Konaré (leader panafricano) sul CFA: “Noi africani chiediamo semplicemente di poter stare nelle nostre terre, liberi dalla politica monetaria imposta dell’Occidente”.
Sono passati 74 anni da quando la Francia istituì il franco delle colonie africane CFA (Colonies Françaises d’Afrique), una divisa molto conveniente all’epoca sia per l’Esagono, sia per quei paesi che cercavano di guadagnarsi l’indipendenza dopo il colonialismo. Sono passati 74 anni, e se andiamo a rovistare tra le pagine del bilancio economico, politico e sociale di quella operazione (usando i classici parametri costo-benefici, ma aggiungendo anche quello della condizione umana) il margine è positivo, molto positivo. Talmente positivo che dei 15 paesi partner che hanno deciso di adottare la divisa francese, l’unico ad averne tratto benefici negli ultimi 74 anni è la Francia, la quale trattiene circa il 50% del valore degli scambi commerciali delle ex colonie dove è in vigore quella moneta, pari a 10 miliardi all’anno. Stiamo parlando del franco CFA, la divisa turbo monetaria concesso alla Francia da parte dell’Unione Europea per regolare i rapporti con le sue ex colonie, una divisa super fotonica e privilegiata di cui non dispone nessun altro paese facente parte del pollaio Ue: si tratta della Guinea Bissau e della Repubblica Centrafricana e poi di altri 12 stati (Benin, Burkina, Costa d’Avorio, Mali, Niger, Senegal, Togo, Camerun, Ciad, Congo-Brazzaville, Guinea Equatoriale e Gabon), stati questi che utilizzano la valuta CFA, stampata in una città della Francia. Cosa prevede l’accordo? Come denuncia da anni il leader panafricano, Mohamed Konarè, la Francia garantisce: a) la convertibilità illimitata del Franco CFA e del Franco delle Comore in qualsiasi valuta straniera; b) il tasso fisso di parità con la valuta francese (prima il Franco, poi l’euro); c) trasferimenti di capitale all’interno dell’area valutaria gratuiti. Il problema è che in cambio di questi tre principi, il 50% delle riserve valutarie dei Paesi della zona monetaria del franco CFA e il 65% delle riserve del franco delle Comore sono depositate in un conto di transazione della Banque de France a Parigi.
Egalitè, Fraternitè, ma i soldi a me. Tanto per capirci, se Tizio volesse investire 1.000 € per un progetto in Senegal dovrebbe farlo con il franco CFA e la Francia tratterrà il 50% del valore degli scambi commerciali. Proprio così. In altre parole, la Francia trattiene le riserve in franchi CFA presso la Banque de France, e queste riserve sono stimate in circa 10 miliardi di euro (4,6 miliardi per CEMAC – Comunità economica e monetaria dell’Africa centrale – a gennaio 2016 e 5,1 miliardi per WAEMU – West African Economic and Monetary Union – a dicembre 2015). La fonte è il prestigioso Le Monde. Ma non è soltanto il quotidiano francese a confermare l’esistenza di questa divisa che da molte parti viene addirittura messo in discussione come se non esistesse, altre conferme arrivano anche dalla comunità scientifica composta da numerosi economisti, come ad esempio il professor Massimo Amato dell’Università Bocconi di Milano, e non bastasse altre conferme arrivano un servizio di Raidue firmato da Filippo Barone, mandato coraggiosamente in onda nelle tenebre della notte per Night Tabloid. Tutti concordi nel sostenere che si tratta di un meccanismo che penalizza gli Stati africani.
La cifra totale che, insomma, i francesi si trovano sotto il tappeto ogni anno, è frutto di un doping monetario come denunciato anche da Claudio Messora di Byoblu, un doping che lungi dall’essere il risultato di politiche economiche, oppure di emissione di titoli pubblici, è in realtà frutto di una tassa dei ricchi imposta ai poveri per sostenere la crescita economica dei ricchi.
Si spiega così, o perlomeno si spiega in parte, il motivo per cui nonostante le varie crisi susseguitesi negli anni, l’Eliseo è sempre riuscito a mantenere un rapporto deficit Pil più basso rispetto a quello di altri paesi, come ad esempio l’Italia.
Ma prima di giungere a conclusioni affrettate vediamo di che cosa si tratta e perché questa divisa invece di portare sviluppo si è trasformata nel tempo in una specie di tagliola. Già negli anni ‘50 avremmo dovuto sospettare qualcosa, quando nel 1957 Francois Mitterrand profetizzava che “senza l’Africa, la Francia non avrà storia nel 21esimo secolo”. E a maggior ragione avremmo dovuto sospettare ancora di più, quando nel marzo 2008 Jacques Chirac affermava: “Senza l’Africa, la Francia scivolerebbe a livello di una potenza del Terzo mondo”. Ma perché tutta questa attenzione per i paesi africani da parte dei presidenti francesi?
Il franco CFA nasce con gli accordi di Bretton Woods del 1945 come valuta comune delle colonie francesi in Africa. Con la dissoluzione dell’impero avvenuta a seguito delle lotte per l’indipendenza scoppiate nel corso del Novecento, alcuni Stati hanno progressivamente abbandonato tale valuta per coniare le proprie monete nazionali. Altri, invece, hanno preferito continuare a utilizzare il franco anche dopo la separazione da Parigi.
Il principale vantaggio di questa divisa è senza dubbio la sua stabilità, perché la moneta essendo sotto controllo straniero, e non essendo soggetta a “obblighi di stampa”, frena l’inflazione, ma è sul fronte degli svantaggi, invece, dove si intravedono tutti i paradossi e tutti i limiti di questa divisa che non a caso l’Eliseo continua a stampare e che essendo molto forte non consente agli Stati di offrire prezzi competitivi sul mercato, con risultati decisamente penalizzanti sulle esportazioni. Ma non solo. L’accordo monetario tra la Francia e le ex colonie obbliga i paesi della “zona CFA”, come detto, a depositare il 50% delle loro riserve presso il Tesoro francese. A parti invertite, difficilmente succederebbe la stessa cosa: pensate ad esempio se gli Stati europei fossero obbligati a depositare il 50% delle loro riserve a Pechino o a Washington per ottenere il cambio, in quel caso siamo sicuri che partirebbe lo schiaffo automatico. Non a caso, l’ondata di movimenti anti-euro si lega all’idea che la sovranità monetaria è la condicio sine qua non della sovranità politica. In ultima analisi, è utile porre l’accento sulla straordinaria particolarità del sistema monetario che regola il CFA il quale pur circolando all’interno dei Paesi che lo hanno adottato, mostra il suo lato cattivo sul fronte del credito. Il tasso di interesse col quale viene erogato si aggira infatti tra il 15 e il 25%, praticamente una soglia insostenibile per chiunque, e del resto non potrebbe essere diverso dal momento che gli imprenditori locali non hanno garanzie da mettere sul banco, essendo poveri: “Quello che chiede l’Africa – dice Mohamed Konaré, il leader panafricano che si batte per la sovranità monetaria e per la costituzione di una banca centrale africana – è una moneta propria, una divisa libera dai vincoli con la Francia, una banca centrale. Le persone muoiono nel deserto. E il paradosso, è che l’Africa pur essendo ricca di materie prime, si trova nella miseria più assoluta. Noi africani chiediamo semplicemente di poter stare nelle nostre terre, ma liberi dalla politica monetaria imposta dell’Occidente”.
Andrea Costa