TIBET, CROCEVIA TRA PASSATO E FUTURO
Storia, Sviluppo e Potenzialità della Regione Autonoma Cinese
Marco Costa
Anteo, 2014
€ 12,75
All’interno del volume capitoli a cura di Andrea Fais, Marco Scarinci, Andrea Turi, Stefano Vernole
Una monografia di Marco Costa, integrata con le appendici di altri coautori, “Tibet, crocevia tra passato e futuro” che proietta il lettore nel cuore di questo Paese antico e ammantato di fascino spirituale.
Il Tibet è una regione storica e geografica dell’Asia interna con ramificazioni geoculturali che spaziano dall’Asia centrale al Sud-est asiatico, dall’India al mondo iranico, fino ai deserti situati sull’antica Via della Seta.
Oggi è parte della Repubblica Popolare Cinese e, in minuscola parte, dell’India con il Ladakh. Il Tibet cinese è formato da una Regione autonoma denominata Xizang, con capitale Lhasa. Un territorio ricco di potenzialità, come anticipa il titolo stesso del libro in questione. Potenzialità strategiche innanzitutto, basti pensare alle tesi di Mackinder, ma altresì del sottosuolo, quindi estrattive.
Questo volume pregiato, elegante per formato e rilegatura costituisce un vademecum esaustivo di preziose immagini contestuali. Una cronistoria del Paese delle Nevi, sintetica, puntuale e, al contempo, ben integrata ed assortita con elementi culturali, geopolitici e geoeconomici.
Tuttavia, scorrendone i capitoli, lungi da qualsivoglia devozione, simpatia, né tantomeno dall’essere supporter di un leader spirituale ambiguo, in odore di new age, più avvezzo a fare proselitismo nei salotti di Hollywood o ad avere più seguaci fra i politici che fra i religiosi, quale è il Dalai Lama. A fronte di tutto questo, è difficile avvallare alcune affermazioni ivi contenute. Tipo quella in cui si asserisce che il lamaismo costituisca meno del 2% del buddhismo mondiale, o che esso rappresenti una forma di sincretismo religioso permeato da elementi sciamanici e tantrici. Ciò significa misconoscere l’evoluzione storica della religione buddhista che di certo è la meno dogmatica fra quelle istituzionalizzate, inficiandone l’essenza. Adottare pertanto parametri mutuati dal salafismo o dal wahhabismo onde interpretare un contesto spirituale del tutto eterogeneo.
Inoltre il testo contiene affermazioni avventizie, come quella in cui si attesta che il ruolo del “Dalai Lama”, sia un’istituzione cinese e che si sia usato un termine cinese per coniarne il titolo.
Asserire che Altan Khan fosse stato il governatore mongolo del Tibet durante la dinastia Ming, facendolo passare per un vassallo del Celeste Impero che doveva impiegare terminologie cinesi, è alquanto riduttivo ed impreciso. Al contrario Altan Khan fu un avversario della Dinastia Ming. Fondatore della città di Hohhot nell’attuale Mongolia interna, dopo decenni di aggressioni sul suolo cinese, arrivò a minacciare la stessa città di Pechino. Se è vero che nel 1571 ricevette l’epiteto di Shun Yi Wang, non gli fu certo imposto, bensì conferito in occasione di un trattato di pace che comportò una serie di negoziati bilaterali.
Venendo al termine cinese, a quell’attributo onorifico (Dalai Lama) assegnato per ironia della sorte, che Altan Khan avrebbe scelto per designare il Lama Sonam Gyatso allorché giunse in Mongolia: oceanico o talassico, далай – dalay. Per i mongoli innanzitutto era un loanword di antica derivazione turca, taluy – talay1.
Una voce che, etimologicamente possiede dei nessi semantici con il termine che designa la steppa, metaforicamente un mare verde. Tant’è che in kazako, steppa si dice дала-dala2, in kirghiso талa-tala3 ed in mongolo тал-tal4.
Quanto al Tibet, indipendentemente da chi lo governi, salvo ancorarsi a meri elementi statistico-quantitativi, non è possibile prescindere dalla sua esclusività storica e culturale. Sebbene minoritario rispetto ad un buddhismo theravāda (quello professato nel Sud-est asiatico e Sri Lanka) oppure ad un generico mahāyāna (Estremo Oriente), il buddhismo tibetano legato alla corrente vajrayāna, non è una religione circoscritta al Tibet, bensì diffusa in paesi come la Mongolia, la Buriazia, la Calmucchia, Tuva, Bhutan, India e anche la Cina, per quanto riguarda le etnie mongole. Inoltre la sua produzione letteraria e saggistica – pensiamo solo ai nostri Tucci o Filippani Ronconi – costituisce una sezione essenziale per lo studio della religione buddhista nel suo insieme.
Chiosando, una mera osservazione: il volume, ben curato, acquisirebbe una maggior rilevanza scientifica se nella bibliografia fossero presenti opere nella lingua dei paesi in questione. Tibetano o cinese.
Ermanno Visintainer
1 A. von Gabain, Alttürkische Grammatik, Wiesbaden, 1974, p. 366.
2 http://www.lugat.kz/.
3 Kültür Bakanlığı, Türk Lehçeleri Sözlüğü, Ankara.
4 D.Tömörtogoo, A Modern Mongolian-English-Japanese Dictionary现在蒙英日辞典 , Tokyo 1977.