Venerdì 18 dicembre, si è tenuta una conferenza digitale dal titolo «Straight talk on our Green future» organizzato dall’Accademica Russa del Commercio Estero e dal Forum di Dialogo Italo – Russo delle società civili. All’evento ha preso parte anche Rodolfo Maria Salvi, junior fellow de “Il Nodo di Gordio”.
Una tavola rotonda volta ad analizzare i futuri progressi sulle questioni ambientali a livello globale. Una tematica, quella della transizione energetica, che la pandemica ha reso più urgente e parte integrante del nostro futuro prossimo. La necessità evidente di energie rinnovabili viene considerata uno step necessario e fondamentale verso una economia e una società più sostenibile, molte delle politiche a livello planetario per combattere le conseguenze economiche negative della pandemia si basano proprio su investimenti green e sviluppo nella transizione energetica e sostenibile.
Rodolfo Maria Salvi è stato invitato a parlare delle conseguenze geopolitiche della transizione energetica green. Di seguito un breve resoconto dell’intervento.
Il settore energetico rappresenta uno dei capisaldi fondamentali dello Stato moderno, che non può operare senza un apporto costante, resiliente e sicuro di energia. Basti immaginare cosa succederebbe se ci fosse un blackout prolungato e totale in uno stato sviluppato. Per questo motivo, come la storia insegna, ogni transizione energetica – intesa come modifica del mix energetico – ha un impatto preminente nel panorama geopolitico, modificando gli assetti nell’ordine internazionale, producendo vincitori e vinti nel nuovo equilibrio creatosi. Per meglio illustrare le conseguenze di uno shock analizziamo cosa succederebbe nell’arena internazionale a partire da tre modelli teoretici di transizione energetica green.
1. Transizione energetica basata su un modello liberale internazionale e free-trade.
Tale transizione sarebbe guidata dalle forze di mercato, dalle preferenze dei consumatori e dalle politiche di sussidio. Nel medio e breve periodo il risultato sarebbe una grande efficienza nell’energia rinnovabile nei paesi sviluppati con politiche di incentivi specifici, mentre nei paesi medio e sottosviluppati le fondi fossili rimarrebbero una risorsa significante grazie al prezzo sempre più competitivo. Paradossalmente, proprio tali paesi con bassi costi di manodopera e di energia (non rinnovabile) diventerebbero motori della produzione delle nuove tecnologie rinnovabili – pannelli solari, elettrolizzatori, etc. –, poi esportate all’estero. Tale situazione ricorda la “prima ondata di transizione energetica green” quando i costi di sviluppo, produzione, implementazioni di impianti solari ed eolici sono stati pagati dai contribuenti con aumento delle accise (in Europa), mentre i benefit di tale nuovo mercato sono volati in Cina. La Cina ad oggi, secondo Bloomberg, controlla almeno il 60% di ogni fase della catena del valore nella produzione di pannelli solari, grazie anche a 10 anni di politiche di dumping sul settore. A livello geopolitico, una riproposizione di tale situazione aumenterebbe il potere economico, e in parte geopolitico, della Cina e probabilmente dell’India, come nuovo fornitore di tecnologie green.
Allo stesso tempo, come predetto dall’Economist, potremmo vedere la nascita di nuovi Electrostates, stati esportatori di energia elettrica o idrogeno, il cui peso geopolitico aumenterà di conseguenza. Tra questi ci possiamo aspettare Australia e Cile.
Situazione analoga nei ricchi stati del Medio Oriente. Il basso costo del petrolio taglierà fuori i produttori ad alto costo – come lo shale oil americano – e aumenterà il potere dei Paesi del Golfo nel medio periodo, dove la produzione di greggio è economico e la più sostenibile ecologicamente grazie a continui investimenti. La ricchezza dei vecchi produttori di greggio mediorientali permetterà ai governi di diversificare e investire in parchi fotovoltaici e nucleare per poi convertire l’energia in idrogeno ed esportarlo verso Europa, Cina e Giappone in primis. Abu Dhabi nell’estate del 2020 ha segnato il record per il minor costo di energia elettrica da fonti rinnovabili, con un prezzo di 1.35 centesimi di dollaro per kilowatt/ora. Similarmente, l’Arabia Saudita ha implementato un progetto da 5 miliardi di dollari per trasformare elettricità rinnovabile in idrogeno, con la prima fornitura aggiudicata dal Giappone.
Data la lenta transizione, la Russia avrà la possibilità di reinventarsi, salvaguardano in parte il proprio potere geopolitico (e introiti economici) derivante dall’export di petrolio e gas. Leader nel nucleare civile con l’agenzia RUSATOM, Mosca potrà non solo soddisfare la richiesta di nuove centrali all’avanguardia in giro per il mondo ma anche provvedere alla loro costruzione, manutenzione e gestione. Allo stesso tempo, il network di gasdotti che collega la Russia con Europe e Cina potrà essere convertito prima in parte e poi forse totalmente ad idrogeno, sia verde da fonti rinnovali, che blu da gas naturale con CCS, che giallo prodotto da energia nucleare.
I paesi europei, in questo modello, avrebbero la possibilità di ridurre la propria indipendenza energetica con il rischio, tuttavia, di perdere il controllo della produzione delle tecnologie green e pagando i maggiori costi della transizione in termini economici. Allo stesso modo, l’America divenuta non solo energeticamente indipendente negli ultimi anni, ma anche il primo esportatore mondiale di petrolio per un breve periodo nel 2019, rischia di perdere gran parte del suo potere geopolitico derivante dal controllo dei flussi di greggio e dalle alleanze con i paesi del golfo. La diplomazia energetica è stata per molti anni una delle armi a disposizione di Washington nell’arena internazionale, basti pensare alle “guerre per l’oro nero”, che anno caratterizzato parte del XX secolo e i primi anni 2000, continuando nelle attuali tensioni con il Venezuela (primo paese mondiale per riserve di petrolio).
2. Modello di transizione energetica basato su un alto grado di cooperazione internazionale.
Transizione energetica sarebbe il risultato di decisioni top-down guidate dai governi e siglate attraverso trattati internazionali. Questo permetterebbe un ruolo centrale delle fonti rinnovabili, del nucleare e un incremento reale dell’idrogeno per de-carbonizzare i settori pesanti ed energivori. I costi e i profitti della transizione potrebbero essere meglio allocati collaborativamente e la catena del valore delle nuove tecnologie green organizzata a livello internazionale.
Tale transizione modificherebbe gli equilibri internazionali con conseguenze negative in quei paesi che oggi guadagnano maggiormente dal presente status-quo e che avrebbero meno tempo per reinventarsi. Gli Stati Uniti rischierebbero di perdere parte del loro peso geopolitico e dovrebbero investire molto per creare un mercato industriale interno di tecnologie green, così da limitare le ricadute economiche negative dell’import di tali tecnologie da paesi terzi (Cina in primis). Uno scenario analogo potrebbe accadere in Europa, dove però la ricerca e sviluppo di nuove tecnologie è più avanzata e la sigla di accordi e joint venture internazionali potrebbero salvaguardare la produzione di nuove tecnologie all’interno dell’unione. Un alto grado di collaborazione potrebbe spingere l’Europa a creare alleanze energetiche con i paesi del nord Africa e Africa subsahariana. Come proposto dal CEO di Snam, Marco Alvera`, si può ipotizzare una cooperazione per la produzione di idrogeno da fotovoltaico in questi paesi ad alta radiazione solare e l’export verso l’Europa anche per mezzo di pipeline preesistenti. L’Italia potrebbe diventare un potenziale hub dell’idrogeno europeo. Di nuovo, la Cina e l’India trarrebbero vantaggi economici dalla creazione di un così vasto nuovo mercato, anche se la collaborazione internazionale ridurrebbe in parte i loro vantaggi. Mentre, Russia e i paesi Opec avrebbero meno tempo per convertire le proprie industrie energetica in maniera green e proporsi come fornitori di idrogeno.
La crescente domanda di elettricità e integrazione energetica aumenta tuttavia il rischio di nuove minacce, nella sicurezza delle infrastrutture elettroniche e di attacchi cyber.
3. Transizione energetica su modello multipolare e alleanze regionali.
La transizione avverrebbe in maniera diversa a seconda della regione e delle alleanze formatesi. Alleanze preesistenti o ex-novo allo specifico scopo di favorire la cooperazione e fissare specifici e decrescenti standard di emissioni. Ciò permetterebbe un migliore controllo sulla produzione e sviluppo di tecnologia all’interno di una regione, allocando costi e benefici. Tuttavia, i paesi in via di sviluppo, sottosviluppati o mal posizionati a livello geografico potrebbero essere esclusi e rimanere per molto tempo ancorati allo sfruttamento di fonti fossili, diventate economicamente competitive.
A livello internazionale, molto dipenderebbe dal tipo di alleanze regionali. Possiamo immaginare una incentrata sull’Europa-Mediterraneo, una sponsorizzata dalla Cina, e in dubbio sarebbe la posizione della Russia, che dovrebbe bilanciarsi tra est e ovest. L’America, guidata dal partito democratico spingerebbe per alleanze Atlantiche per guidare diplomaticamente la transizione. Come sostenuto da Biden «Global action for a clean energy revolution require American leadership».
L’Europa grazie al mercato unico e politiche comunitarie potrebbe essere la più favorita, tuttavia è prevedibile sostenere l’adozione di nuove politiche protezionistiche “green” e incremento nei dazi a seconda della emissione di CO2 nella produzione del prodotto. Tali misure non servirebbero solo per incentivare l’adozione di politiche green in altri stati ma anche per coprire i cospicui costi di transizione energetica che andrebbero a ridurre la competitività delle imprese “green” rispetto alle industri localizzare in paesi ad alta emissione di diossina. Il risultato potrebbe essere un effetto loop di esclusione e differenziazione tra paesi, provocando tensioni globali, crisi regionali, migrazioni, e forse conflitti.
In conclusione, l’equilibrio geopolitico futuro sarà fortemente dipendente dalle modalità in cui la transizione energetica avverrà. I tre modelli proposti possono aiutare a comprendere i futuri mutamenti geopolitici, anche se essendo modelli per definizioni essi sono limitati e parziali. Non ci sono sostanziali ragioni per attendersi una inversione nello sviluppo di un’energia maggiormente sostenibile e rinnovabile a livello globale, con le specifiche differenziazioni. Per questo motivo i leader nazionali e gli analisti di sicurezza ed energia hanno il dovere di anticipare il cambiamento, preparare prospettive per i nuovi sconvolgimenti geopolitici e collaborare non solo con gli altri paesi ma anche con le aziende per cercare di modificare la transizione a vantaggio del proprio interesse nazionale.
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