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Giavazzi: una UE incompleta all’origine della crisi

by Daniele Lazzeri
2 Marzo 2021
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Dopo la nomina a consigliere di Mario Draghi, Presidente del Consiglio dei ministri, rilanciamo l’intervista a Francesco Giavazzi del 11 agosto 2017.

Poche riforme, tasse troppo alte e burocrazia irrazionale. Ma i populisti non vinceranno.

Pubblichiamo l’intervista in esclusiva per “Il Nodo di Gordio” all’economista e docente universitario Francesco Giavazzi sulle radici della crisi finanziaria in Europa, sul ruolo di Germania ed Italia e sulle ricette per uscire dalla stagnazione economica. 

La risposta europea alla crisi iniziata 10 anni orsono è stata troppo lenta. Le cause sono da ricercare nella frammentazione europea, nell’inadeguatezza della classe dirigente, nel prevalere di interessi di parte o in ulteriori motivi?

Soprattutto al fatto che l’unione monetaria era stata intesa, fino alla crisi, come un’unione di monete scordando che le banche, non le monete, rappresentano il cuore dell’UEM. Di unione bancaria si cominciò a parlare solo 5 anni dopo l’inizio della crisi e tuttora rimane incompiuta. Tutto questo fece sì che l’Europa, diversamente dagli Usa, ritardò troppo a lungo gli interventi volti a stabilizzare le banche con il risultato che i flussi di credito si interruppero amplificando lo shock finanziario. Mancò poi, e mancano tuttora, procedure per gestire in modo ordinato il fallimento di uno stato sovrano membro dell’UEM: questo non consentì di affrontare con sufficiente rapidità la crisi greca, e anche in questo caso il ritardo amplificò la crisi. Quindi non errori ma decisioni sub-ottimali perché vincolate da una struttura istituzionale ancora incompleta. Il fatto positivo è che la crisi ci ha reso consapevoli di questi ritardi e in 5 anni molti passi in avanti sono stati fatti.

La Germania locomotiva d’Europa è solo uno slogan o è una realtà? Berlino traina il Vecchio Continente o solo la Germania? E l’Euro è solo una trasformazione di comodo del marco?

La Germania è un passo avanti agli altri perché le riforme le fece durante il governo guidato da Gerhard Schröder più di dieci anni fa. Se ad esempio guardiamo al mercato del lavoro, la Spagna ha fatto un’importante riforma, ma solo nel 2013-14. Il Jobs Act italiano è forse anche migliore ma fu fatto solo nel 2015, mentre la Francia di riforme ancora non ne ha fatte. È questo che pone la Germania davanti a tutti gli altri paesi dell’UEM. Poi è vero che i tedeschi risparmiano molto e non contribuiscono come potrebbero a far crescere la domanda nell’intera eurozona. Ma queste sono le preferenze dei paesi, alle quali è difficile obiettare, soprattutto quando la spiegazione addotta è più che ragionevole: il rapido invecchiamento della popolazione che induce ad alti tassi di risparmio.

Meno tasse, più innovazione, maggior produttività. Le ricette per la crescita sono applicabili ad un’Italia che investe meno degli altri e che, al di là delle promesse elettorali, mantiene livelli elevati di tassazione?

Senza una riduzione della pressione fiscale sarà difficile vedere una ripresa degli investimenti. Non perché la pressione fiscale sia un male in sé ma perché ad essa non corrisponde una qualità dei servizi che giustifichi un prelievo fiscale tanto elevato. Ma abbassare le tasse non basta: certezza del diritto, cioè una giustizia civile più rapida, protezione dalle varie mafie che rendono difficile la vita degli imprenditori, soprattutto ma non solo nel Mezzogiorno, e infine una burocrazia irrazionale che spesso costa alle imprese anche più delle tasse.

L’Italia può avere un ruolo da protagonista nello scenario economico del Mediterraneo o deve accontentarsi di un ruolo subalterno come propaggine meridionale dell’Europa?

L’Italia è parte dell’Europa e non è più mediterranea di Francia o Spagna. Non mi piace questa sottolineatura mediterranea. È importante ricordare sempre che l’Italia è Europa: se passasse un’idea diversa, di lì a dire che proprio perché più mediterranei, siamo noi che dobbiamo farci carico dei migranti che arrivano dall’Africa il passo potrebbe essere breve.

Da Trump a Macron si profila una nuova stagione di protezionismo che si aggiunge al clamoroso esito della Brexit. Su queste basi, dobbiamo aspettarci qualche altro colpo di scena per la governance economico-finanziaria globale?

Io sono ottimista. Per ora nell’Europa continentale i populisti hanno perso: in Olanda, Austria, Francia e anche nelle elezioni regionali tedesche. Ora resta l’Italia e le nostre elezioni del prossimo anno. Faccio fatica a pensare, anzi non lo penso affatto, che gli elettori italiani possano votare per i due movimenti populisti che parteciperanno.

Daniele Lazzeri
Chairman del think tank “Il Nodo di Gordio”

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Tags: Giavazziintervista
Daniele Lazzeri

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