Verso una Pace Cartaginese
Dunque, il generale Haftar è, ormai, a Tripoli. Questione di ore e, dopo l’aeroporto, tutta la capitale sarà in mano al Rais di Tobruk, nonostante l’ultima resistenza delle truppe fedeli ad al-Sarraj, la cui reazione, per altro, sembra ad ora limitarsi a raid aerei. L’avevamo scritto ancora ai primi di dicembre, ai tempi della Conferenza di Palermo: già allora il generale era perfettamente in grado di assumere il controllo militare di tutta la Libia, frenato solo dai giochi della diplomazia internazionale. Giochi che continuano, con Washington e gran parte degli alleati europei che si ostinano a sostenere al-Sarraj, insieme a Turchia e Qatar. Mentre dietro ad Haftar si muovono Russia, Francia, Egitto, Sauditi e, in modo più discreto, Emirati Arabi. Proprio gli Emirati, per altro, sono tra i fautori della Conferenza di Ghadames, che, a metà aprile, dovrebbe cercare di ricucire lo strappo tra Tobruk e Tripoli. Il condizionale, però, è d’obbligo, visto che Haftar sembra intenzionato ad andare avanti, per arrivare a Luglio – quando si dovrebbe tenere un altro vertice patrocinato dall’Unione Africana, presieduta dal suo amico e sostenitore al-Sisi – in posizione di forza. Ed imporre, così, a tutte le fazioni libiche una vera e propria “Pace Cartaginese”.
La presa, imminente, di Tripoli, rappresenta un passo certo fondamentale, ma non segnerà, comunque, la fine dei giochi di guerra libici. Haftar dovrà, innanzitutto, evitare un bagno di sangue nella capitale, garantendo una qualche via d’uscita “onorevole” ad al-Sarraj; e questo per evitare un’ostilità internazionale dalla quale neppure Mosca e Parigi potrebbero proteggerlo. Poi dovrà far digerire alle principali Tribù , o meglio Kabile della Tripolitania, la vittoria di un uomo che viene dalla Cirenaica. Cosa non facile, vista la storia ostilità fra le Kabile delle due principali regioni libiche. Per farlo potrebbe riallacciare gli antichi rapporti con i Gheddaffya, il clan del defunto leader libico, coinvolgendo nel suo governo il figlio di questi, Sayf al Islam, che gode di un notevole seguito, ereditario, in Tripolitania. Un accordo che gli potrebbe permettere di avere ragione anche della, storica, resistenza delle tribù berbere delle montagne, perennemente alla ricerca di una loro indipendenza. Berberi che, va ricordato, hanno avuto un ruolo militarmente non secondario nella caduta di Gheddafi, essendo state proprio le loro milizie, armi alla mano, ad espugnare Tripoli, costringendo il Colonnello alla fuga, finita, poi, con la sua tragica morte.
D’altro canto la frammentazione del territorio libico, imploso in questi anni di conflitti civili, sarà il problema principale che Haftar dovrà affrontare. Con la forza e con la diplomazia. Come già sta facendo nel Fezzan, alternando duri attacchi con trattative con le tribù Tuareg e Tibù, di fatto indipendenti dalla fine del regime di Gheddafi. E come sta facendo già anche in Tripolitania, giocando al classico “Divide et Impera”, con le molte milizie autonome che solo nominalmente rispondono a Tripoli. Gioco che gli ha permesso di acquisire l’appoggio delle importanti e combattive Milizie di Sabratha, espressione dei salafiti e strettamente legate all’Arabia Saudita. Milizie di Sabratha che rappresentano la punta di diamante dell’offensiva che Haftar si sta preparando a muovere contro Misurata, di fatto una città stato indipendente controllata da milizie legate alla Fratellanza Musulmana. Offensiva che, sino ad ora, il generale ha procrastinato per alcune, ottime, ragioni strategiche e politiche. Misurata rappresenta la maggiore forza militare della Tripolitania, ed Haftar vuole avere le spalle ben coperte prima di attaccarla. Inoltre è ben cosciente che le milizie di Misurata resisteranno disperatamente sino all’ultimo uomo – infatti a nulla sembra essere servito il tentativo di mediazione portato avanti, per settimane, da un figlio dello stesso Haftar. Prendere la città richiederà, quindi, un notevole impegno di forze, e la battaglia potrebbe trasformarsi in un vero e proprio massacro. Non è che ad Haftar questo possa ripugnare più che tanto. Tuttavia necessita non solo di insediarsi a Tripoli, ma anche di ottenere il riconoscimento internazionale. Poi per Misurata suonerà campana a morto. E sarà pace, finalmente. Anche se, come dicevamo, Pace Cartaginese.
Andrea Marcigliano
Senior Fellow de Il Nodo di Gordio