Hugo Von Hofmannsthal. Un poeta in pantaloni corti
di Lorenzo Fabris
Quando nel 1927, all’interno di un’aula gremita di studenti e di autorità accademiche, Hugo von Hoffmannsthal pronuncia la prolusione dal titolo “Gli scritti come spazio spirituale della nazione”, il suo nome è già conosciuto da anni e figura tra i più importanti del panorma letterario europeo. Il suo ingresso nel mondo letterario e culturale della Vienna fin de siecle l’aveva fatto a diciassette anni quando, presentandosi in calzoni corti al cospetto di alcuni grandi letterati che si riunivano in un noto caffè della capitale imperiale, aveva candidamente dichiarato che, essendo ancora studente liceale, non aveva il diritto di portare pantaloni lunghi.
Quel momento segnò l’ingresso all’interno del mondo dei grandi scrittori austriaci di un autore che, nel corso dei quattro decenni durante i quali si dispiegò la sua carriera letteraria, rimase sempre quel giovane diciassettenne in calzoni corti, deciso a contrappore la parola del poeta alla decadenza e al disfacimento di un mondo, quello moderno, che aveva dichiarato guerra allo spirito e alla bellezza. In circa quarant’anni di ininterrotta attività letteraria, von Hofmannstahl pubblicò una lunghissima serie di drammi seri e giocosi e di saggi critico-lirici, sempre con l’intento di combattere la crisi di un mondo – crisi che egli vedeva rappresentata nella fine dell’Impero Austro-Ungarico – nel nome di una riconquistata sintesi spirituale. Hugo von Hofmanstahl è quindi, nel 1927, uno dei più illustri scrittori tedeschi e con la sua opera va a inserisi tra quegli autori che, da diverse prospettive e con intenti diversi, hanno raccontato l’agonia e la morte dell’Impero d’Austria e Ungheria.
Nato a Vienna nel 1874, iniziò a comporre liriche in giovanissima età, pubblicandole con lo pseudonimo di Loris. A diciasette anni entrò in contatto con i circoli letterari viennesi animati da H. Bahr, A. Schnitzler e K. Kraus, tra gli scrittori più rappresentativi della Vienna di fine secolo. Laureatosi in legge, negli anni tra il 1896 e il 1898 prestò servizio militare in Galizia. Studiò poi filologia romanza, ma rinunciò immediatamente al progetto di conseguire la libera docenza, ritirandosi a vivere, in compagnia della moglie, in una villa barocca a Rodaun, nei pressi di Vienna, deciso a consacrare la propria esistenza unicamente alla scrittura.
Nel 1902, in seguito ad una profonda crisi spirituale, abbandonò la lirica per dedicarsi al teatro. Fu questo il periodo artisticamente più importante di von Hofmannsthal. Dopo la prima guerra mondiale scrisse alcune importanti commedie e il dramma “La Torre”, cui si farà un breve riferimento più avanti, dal momento che l’opera menzionata costituisce un “ponte” tra la produzione artistica dello scrittore austriaco e il suo pensiero politico, espresso nel discorso che è oggetto del presente contributo. Von Hofmannsthal morì di crepacuore nel 1929, mentre si apprestava a partecipare alle esequie del figlio morto suicida.
Una premessa necessaria: la rivoluzione conservatrice in Germania
In generale, con il termine “rivoluzione conservatrice”, si fa riferimento ad una corrente di pensiero nata in Germania tra le due guerre mondiali e che, pur nella diversità di pensiero dei suoi esponenti, si caratterizza per una riflessione sulla cultura nazionale, per il primato attribuito ai valori spirituali e all’arte e per la ricerca di una terza via politica di là da capitalismo e comunismo.
Questo movimento, che caratterizzò la vita culturale e politica tedesca tra il 1918 e il 1933, riuniva intellettuali, letterati e filosofi che si proponevano un profondo rinnovamento spirituale della nazione attraverso elaborazioni teoriche ed estetiche che investivano i dominii dell’arte, come della filosofia, della letteratura come della politica.
Arte, primato dei valori spirituali e nazione costituiscono quindi tre punti di riferimento essenziali della elaborazione culturale della rivoluzione conservatrice.
Per quanto riguarda gli studi dedicati all’argomento va ricordato innanzitutto il libro “La rivoluzione conservatrice in Germania 1918-1932” di Arthur Mohler. In particolare, il pregio del testo di Mohler sta nell’aver posto in evidenza le idee guida fondamentali comuni ai vari autori della rivoluzione conservatrice tedesca.
Al fine di analizzare brevemente il pensiero rivoluzionario-conservatore, e pur senza dimenticare la complessità di tale movimento e la sua irriducibilità ad un unico schema di pensiero, può quindi essere utile seguire l’itinerario percorso da Mohler ed esaminare i “Leitbilder”, appunto le idee guida, considerati dall’autore.
Prima, tra queste idee o immagini guida, è la “unidirezionalità logica del tempo”. Affrontando un tale tema, Mohler evidenzia la contrapposizione tra la concezione sferica e quella lineare della storia. Per gli scrittori della rivoluzione conservatrice, la storia non è una linea retta, un progresso indefinito; al contrario, secondo l’insegnamento di Nietzsche, essa è un eterno ritorno. Al concetto di eterno ritorno sono stati dedicati fiumi d’inchiostro, e non pare il caso di ripercorrere in questa sede le varie teorie succedutesi sull’argomento. Mohler sottolinea però che a rappresentare il processo dell’eterno ritorno non può essere la figura del cerchio, bensì quella della sfera. Solo la sfera si pone in contrapposizione netta con la linea retta unidirezionale.
“Essa, per chi pensa per cicli, significa che tutto è inserito in ogni momento; che passato, presente e futuro coincidono. Nel suo segno, il mondo vuoto torna a riempirsi e l’essere evanescente si inserisce nell’attimo riempito.” (1)
Un’altra immagine che Mohler pone in evidenza è quella dell’ “Interregno”. L’idea fondamentale è quella di “trovarsi in un interregno nel quale si sta sgretolando un vecchio ordinamento ma non se ne è ancora ben chiaramente delineato uno nuovo” (2).
Terza immagine-cardine della rivoluzione conservatrice è quella del nichilismo-attivo. Come scrive Mohler “i promotori della Rivoluzione Conservatrice appartengono alla cerchia dei nichilisti certamente interventisti, positivi, pieni di onesto spirito di responsabilità, convinti della necessità di una distruzione come base di una vera trasformazione”(3). Un tale nichilismo, si può dire, considera Nietzsche non un punto di arrivo, bensì un punto di partenza. In altre parole, la distruzione, la caduta del vecchio ordine rappresentano per il nichilista attivo la condizione necessaria ed imprescindibile per l’avvento di un nuovo ordine. Il momento successivo, quello in cui la distruzione si trasforma in creazione, è il momento del rovesciamento, del “Grande Meriggio” di cui scrive Nietzsche. Dopo lo sfacelo inevitabile si intravede una nuova alba.
Appare evidente, da quanto esposto sinora, che il pensiero rivoluzionario-conservatore prende le proprie mosse da Nietzsche, in particolare dal Nietzsche di “Così parlò Zarathustra”. Tutte le idee guida che Mohler pone in evidenza derivano in effetti dal pensiero di Nietzsche, in particolare la concezione sferica della storia contrapposta a quella lineare.
Gli esponenti della rivoluzione conservatrice condividevano, inoltre, l’idea di una contrapposizione netta tra Kultur germanica, tradizionale e creativa, e Zivilisation occidentale, materialista, decadente, priva di anima e fondata su diritti astratti. L’occidente, con i suoi miti di progresso, di benessere esclusivamente economico e di democrazia era avvertito come assolutamente estraneo, anzi nemico, del più autentico spirito tedesco.
Riassumendo, si può dire che gli esponenti della rivoluzione conservatrice tedesca vogliono distruggere tutto ciò che li circonda nel nome non di un indefinito progresso, bensì nel nome di un recupero dei fondamentali valori spirituali della nazione tedesca.
Con questo si ritiene di aver dato un quadro sufficientemente chiaro delle idee fondamentali del movimento rivoluzionario-conservatore tedesco.
A questo punto appare però necessaria una considerzione.
Riteniamo di dover accogliere la distinzione operata da H. Rudolpph tra un concetto più ristretto di “rivoluzione conservatrice”, dalla connotazione marcatamente politica e che fa riferimento al “contesto o ad aspetti determinati del movimento antiliberale, antiparlamentare e antidemocratico della Repubblica di Weimar” e che ruota attorno a Moeller van Der Bruck, che di “rivoluzione conservatrice” aveva parlato nella sua opera “Das Dritte Reich”, e un concetto più esteso, connesso al “fenomeno, tutto europeo, della ribellione etico-estetica allo spirito del XIX secolo, al positivismo, alla democrazia parlamentare ed al liberalismo economico ”fenomeno“ che ha tra i suoi eroi Nietzsche e Dostojevskij”(4).
Correttamente Marcello Veneziani ha posto in evidenza la differenza esistente tra konservative Revolution da una parte e Kulturpessismismus e pensiero della crisi dall’altra. Tra gli esponenti della rivoluzione conservatrice, infatti, vi è “volontà di presenza nel mondo moderno(…), senso della modernità, ri-creazione della tradizione, rigetto della concezione lineare e progressiva della storia, anti-egualitarismo, vitalismo e organicismo, primato del politico e del comunitario, mobilitazione totale delle masse, ripensamento della tecnica, elogio futuristico dell’acciaio, visione estetica e lirica della vita” (5).
Ora, il pensiero di Hugo von Hofmannsthal appartiene certamente al secondo dei concetti posti in evidenza da Rudolph. La rivoluzione conservatrice auspicata dallo scrittore tedesco, infatti, riveste carattere prevalentemente spirituale, e si allontana quindi, almeno in parte, dalle valenze più strettamente politiche del movimento rivoluzionario conservatore. Come vedremo, la rivoluzione conservatrice di cui parla Hoffmansthal si configura essenzialmente come un movimento di carattere spirituale, teso alla riconciliazione dello spirito con la vita, del singolo con la comunità.
Gli scritti come spazio spirituale della nazione
Prima di prendere in considerazione il discorso pronunciato nel 1927 da von Hofmannsthal presso l’Aula Magna dell’Università di Monaco, è opportuno ricordare quale la valenza simbolica rivestisse, per molti scrittori conteporanei di von Hofmannsthal, una realtà come quella dell’Impero Austro-Ungarico. In altre parole si vuole qui parlare della valenza metastorica di un Impero che, nella sua forma storica, si era dissolto nel 1918. Quale fosse il significato ideale dell’Impero per von Hoffmansthal è il poeta stesso a dichiararlo in un suo scritto del 1917, composto quindi un anno prima della fine della monarchia danubiana, e intitolato “L’idea di Austria”: “L’essenza di questa idea, ciò grazie a cui essa portava in sé la possibilità non solo di durare attraverso i secoli ma di rinascere con aspetto sempre ringiovanito dal caos e dai cataclismi della storia, risiede nella sua intima polarità, nell’antitesi che essa racchiude: nell’essere al tempo stesso marca di confine, baluardo di confine, delimitazione tra l’imperium e una massa di popoli sempre in caotico movimento alle sue porte, mezzo Europa, mezzo Asia, e nell’essere confine fluttuante, punto di avvio della colonizzazione, della penetrazione delle ondate di cultura che si trapiantavano a Est, ricevendo certo-ed essendo sempre pronta a riceverla-l’ondata di riflusso che si slancia verso occidente. (…) Nella sfera più alta l’Europa-se un’Europa deve sussistere- nella sfera dei supremi valori spirituali e delle decisioni sulla cultura dei millenni, non può fare a meno dell’Austria” (6).
L’idea di Austria si configura quindi come un vero e proprio mito, le cui caratteristiche e peculiarità sono peraltro state raccontate dai tanti scrittori e poeti che, alla fine del primo conflitto mondiale, videro distrutto, insieme alle istituzioni politiche che caratterizzavano l’Impero, anche il suo profondo significato simbolico. Per questi artisti l’Impero rappresentava un’età dell’oro in cui “ le città, soprattutto le più grandi, colpivano il viaggiatore con la loro bella disposizione e la vita piacevole che vi si conduceva(…) Non vi era alcuna piccola città che non possedesse, da qualche anno, delle belle costruzioni edificate per i servizi
amministrativi o scolastici. Ovunque si trovavano affiancati i segni della tradizione e le testimonianze di un ordinamento nuovo” (7).
Il mito asburgico, per adottare una definizione di Claudio Magris, si configura in questi scrittori come vero e proprio mito anti-moderno, fondato su valori diversi ed opposti rispetto a quelli della modernità, un mondo in cui tutto era “calma, bellezza e voluttà”.
Un mito, come spiega Claudio Magris, fondato su tre motivi fondamentali: il motivo sovranazionale, il motivo burocratico e quello di un sensuale e godereccio edonismo.
E’ quindi impossibile comprendere il significato profondo della prolusione pronunciata dallo scrittore austriaco senza tenere conto di questa tendenza conservatrice, di questa nostalgia, che costituisce un tratto comune della visione del mondo degli intellettuali e degli artisti della Finis Austriae.
La stessa poesia di von Hofmannsthal è un enorme tentativo di contrastare la fine di un mondo attraverso la magia della parola. Come pone in evidenza Claudio Magris, la fedeltà è uno dei temi fondamentali dell’opera dello scrittore austriaco. “Fedeltà a se stessi, alla tradizione, a tutto ciò che ha avuto vita e valore; lotta cioè contro il tempo, la storia la morte (…) Questo prevalere dell’essere sul divenire, dei valori statici su quelli dinamici, è un atteggiamento tipicamente asburgico” (8).
La nostalgia nei confronti dell’Impero è qundi tratto caratterizzante di tutta l’opera dell’autore austriaco di cui occorre tenere conto.
Tra le opere di von Hofmannstahl ve ne è una cui merita accennare dal momento che costituisce, ad avviso di chi scrive, una sorta di ponte tra la precedente produzione dello scrittore austriaco e il discorso pronunciato a Monaco.
Si tratta del dramma “La torre”, scritto da Von Hofmannsthal in due diverse versioni, rispettivamente nel 1925 e nel 1927 e nel quale la figura di Sigismondo, il figlio del re di Polonia condannato a morte in seguito ad un intrigo di corte e rinchiuso in una torre, rappresenta l’impossibilità di riaffermare l’ordine dinnanzi al caos. Numerosi, anche se non immediatamente evidenti, sono nel dramma i riferimenti alla situazione del dopoguerra. Il poeta appare consapevole dell’ impossibilità di trovare una via d’uscita al crollo dell’Impero Asburgico e dell’Europa intera. La riflessione storica e politica sull’Europa sembra quindi portare Hofmannsthal ad un pessimismo totale.
Con la prolusione pronunciata a Monaco il pessimismo espresso nel dramma “La torre” diviene speranza, seppure flebile, in una possibile rigenerazione dell’Europa. Rigenerazione che, come avverte lo stesso Hofmannsthal, potrà compiersi soltanto nel nome di una “rivoluzione conservatrice”.
Ma veniamo finalmente ad analizzare il dicorso di Hugo von Hofmannsthal.
Il poeta fa immediatamente un’affermazione di estrema importanza: ciò chespinge gli uomini a formare una comunità non è soltanto il fatto di abitare sul medesimo suolo patrio ma è innanzitutto un’adesione di carattare spirituale. La lingua è l’elemento fondamentale che permette l’incontro tra gli uomini e la lingua non è un mezzo naturale per farsi capire: “in essa ci parla il passato, le forze che operano su di noi diventano immediatamente efficaci (…) si instaura tra le generazioni un rapporto peculiare, dietro a cui intuiamo l’operato di qualcosa che osiamo definire lo spirito della nazione”. (9)
Si comprende quindi che per l’autore il concetto di nazione è di carattere essenzialmente spirituale e si esprime compiutamente innanzitutto nella lingua. E’prima di tutto la scrittura, aggiunge immediatamente il poeta, che da secoli tramanda ciò che vi è di spiritualmente elevato. Occorre quindi chiedersi: la lingua letteraria tedesca è oggi in grado di affermare l’identità spirituale tedesca? Questo è il quesito fondamentale al quale von Hoffmannsthal tenta di dare risposta nel corso della sua prolusione. La risposta immediata è negativa: “Di una concentrazione di tutte le forze spirituali della nazione nel campo della letteratura non si può assolutamente parlare(…) E anche in rapporto a un fenomeno come Goethe , se si cerca un consenso, se si vuole scendere in una corrente più profonda del rigagnolo superficiale della tradizione culturale, se si presicndere dalla dimestichezza non del tutto piacevole che i filologi hanno con Goethe e dalla pietas che provano per lui i singoli, allora si arriva a constatare che il suo effetto non è un dato puro e semplice ancora operante in tutti gli strati, non è un possesso, un avere, un’immanenza nell’esistenza dello spirito” (10).
Bisogna a questo punto evidenziare, e il riferimento a Goethe è in tal senso esplicito, che il richiamo alla tradizione letteraria operato da von Hoffmannsthal è l’esatto contrario dell’atteggiamento che caratterizza il filisteo colto nei confronti della letteratura. Il filisteo colto tedesco, fiacco, debole, contento di sé e presuntuoso, costituisce anzi uno degli obiettivi polemici di von Hoffmannsthal. A questa categoria, peraltro ben descritta da Nietzsche nella prima delle sue Considerazioni inattuali, va contrapposta ad avviso dello scrittore austriaco la categoria di “coloro che cercano”. E’ a questi ultimi, infatti, che si rivolge
il poeta. Costoro sono gli artisti che sanno che la vita può essere vissuta soltanto attraverso l’instaurazione di solidi legami, quei legami che la modernità ha spezzato. Dunque il legame, e non un’astratta libertà, costituisce per l’autore austriaco l’unico vero antidoto al caos della modernità; caos che rappresenta il vero obiettivo polemico di von Hoffmansthal. Il poeta austriaco, infatti, avverte la modernità come “assenza di limite”, “assenza di misura”, “mancanza di legami”; caos appunto. Il mondo moderno non è altro che “l’orgia illimitata dell’io senza mondo”(11).
Contro questo stato di cose urge una reazione, una rivoluzione spirituale il cui bersaglio sia proprio la civiltà moderna, iniziatasi con il Rinascimento e la Riforma. La forma di questa rivolta, di questa lotta, consisterà innanzitutto nel “culto appassionato e solitario della propria anima come unico contenuto dell’esistenza, l’unico dovere che assorbe tutto, condizione spirituale del tedesco solitario e senza legami con il mondo da quando la rivoluzione della fine del XVIII secolo l’ha strappato bruscamente ai costumi, alla tradizione, alla fede dei padri”. (12).
Questa assenza di limite, questo eccesso, questa metafisica della soggettività, per usare un termine heidegerriano, costituiscono, come si diceva un caos, che ha sedotto l’umanità con i suoi miti materialistici.
Di contro alla scissione è necessario tornare all’unità (unità che nel pensiero dell’autore è simboleggiata dal defunto Impero) e questo compito può essere affidato unicamente ai poeti, gli unici in grado di restaurare i valori spirituali detronizzati dalla modernità. Appare evidente, nelle parole di von Hofmannsthal, il forte afflato antiborghese che certamente differenzia la sua riflessione da qualsivoglia pensiero conservatore di matrice moderata e, appunto, borghese.
I poeti hanno a disposizione la lingua e a loro spetta il compito di ricondurre il popolo all’unità spirituale.
E allora, se come abbiamo detto è nella lingua e nella letteratura che si esprime ciò che di spiritualmente elevato apartiene alla nazione, appare chiaro che i poeti hanno il compito decisivo di essere i custodi della lingua e della letteratura, facendo si che esse divengano il vero spazio spirituale della nazione.
Così von Hoffmansthal conclude quindi la propria prolusione: “Il processo di cui parlo non è altro che una rivoluzione conservatrice di portata inaudita nella storia europea. Il suo fine è la forma, una nuova realtà tedesca, alla quale possa partecipoare tutta la nazione”.(13).
La rivoluzione auspicata da von Hofmannsthal, quindi, non è quella che distrugge gli antichi valori tramandati. Una rivoluzione di tale tipo già c’è stata, e i suoi effetti permangono ancora al tempo in cui il poeta pronuncia il suo discorso. La parola rivoluzione assume, nell’ottica del poeta austriaco, la valenza astronomica di un possibile ritorno dell’astro nella posizione originaria voluta dall’ordine cosmico.
Il discorso di von Hofmannsthal appare oggi di estrema attualità.
L’assenza di una identità spirituale, che passi attraverso l’opera e la mediazione di artisti e poeti, è uno dei tratti dominanti dell’odierna costruzione europea.
L’Europa pare aver deciso di erigere se stessa su valori e criteri unicamente di carattere materiale, prescindendo da qualsivoglia richiamo al sacro, all’arte, alla bellezza.
Un deficit di questo tipo è destinato, ad avviso di chi scrive, ad avere conseguenze nefaste, alcune delle quali già si presentano in atto. Contro ogni disfattismo, però, oggi come ieri valgono le parole trovate tra gli appunti di Hugo von Hofmannsthal: “ I poeti. Il loro vero corrispettivo: la nazione come spirito= lingua. Il loro ultimo fine: dischiudere il bello”
Hugo Von Hofmanstahl è quindi, nel 1927, uno dei più illustri scrittori tedeschi e con la sua opera va a inserisi tra quegli autori che, da diverse prospettive e con intenti diversi, hanno raccontato l’agonia e la morte dell’Impero d’Austria e Ungheria.
Riteniamo di dover accogliere la distinzione operata da H. Rudolpph tra un concetto più ristretto di “rivoluzione conservatrice”, dalla connotazione marcatamente politica e che fa riferimento al “ contesto o ad aspetti determinati del movimento antiliberale, antiparlamentare e antidemocratico della Repubblica di Weimar” e che ruota attorno a Moeller van Der Bruck, che di “rivoluzione conservatrice” aveva parlato nella sua opera “ Das Dritte Reich”, e un concetto più esteso, connesso al “fenomeno, tutto europeo, della ribellione etico-estetica allo spirito del XIX secolo, al positivismo, alla democrazia parlamentare ed al liberalismo economico” fenomeno “ che ha tra i suoi eroi Nietzsche e Dostojevskij.
La rivoluzione auspicata da Von Hofmannsthal, quindi, non è quella che distrugge gli antichi valori tramandati. Una rivoluzione di tale tipo già c’è stata, e i suoi effetti permangono ancora al tempo in cui il poeta pronuncia il suo discorso. La parola rivoluzione assume, nell’ottica del poeta austriaco, la valenza astronomica di un possibile ritorno dell’astro nella posizione originaria voluta dall’ordine cosmico.
—
1 A. Mohler, La Rivoluzione Conservatrice, Akropolis/la roccia di Erec 1990, pag. 97.
2 A. Mohler, La Rivoluzione Conservatrice, Akropolis/la roccia di Erec 1990, pag. 98.
3 A. Mohler, La Rivoluzione Conservatrice, Akropolis/la roccia di Erec 1990, pag. 107.
4 H. Rudolph, Kulturkritik und konservative Revolution. Zum kulturell-politischen Denken Hofmannstahls und seinen
problemgeschichtlichen Kontext, Tübingen 1971.
5 M. Veneziani, la rivoluzione conservatrice in Italia, Sugarco, 1994.
6 H. von Hofmannsthal, L’Austria e L’Europa, Casale Monferrato 1983.
7 Stefan Zweig, Il mondo di ieri, Mondadori 1999.
8 Claudi Magris, Il mito asburgico nella letteratura austriaca moderna, Einaudi, 1996.
9 H. von Hofmannsthal, “ Gli scritti come spazio spirituale della nazione”, in L’Austria e l’Europa, Casale Monferrato
1983.
10 Ibidem.
11 Ibidem
12 Ibidem
13 Ibidem
Biografia di Lorenzo Fabris
Lorenzo Fabris è nato a Bolzano il 24/02/1978.
E’ laureato in giurisprudenza. Ha collaborato con alcune case editrici del veneto e i suoi interessi sono rivolti alle letterature straniere, in particolare tedesca.
Al momento ha iniziato un nuovo percorso universitario presso l’Ateneo veneziano.