La ripresa economica rischia di essere un bluff. Occorre violare il vincolo del 3% per ridurre le tasse. Il piano Marshall per il Nord Africa è un’illusione.
Daniele Capezzone è, attualmente, Presidente della Commissione Finanze della Camera dei Deputati. In attesa dell’audizione in Commissione del Governatore della Bce Mario Draghi, in quest’intervista rilasciata al Direttore del “Nodo di Gordio”, Daniele Lazzeri, Capezzone si sofferma sulle scelte del Governo Renzi su tasse e lavoro, sulla situazione economica e finanziaria europea, sulle minacce legate al terrorismo internazionale in Nord Africa e Medioriente.
On. Capezzone, partiamo dall’Italia. Qual è la Sua opinione in generale sulla politica economica del Governo Renzi?
Renzi sta fallendo gli stessi appuntamenti già clamorosamente mancati prima dai governi di centrodestra e poi dai governi tecnici, e cioè il necessario attacco (pervicacemente rifiutato dalla politica italiana) alle tre montagne delle tasse, della spesa e del debito. E’ lì, in quella pressione fiscale elevatissima (con un total tax rate che mette fuori competizione le imprese italiane), in quel livello di spesa pubblica (con annessa “intermediazione” politica), e in quel fardello del debito pubblico (con relativo doppio stillicidio di interessi da pagare e costanti rischi di instabilità), il triplo cancro che ci affligge. E’ su quel terreno che si sono arenate le ambizioni delle passate esperienze governative: ed è ancora qui – secondo me – che sta segnando il passo un Esecutivo, quello guidato da Renzi, finora capace di vincere tutte le partite nel Palazzo (in genere, per manifesta incapacità di intendere e di volere delle “opposizioni”) ma per ora sconfitto nella partita della realtà, nonostante il training autogeno alimentato da telegiornali e carta stampata.
Imprese e famiglie sono sempre più alla prese con un carico fiscale pesantissimo. Quale via suggerirebbe per dare fiato ad aziende e cittadini?
Da un anno, con un mio libro programmatico, ho proposto una strategia radicalmente alternativa. Il fatto nuovo è che, con Raffaele Fitto e con decine di parlamentari, quella linea è stata poi declinata in nostri puntuali emendamenti “meno tasse/meno spesa” presentati alla legge di stabilità, tutti sistematicamente respinti dal Governo. Era ed è (la riproporremo: è ciò su cui il centrodestra deve rimettersi in competizione, a nostro avviso) la logica di uno “choc fiscale”. Sfondare il vincolo europeo del 3% (e invece Renzi ha accettato tutte le pressioni dell’Ue e ha finito per chiudersi in una gabbia nella quale non è possibile operare in modo significativo), e sfondarlo per un mega-taglio di tasse. La nostra proposta è quella di 40 miliardi di tasse in meno definendo tre grandi aree di intervento (imprese/lavoro, consumi, casa), coperti con vere operazioni di attacco alla spesa pubblica eccessiva e improduttiva.
Il Jobs Act può rappresentare lo strumento per rilanciare l’occupazione?
E’ un piccolo strumento positivo, ma – ripeto – piccolo e a tempo, con gli sgravi concentrati nel 2015. Il che potrà anche portare a una mini-fiammata nell’occupazione nel corso del 2015, ma poi resta il problema strutturale. In primo luogo perché la fiammata riguarderà essenzialmente la trasformazione dei vecchi contratti in quelli nuovi: ma ci saranno o no anche assunzioni aggiuntive? E in secondo luogo perché, passati gli sgravi del 2015, cosa accadrà? Una vera ripresa occupazionale puà esserci solo con un taglio strutturale delle tasse sulle imprese. Mi spiego meglio. Secondo un recente rapporto della Banca Mondiale, il “total tax rate” (cioè il complesso della imposizione contributiva, fiscale, ecc) che grava sulle imprese italiane arriva al 65%, contro (per fare alcuni esempi) il 49 della Germania, il 34 del Regno Unito, il 22 della Croazia, ecc. In queste condizioni, come fai a competere?
Tra qualche giorno, la Commissione Finanze che Lei presiede ospiterà l’audizione del Governatore della Bce Mario Draghi. La manovra di QE che ha preso avvio ad inizio marzo, sarà efficace per fare far ripartire la stagnante economia in Italia ed in Europa?
Mario Draghi ha fatto il massimo rispetto all’attuale perimetro dei poteri della Bce. Di più non poteva fare. Ora le incognite sono tre, ma non dipendono più da lui. Primo: i canali di trasmissione all’economia reale (banche) saranno ostruiti o no? Secondo: i governi europei avranno l’intelligenza di sfruttare questa occasione per realizzare “supply-side economic reforms”, oppure si accontenteranno di questa bombola d’ossigeno a tempo offerta dalla Bce? Terzo: quando il Qe sarà finito, nell’autunno del 2016, che giudizio daranno i mercati sulla sostenibilità del nostro debito pubblico? E allora torno a Renzi, che è stato fortunatissimo. Si è infatti ritrovato tre eventi esterni impensabili un anno fa: l’intervento della Banca Centrale Europea; il crollo del prezzo del petrolio; il nuovo rapporto dollaro/euro. Con queste tre condizioni, non ci si può accontentare degli “zero virgola”, di minuscoli segnali di ripresa. Bisogna correre, anzi bisogna volare. E per volare le uniche proposte in campo sono quelle che noi abbiamo fatto rispetto alla legge di stabilità: un mega taglio di tasse (non un taglietto), accompagnato da una vera revisione della spesa pubblica. Perché Renzi le ha bocciate? Noi insisteremo. Se l’Italia non farà questo, avremo perso un’occasione irripetibile. E’ come quando una squadra può tirare un calcio di rigore ma lo sbaglia…Poi rischia di pagarlo caro.
Spostiamoci sullo scacchiere internazionale: i miliziani dell’Isis stanno mettendo a ferro e fuoco regioni strategiche del Nord Africa e del Medioriente. Ritiene che la minaccia del Terrore jihadista nei confronti dell’Europa e dell’Italia sia stata sottovalutata in casa nostra?
Abbiamo perso il senso delle priorità, non distinguiamo più le cose davvero importanti dalle altre. La guerra non è lontana. La guerra c’è già. A Parigi, a Copenaghen, a Tunisi, a casa nostra. A due ore di volo da noi, sono avvenuti sgozzamenti di esseri umani. A un’ora di volo da noi, è avvenuto il massacro in Tunisia. Isis mette su Internet cartine e video per dire che bisogna puntare sull’Italia. Tre giorni fa, ci sono stati i primi italiani uccisi da Isis. E mentre c’erano i primi italiani ammazzati da Isis, l’Italia era impegnata a parlare di Ercole Incalza…Non lo dico per sottovalutare episodi e questioni gravi, o vicende di malcostume. Lo dico per dire che c’è una graduatoria di importanza. Che altro deve succedere perché la priorità numero uno della politica italiana sia l’emergenza antiterrorismo? Sono bastati quattro tifosi ubriachi del Feyenoord per mettere Roma a ferro e fuoco. Ci rendiamo conto di cosa rischia di accaderci? O speriamo solo nello “stellone”? L’abbiamo capito o no che, nell’era del terrorismo mediatico, degli attacchi simbolici, l’Italia e in particolare Roma è un obiettivo per eccellenza? O facciamo finta che non sia così? Devo dirle che, nel ceto politico italiano, ho sentito parole appropriate quasi solo dal Presidente della Repubblica Mattarella, che per due volte (e immagino non sia stato un caso) ha disegnato un parallelo tra gli eccidi nazisti e i massacri di marca islamista.
L’Europa e gli Stati Uniti non sembrano intenzionati ad intervenire per fermare l’avanzata delle milizie del Califfo Abu Bakr Al Baghdadi. E’ un fallimento della politica estera di Obama e una dimostrazione dell’inesistenza di una politica estera europea?
L’Europa non esiste. In tutti i teatri decisivi, spicca solo per la sua drammatica irrilevanza. Quanto all’attuale Presidenza Usa, spiace sottolineare che abbia sbagliato molte delle sue scelte di fondo: dal Nord Africa alla polemica velenosa (e francamente inspiegabile) contro Netanyahu, fino all’autogol della trattativa con Teheran.
Si torna a parlare di un piano Marshall per sostenere le economie devastate del Nord Africa. Ritiene possa essere una soluzione per riavvicinare all’Occidente le popolazioni che si affacciano sul Mediterraneo? Su quali Paesi puntare?
Se ne parla da tanti anni, ma devo confessarle almeno due ordini di perplessità. La prima: un “piano” del genere richiede interlocutori statuali-governativi credibili e democratici. Quindi la priorità deve essere quella politica: quella di costruire Stati democratici con cui sia possibile interloquire. La seconda: un elemento essenziale dell’esperienza Marshall fu anche avere a che fare con una comunità imprenditoriale europea capace di far tesoro di quella occasione. In Africa come si fa a ricreare una situazione in qualche misura paragonabile? Ecco, mi pare che serva un po’ di riflessione su questi aspetti.
Lei ha sempre manifestato interesse per i neoconservatori statunitensi. Quali le ragioni di questa “simpatia”? E potrebbe sorgere anche in Italia – ovviamente con caratteristiche specifiche – un “conservatorismo rivoluzionario”?
Io credo in una politica estera centrata sulla promozione globale della libertà e della democrazia. Non si tratta tanto di “esportare” la democrazia, esercizio difficile e forse impossibile: ma di collaborare per rimuovere gli ostacoli, che, nell’una o nell’altra parte del pianeta, vengono frapposti al naturale desiderio di ogni donna e di ogni uomo di essere più liberi e di autodeterminarsi. Contro i neocon si scatenò, nell’Europa dei primi Anni Duemila, una campagna da caccia alle streghe, che in Italia ancora prosegue qua e là, perfino in contesti insospettabili, con esercizi da cattiva letteratura fantasy: descrivendoli come guerrafondai scatenati, come espressione di chissà quale “cabala” misteriosa, e via con deliri e teorie complottistiche sempre utili a chi non vuole interrogarsi sulle idee.
A me pare che nei loro testi vi siano alcune idee di fondo tuttora di straordinaria attualità, e per nulla offuscate dal giudizio che ciascuno può avere sul se e come l’amministrazione Bush sia stata in grado di darvi seguito, o sulla situazione attuale in Iraq e in Afghanistan.
Qual è il succo, a mio avviso? La democrazia è ancora una cosa giovane, una sorta di vagito nella lunga storia umana, ed è tuttora riservata a una porzione ancora troppo piccola degli abitanti del pianeta. L’obiettivo deve essere quello di estenderla, ponendo come obiettivo umanitario e democratico la destabilizzazione e il progressivo superamento delle dittature. Questo processo non deve necessariamente avvenire attraverso l’uso della forza militare, che resta ovviamente l’extrema ratio e in alcuni casi è purtroppo inevitabile, ma può essere fortemente facilitato e accelerato dalla fine dei finanziamenti occidentali ai regimi (troppe volte mascherati da ipocriti accordi di cooperazione) e da campagne (attraverso media tradizionali e rete) che mettano in crisi i regimi, e diano forza e alimento a chi li contrasta. Chi conosce la realtà iraniana, per fare un solo esempio, sa che la popolazione di Teheran, giovane e affamata di Occidente, è il più potente strumento contro il fondamentalismo del regime. Perché lasciare soli quei giovani, perché non sostenerli, perché non assumere come strategia di fondo (possibilmente, senza il pressapochismo utilizzato dall’Occidente in Nord Africa) una politica di rafforzamento delle alternative e delle opposizioni alle dittature? Tra l’altro, più in generale, un sistematico approccio pro-democracy può essere una valida strategia di lungo termine per anticipare le crisi umanitarie, avviare i paesi allo sviluppo e in questo modo allentare la pressione migratoria sull’Europa.
Nel mio piccolo, ho avuto l’onore, nei primi Anni Duemila, mentre il conformismo antioccidentale e antiamericano riempiva le piazze europee, di andare a esprimere in pubbliche conferenze a Washington la mia sintonia con quelle tesi e quegli ambienti. Oggi confermo e rilancio. E’ di tutta evidenza che occorre ridare un respiro strategico alla nostra politica internazionale, e occorre ritrovare l’orgoglio dei valori occidentali, e del nostro sistema che, pur tra mille imperfezioni, è fondato sulla libertà e sulla democrazia. Il centrodestra italiano che, tra tante spinte anche contraddittorie, è però ad esempio riuscito a non sbagliare linea su alcuni spartiacque di fondo (difesa di Israele, contrasto al terrorismo fondamentalista, sostegno alle missioni internazionali nei teatri più difficili), mentre su un altro piano ha assunto posizioni certamente controverse (e per me personalmente, assai discutibili e non condivisibili) nel rapporto con Putin, ha l’opportunità di ricaratterizzarsi come lo schieramento che crede nella promozione globale della libertà e della democrazia.
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