Si stanno complicando “sotto i colpi” della geopolitica le trattative bilaterali tra Unione Europea e Turchia riguardanti gli accordi per contenere e redistribuire i flussi di migranti provenienti dalla Siria e dal Medioriente. Oltre alla trattativa ad oltranza con le diverse anime nazionali dell’Ue, Ankara deve stabilizzare la propria situazione interna, osserva il diplomatico Carlo Marsili, ambasciatore italiano ad Ankara dal 2004 al 2010 e senior fellow del centro studi “Il Nodo di Gordio”. «Gli episodi di terrorismo non finiranno fino a che non verranno risolte due questioni: “la normalizzazione” in Siria e la ripresa del dialogo con i Curdi. Politicamente Erdogan è in una posizione di forza, governa da 13 anni ormai, anche se negli ultimi 2-3 anni ha dovuto fronteggiare emergenze esterne, la Siria, e interne con il terrorismo curdo». La Turchia, che rappresenta la frontiera europea con il continente asiatico e l’area mediorientale, è oggi il “grande hub” dei flussi migratori che vogliono arrivare in Europa. «La questione dei migranti si sovrappone e si integra con il vecchio negoziato di adesione della Turchia all’Ue che risale al 2005, mentre il trattato di associazione risale addirittura al 1965. Le trattative sulla gestione dei flussi migratori si scontra dunque con la storica “resistenza” della Francia al suo ingresso e l’avversione dei greco-ciprioti. Anche la Germania è sempre stata molto scettica sull’ingresso nell’Ue, e solo ultimamente sta smussando le sue posizioni proprio con il dramma dei migranti. La Turchia ai tempi dell’Urss è stato il baluardo europeo in funzione anti-sovietica e oggi potrebbe essere il baluardo verso l’eccesso incontrollato di immigrazione dalla Siria, dal Pakistan e più in generale dal Medioriente e dall’Asia». La bozza del documento analizzato nel vertice del 17-18 marzo prevede che “la Turchia prenda tutte le misure necessarie per evitare che si aprano nuove rotte per l’immigrazione irregolare in Ue”. «Il cuore dell’accordo Ue-Ankara si snoda su questi punti: un patto per arginare nei modi oggi possibili le ondate incontrollate e sul fatto che Ankara riprenda i migranti oggi lasciati nelle isole greche, con l’Ue che si impegna a “redistribuire” nei vari paesi dell’Unione. È una forma di deterrenza, perché così facendo i migranti sanno che verranno comunque riportarti in Turchia e non possono avere completa libertà di decidere dove andare. Cinico? Certamente, come è cinica la politica internazionale. Erdogan agisce come gli altri leader europei e mondiali». Tuttavia le trattative bilaterali vertono anche su questioni economiche: in ballo ci sono oltre 6 miliardi di euro che Erdogan vuole dall’Ue per mantenere i 2,5 milioni di siriani oggi nel Paese. «C’è anche la questione dell’abolizione del visto d’ingresso per i cittadini turchi nell’area Schengen: situazione paradossale, visto che tutti possono entrare in Europa e ai turchi invece si chiede il visto. I turchi vengono in Europa per fare affari oggi e non più come immigrati. Inoltre Erdogan punta a riaprire i negoziati di adesione finora bloccati dai veti della Francia e dei ciprioti». La maggioranza della società turca ha bisogno dell’ancoraggio europeo per non sprofondare nelle “paludi” geopolitiche mediorientali e cruciale è il rapporto tra Roma e Ankara, prosegue Carlo Marsili. «1200 aziende italiane lavorano in Turchia, la nostra è una politica estera in larga misura mediterranea, per questo siamo fondamentali per i rapporti tra Ankara e Bruxelles. Solo che l’Europa vede pochi favorevoli all’ingresso della Turchia: l’Inghilterra, la Svezia, la Spagna e la Finlandia».
Luigi Marcadella