Il Nodo di Gordio ha intervistato l’On. Riccardo Migliori, Vice Presidente dell’Assemblea parlamentare e Capo della delegazione italiana presso l’OSCE. Grazie a questo ruolo e alla lunga esperienza maturata in campo internazionale, l’On. Migliori offre una serie di riflessioni da un punto di osservazione privilegiato, sugli scenari futuri delle relazioni tra l’Unione Europea e i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo oltre a fondamentali approfondimenti sull’evoluzione delle relazioni diplomatiche per risolvere la questione del Nagorno Karabakh, nonché sul ruolo di primo piano dell’Italia nel nuovo dialogo tra Oriente e Occidente.
La politica dell’Unione Europea, fortemente condizionata dall’asse franco-tedesco, ha sempre privilegiato il nord Europa a scapito del Mediterraneo. A suo avviso, un errore? E un errore che potrebbe, ancora, venire corretto?
Fino agli anni ’90 anche la cultura italiana poneva in alternativa Europa e Mediterraneo, quasi che il nostro mare appartenesse ad interessi politicamente e culturalmente “inferiori”. Dopo la caduta del muro fu ovvia e doverosa la corsa verso il “far east” e l’allargamento UE. Oggi l’Italia, dopo la primavera araba, può e deve ottenere similare trattamento verso il “near south”.
L’assenza di una strategia comune europea sembra palese nella questione della trans-caucasia. Infatti, la Francia, nel vertice del “Gruppo di Minsk”, appare più preoccupata dei propri interessi elettorali interni che degli effetti che la crisi perdurante del Nagorno-Karabakh ha sulla sicurezza e sull’economia continentale. A Suo avviso sarebbe possibile un ruolo di mediazione europeo nella tensione fra Azerbaigian ed Armenia? E quale atteggiamento dovrebbe assumere l’Italia?
Dopo la crisi georgiana, grazie soprattutto all’iniziativa del Presidente Medvedev, si è aperta una nuova fase di protagonismo attivo per la soluzione della questione del Nagorno-Karabakh. È addirittura uscita dal letargo la Troika che guida il gruppo di Minsk. L’Italia – che è membro del gruppo di Minsk – sta assumendo una propria iniziativa in merito, di cui la recentissima visita del Presidente Sargsyan a Roma è dimostrazione. I principi della conferenza di Madrid sono la stella polare: via pacifica, autodeterminazione, integrità territoriale. Non è impossibile coordinare il secondo con il terzo principio.
La nascente Unione Eurasiatica fra Russia, Kazakhstan e Bielorussia preoccupa molti in Occidente. Secondo Lei si tratta di una minaccia o di un’opportunità? E quali riflessi avrà sugli equilibri globali?
Si tratta di una grande opportunità che con l’ingresso della Russia nel WTO determina nuove e migliori condizioni di accesso per le nostre produzioni. Se ad est sorge un nuovo schema simile a quello UE non c’è da lamentarsi, ma da dialogare, a meno che non ci interessi “puntare i missili” a prescindere e cioè in una logica muscolare di rapporti est-ovest decrepita che oscura la vera competizione Eurasia-Cina di questo secolo.
Le Primavere Arabe hanno aperto una nuova stagione nel Maghreb e, per riflesso, in tutto il Medio Oriente. Tuttavia la situazione appare ancora confusa e in via di trasformazione. Esiste, a Suo avviso, la possibilità di una strategia comune europea? E quale dovrebbe essere, anche qui, il ruolo dell’Italia?
In Nord Africa niente rimarrà come prima. Scordiamoci, dunque, il paternalismo o il bilateralismo furbesco con questa o quella oligarchia, nonostante risultati e pragmatismi allora necessari. Serve una politica comune. Una politica di integrazione politica, perché quella economico-finanziaria è già nei fatti. A meno di non sconfessare il libero mercato con dazi e proibizionismi, a meno di non sconfessare il principio dell’indivisibilità della sicurezza mediterranea per garantire a flotte straniere la permanenza nel Mediterraneo, l’Italia deve pretendere per adesso una partnership rafforzata UE. Africa del Nord e domani una UE più lunga del canale di Sicilia.
In fondo, in Libia, siamo, ancora una volta, “andati a bombardare i nostri interessi”. Che valutazione di della politica imposta da Parigi e Londra? E del ruolo di Washington? E ancora, quali danni ha portato e porterà il Regime Change di Tripoli ai nostri interessi? E come recuperare?
L’Italia non è ancora in grado di capire completamente se la sua naturale area di influenza è stata – e quanto – disastrata dal “soccorso umanitario” alla Libia che, non a caso, non scatta per le molto più numerose vittime siriane. Gli agenti interni franco-tedeschi, in questo caso molto distanti da Washington, pensano ad una forte riduzione del nostro peso a Tripoli e Bengasi. L’Italia però è un osso duro, già se ne stanno accorgendo a Tunisi, ad Algeri ed a Rabat.