Abdullah Ocalan, è il leader e il fondatore del PKK, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan, un’organizzazione d’ispirazione marxista-leninista considerata terroristica da Turchia, Europa e Stati Uniti. A partire dal 1984, al fine di creare uno Stato curdo indipendente, il PKK scatenò una guerra senza quartiere contro le forze governative e civili in Iraq, Iran e Turchia il cui epilogo fu l’uccisione efferata di almeno quarantamila persone fra civili e militari. Ocalan, sostenuto da Siria e Grecia, dopo una serie di peripezie alla ricerca di asilo politico, il 12 dicembre 1998, giunse anche a Roma accompagnato da Ramon Mantovani, deputato di Rifondazione Comunista. L’Italia alla fine gli negò l’asilo, tuttavia l’episodio segnò il punto più basso dei rapporti fra Italia e Turchia e fu un vero miracolo se la travolgente reazione di protesta da parte dell’opinione pubblica turca, non provocò qualche vittima fra gli italiani residenti allora nel paese anatolico.
Il 15 febbraio 1999, Ocalan fu catturato dagli agenti dei servizi segreti turchi all’aeroporto di Nairobi e portato in Turchia, dove fu subito recluso in un carcere di massima sicurezza ad Imrali, un’isola del Mar di Marmara. In seguito fu condannato a morte con l’imputazione di tradimento della patria e di attività separatista armata. La pena venne commutata in ergastolo nel 2002 allorché la Turchia ha abolito la pena di morte. Da allora è l’unico detenuto dell’isola-prigione in questo carcere, in cui vi sono solo celle di isolamento.
Tuttavia il suo arresto e la sua detenzione hanno scatenato un’ondata di proteste unita ad una campagna di sensibilizzazione per le sue condizioni, tali da creare un meccanismo di solidarietà e di protezione internazionale paradossali. Questo perché le sue condizioni non sembrano essere troppo critiche, dal momento che nonostante il duro regime detentivo, l’estate scorsa, è riuscito addirittura a trovare il tempo per tracciare una “road map” (yol haritasi), ovvero una proposta di pace per una soluzione negoziata dello storico conflitto. Del resto i proclami di Ocalan destano l’interesse del Dtp (Partito della Società Democratica), un partito di sinistra curdo, non scevro di simpatie se non vere e proprie collusioni con il PKK, che trova sostegni anche all’interno dell’estrema sinistra italiana.
La sintesi del testo della “road map”, scontato ed accondiscendente ai dinamismi in cui si sta di per sé evolvendo la situazione, è il seguente: “La mia idea di soluzione in poche parole è questa: – ha dichiarato Ocalan – i curdi riconosceranno l’esistenza dello Stato e lo Stato, da parte sua, accetterà il diritto dei curdi ad essere una nazione democratica. Così potranno incontrarsi a metà strada. Il resto verrà dopo. Questo significa la democratizzazione della società civile”.
Una recente notizia che dissipa eventuali preoccupazioni per l’incolumità del leader del PKK, è quella che il Comitato europeo per la prevenzione della tortura (CPT), un organo del Consiglio d’Europa, è riuscito ad estorcere al governo turco la decisione di porre fine al regime di massimo isolamento a cui il terrorista è sottoposto dal 1999.
Infatti, il 17 novembre cinque detenuti, di cui quattro membri del PKK ed uno del TIKKO (Esercito Turco di Liberazione dei Lavoratori e dei Contadini) Seyhmuz Poyraz, Cumali Karsu, Hakki Alkan, Hasbi Aydemir e Bayram Kaymaz, sono stati trasferiti per ordine delle autorità di Ankara nel super-carcere dell’isola di Imrali. Secondo i media turchi, Ocalan così potrà incontrare gli altri cinque prigionieri per dieci ore settimanali.
Diciamo che è sempre difficile valutare dall’esterno l’impatto emotivo che un personaggio politico esercita sulla sensibilità di un paese diverso dal proprio. Un esempio di attualità che forse ci permette di comprendere meglio la vicenda di Ocalan, contestualizzarla e rapportarla con la nostra sensibilità, potrebbe essere quello dell’ex brigatista Cesare Battisti. Un efferato assassino che dopo aver ammantato i propri crimini con l’alibi dell’ideologia, all’estero trova sostegno e ammirazione perfino in sede istituzionale. La prevenzione manifestata dal governo brasiliano nei confronti della giustizia italiana sull’estradizione dell’ex terrorista italiano sembra la stessa dimostrata dai sostenitori e dagli ammiratori dello spietato leader del PKK. Entrambe non tengono conto della sensibilità interna dell’altro paese.
Ermanno Visintainer