ad esse si sottrae per meri interessi personali… Non è possibile esportare modelli di democrazia se non c’è il substrato pronto per raccogliere i pensieri liberali e pronto ad averne cura… e per creare un terreno idoneo ad accogliere stili di democrazia occidentali, ci vuol tempo… e non occidentali non lo abbiamo mai avuto. Come mi disse un vecchio capo distretto afghano: “voi avete l’orologio… noi abbiamo il tempo…”