La morte improvvisa ed inattesa del generale Haftar, ricoverato poche ore prima a Parigi, apre degli orizzonti estremamente inquietanti non solo per la Libia e per il Maghreb, ma per tutti gli equilibri, già di per se stessi precari, dell’Africa e del Mediterraneo. La scomparsa dell’“uomo forte” di Bengasi – un tempo sodale di Gheddafi, ed ora perno di un complesso gioco di alleanze tra kabile e gruppi armati di diversa formazione – elimina infatti dalla scena libica forse l’unico attore in grado ancora di esercitare un qualche, parziale, controllo del territorio. Pur non avendo mai ottenuto il riconoscimento internazionale – andato, invece, all’inconsistente governo di Tripoli – Haftar controllava la più consistente forza militare ed era al centro di un complesso gioco di alleanze, un intreccio che lo vedeva in asse con il leader egiziano Al Sisi e con i Sauditi, dietro al quale si stagliava nettamente la lunga ombra degli interessi francesi. Quasi ozioso e scontato prevedere che la scomparsa del vecchio generale porterà ad una recrudescenza del conflitto civile in Libia, con inevitabili, pesanti ricadute su tutti i limitrofi paesi della cintura del Sahel – dei cui equilibri rappresenta il perno – e con contraccolpi anche sul delicato scenario mediterraneo, a partire della questione dei migranti. La Libia è, oggi più che mai, una pericolosissima polveriera sul punto di esplodere; e questo in un momento in cui l’attenzione internazionale è particolarmente distratta dall’escalation del conflitto siriano. La Francia – che ha avuto un ruolo chiave nella disgregazione del regime di Gheddafi e che aveva poi puntato su Haftar – sta sicuramente già ricercando una nuova figura capace di garantire sia un qualche equilibrio territoriale, sia di tutelare i suoi, molti, interessi in Libia e Nord Africa. Impresa, però, non facile, vista l’estrema frammentazione della scena libica. La domanda, a questo punto, è che cosa fa, o meglio dovrebbe fare l’Italia. Purtroppo, troppo presa dal protrarsi di una vacanza di governo, Roma appare, in questo momento, incapace di leggere in prospettiva lo scenario della Libia, la cui sicurezza e stabilità è essenziale sia per i nostri interessi economici, sia per la sicurezza delle nostre coste.
Perché, ci piaccia o meno, la Libia, per dirla con la buonanima di Giulio Andreotti, è un nostro “vicino di casa”. Ed un vicino pericoloso ed inquieto.
Andrea Marcigliano
Senior Fellow think tank “Il Nodo di Gordio”