Di Andrea Marcigliano
Il mondo dopo la caduta del Muro di Berlino, e la conseguente fine della lunga stagione della Guerra Fredda, appare sempre più caratterizzato da quella che potremmo definire un geopolitica “ a geometrie variabili”. Variabili perché questa non è, chiaramente, più la stagione dei grandi Blocchi rigidamente in loro stessi conchiusi e, ancora più rigidamente, fra loro contrapposti, bensì un’epoca caratterizzata da una sorta di fluidità (quasi mercuriale) delle alleanze e – cosa, forse, ancor più importante – delle convergenze di interessi specifici. Caratterizzata, soprattutto, da un intreccio di problemi, questioni, tensioni che richiedono, necessariamente, risposte dinamiche, e che non possono più essere affrontati in ottiche ottusamente vincolate al passato, ovvero ad ormai fruste letture fondate su “blocchi politici ed ideologici” ormai inesistenti nella realtà. Tant’è vero che, di colpo, dopo mezzo secolo e rotti di oblio, dalla fine degli anni ’90 del ‘900 si è tornati sempre più a parlare di “geo-politica”, ovvero della “scienza crudele” per eccellenza (la definizione è del nostro Ernesto Massi), la scienza che fonda la sua analisi degli scenari internazionali non su – oggi sempre più indeterminati e fumosi – temi ideologici, bensì sull’evidenza delle realtà “geografiche”. Scienza che, per altro, oggi ancor più di ieri, necessita di una lettura “globale”, capace di trascendere i confini dei singoli stati nazionali, e di cominciare a guardare alle nuove realtà internazionali emergenti. Ovvero a quelle “geometrie variabili” cui accennavamo qui sopra.
Certo, è molto più difficile orientarsi nella selva delle odierne sigle che adombrano organizzazioni coppe razioni, intese di vario carattere, di quanto lo fosse ai tempi, forzatamente semplificati, della NATO e del Patto di Varsavia… e, per altro, molte di queste “sigle” durano sovente lo spazio di un mattino, risultando, alla prova dei fatti, esperienze effimere, destinate ad incidere poco o nulla sugli scenari mondiali. Altre, però, per quanto poco e soprattutto mal conosciute, meriterebbero maggior attenzione, in quanto adombrano realtà forse ancor in fieri, e che tuttavia vanno, nel tempo, progressivamente definendosi ed espandendosi, al punto di inferire in modo sempre più incisivo sugli scenari globali. Fra queste la SCO, ovvero la Shangai Cooperation Organization, in Italia per lo più conosciuta come “il Gruppo dei Sei di Shangai”. Che è definizione impropria, ancorché derivata dai cosiddetti “Shangai Five”, che rappresentarono il nucleo originario, o più esattamente la matrice dell’attuale SCO.
I cinque di Shangai e la loro evoluzione
Correva l’anno 1996 quando a Shangai, appunto, si riunirono i rappresentanti di cinque paesi molto diversi fra loro, ma con alcuni forti interessi comuni dovuti proprio ai confini, quindi alla prossimità geografica. Russia Kazakhstan, Kirghizistan, Tagikistan e Cina stabilirono allora un primo punto d’accordo per dare vita ad una sorta di organizzazione di difesa dei confini comuni; un accordo di cooperazione in campo militare formalizzato l’anno successivo, nel ’97, a Mosca con il “Treaty on Deepening Military Trust in Border Regions”, ed infine esteso, nel 2000,con il nuovo Summit di Astana, la capitale del Kazakhstan, alla lotta al terrorismo, al traffico di droga, all’immigrazione clandestina e all’estremismo religioso. La premessa per la nascita della SCO propriamente detta, che vede la luce nel 2001, di nuovo a Shangai, con l’adesione dell’Uzbekistan, e che nel 2002, a San Pietroburgo, si è infine data una struttura stabile sotto il profilo del diritto internazionale. Una struttura, tuttavia, in continua espansione e trasformazione, estremamente dinamica. E questo non solo perché si affacciano nuovi paesi candidati ad entrare a farne parte – nel 2004 ha avanzato domanda la Mongolia, nel 2005 l’India, il Pakistan e l’Iran, tutti sino ad ora ammessi come “osservatori” – mentre altri ancora- la Bielorussia, il Turkmenistan, lo Sri Lanka e lo stesso Afghanistan – hanno assunto, ad oggi, lo status di “invitati speciali”…. ma soprattutto in quanto l’originaria missione della SCO è andata dilatandosi ai più vari ambiti. Tanto che, oggi, la cooperazione fra i paesi membri si estende dal settore della difesa e della sicurezza ai più diversi ambiti economici, sino alla cultura ed alla promozione dell’istruzione. E oltre a Summit annuali fra i capi di stato dei Sei, sono costanti le consultazioni fra i ministri degli esteri, della difesa, dell’economia e persino dell’istruzione e della cultura. A significare processi di cooperazione estremamente importanti, anche e soprattutto perché avvengono nel crocevia di uno scenario geopolitico sempre più cruciale per gli equilibri mondiali.
La presidenza kazaka e la proiezione eurasiatica della SCO
In origine gli osservatori occidentali hanno visto nei “Cinque di Shangai” semplicemente una proiezione della crescente influenza cinese in Asia Centrale, cui una Russia in forte crisi interna – erano gli anni difficili di Eltsin – non aveva potuto far altro che accodarsi. Una lettura che poteva, però, andare bene alla fine degli anni ’90, non più oggi. Molta acqua, infatti, è passata sotto i ponti, Mosca, con Putin e Medvedev, è tornata ad esercitare un ruolo internazionale di primo piano a tutti i livelli, e gli scenari dell’Asia Centrale si sono profondamente trasformati. In sostanza, oggi sarebbe profondamente errato interpretare la SCO come una sorta di longa manus degli interessi di Pechino. Oggi più che mai, quando la Presidenza di turno dell’Organizzazione di Shangai è passata dall’autunno di quest’anno al Kazakhstan, segnando così una proiezione sempre più “eurasiatica” del Gruppo. Una proiezione che possiamo facilmente ipotizzare destinata a produrre notevoli novità nel prossimo futuro. Infatti il Kazakhstan rappresenta, dal punto di vista squisitamente geopolitico, il ponte fra Europa – in particolare l’Europa centro-orientale – e l’Asia; terra di confine e transizione fra il nuovo, grande, Impero cinese e quello risorgente della Russia di Putin e Medvedev. Inoltre è l’unica Repubblica dell’area centro-asiatica ad avere superato, sotto la guida del Presidente Nazarbayev, la difficile stagione della transizione post-sovietica senza eccessivi traumi, evitando i conflitti civili e costruendo una nuova identità nazionale fondata sull’armonizzazione delle “differenze” etniche e culturali. Che nel paese, fornito da oltre 120 etnie diverse, sono davvero moltissime. In questi ultimi anni si è venuta, così, formando una nuova élite – politica, economica e culturale – fortemente radicata nella tradizione, ma, al contempo, estremamente aperta alla modernità. Un’élite che – almeno secondo l’analisi di Aleksej Malašenko del Centro di Mosca del Carnegie Institute – si sta rivelando sempre più vicina e compatibile con gli stessi modelli “occidentali”.E che ha permesso al Kazakhstan, proprio in questo 2010, di rivestire, prima repubblica ex-sovietica, la Presidenza dell’OSCE.
Inoltre in questi stessi anni il Governo di Astana è riuscito ad intessere e mantenere una fitta rete d buoni rapporti diplomatici con tutti i paesi della regione e, in particolare con i due colossi confinanti, Cina e Russia, senza, per altro, trascurare le relazioni bilaterali con Washington, tanto più importanti se si presta attenzione non solo al forte impegno statunitense nel non lontano Afghanistan, ma anche (e soprattutto) alla presenza di basi militari americane un po’ in tutta l’Asia Centrale, dal Kirghizistan all’Uzbekistan. Presenza che, inutile (quasi) ricordarlo, è costante e strisciante causa di tensioni fra Washington e Mosca. E suscita non pochi sospetti anche a Pechino.Proprio per questo la Presidenza kazaka della SCO potrebbe assumere un ruolo di importante mediazione. In particolare se si considera che segue ad una presidenza russa, che ha visto il governo di Mosca cercare di imprimere una svolta alla politica dell’Organizzazione di Shangai. Organizzazione che, palesemente, è oggi troppo complessa per poter essere facilmente ricondotta solo nell’ambito della sfera d’interesse di un’unica grande potenza, sia questa la Russia oppure la Cina. In particolare, tra tutti i temi coinvolti nella Cooperazione di Shangai, la SCO ha oggi tre priorità.
Tre obiettivi per il prossimo futuro
Prima di tutto la “mission” per cui l’Organizzazione è sorta. Garantire la pace fra i suoi membri e la sicurezza contro il terrorismo e le influenze perniciose dei conflitti politici e religiosi che riverberano dal nucleo infiammato dell’Afghanistan. Già da tempo si fa un gran parlare del possibile coinvolgimento della SCO nel cercare una soluzione al conflitto afgano. Coinvolgimento diplomatico e, se necessario, anche militare, con la costituzione di un “corpo” di intervento che garantisca un’eventuale tregua tra il governo di Kabul e gli insorti talebani. Una soluzione che potrebbe venire incontro al crescente interesse di Washington di poter cominciare a porre in essere una exit-strategy dal paese che non si rivelasse, però, una disastrosa ritirata in stile Vietnam; e che, al contempo, permetterebbe di rivedere la posizione delle basi americane in Asia Centrale, come da tempo richiesto da Mosca. Senza contare che una pacificazione, o per lo meno un depotenziamento del conflitto afgano avrebbe l’effetto di diminuire la pressione dei gruppi islamici fondamentalisti un po’ in tutta la regione. Ed il Kazakhstan, come ricordavamo, è attualmente il paese dove tale pressione risulta meno forte ed incidente. L’unico che sembra aver trovato in se stesso la chiave per depotenziare tale minaccia. Inoltre, proseguendo nel processo di integrazione nell’ambito della SCO tanto dell’India che del Pakistan, potrebbe venire raffreddata un’altra zona calda – in questi ultimi tempi caldissima – di conflitto: quella del Kashmir, gettando anche qui le basi per una possibile soluzione diplomatica dell’annoso contenzioso fra Islamabad e Delhi. Buon’ultima la questione iraniana. L’ingresso – da tempo in fieri – di Teheran nell’Organizzazione di Shangai permetterebbe – rompendo una situazione di sostanziale isolamento internazionale del regime iraniano – di favorire un’evoluzione di questa in direzione di maggiori aperture “democratiche”, e, soprattutto, di trovare una soluzione condivisa al problema del nucleare degli ayatollah. E, a questo proposito, va ricordato, che il Kazakhstan è stato il primo paese dell’ex-blocco sovietico a rinunciare unilateralmente all’uso militare del nucleare, e a smantellare i suoi arsenali ereditati dalla stagione dell’URSS.
Secondo obiettivo, quello energetico. Per quanto sino ad oggi sia sempre stata un’organizzazione piuttosto “elastica”, la SCO ha comunque già dimostrato di poter esercitare una notevole influenza sui mercati del gas e del petrolio. E questo per la compresenza al suo interno di grandi produttori e di grandi consumatori. Situazione che dovrebbe accentuarsi con l’ingresso dell’India, il secondo colosso industriale asiatico dopo la Cina. Di fatto, quello che si potrebbe realizzare nel prossimo futuro è la costituzione di una sorta di Mercato Comune dell’Energia fra i paesi membri; un mercato tanto più interessante perché eviterebbe lo stile dell’OPEC, nel quale i produttori sono organizzati in “sindacato” e, quindi, in qualche modo alternativi ai consumatori. Al contrario lo stile della SCO potrebbe divenire quello della sinergia industriale fra paesi che dispongono di materie prime e paesi che hanno già costruito un sistema industriale capace di sfruttarle ed utilizzarle. Sinergia che potrebbe fare dell’Eurasia davvero il centro di una nuova area di prosperità. Nonché uno dei principali motori dello sviluppo mondiale. In quest’ottica, particolare rilievo assumerano non soltanto l’estrazione di gas e petrolio, ma anche le “vie” attraverso cui questi vengono, e sempre più verranno nel futuro, veicolati verso i paesi consumatori E il Kazakhstan oltre ad essere il maggior produttore di tutta l’Asia Centrale, si trova sito in una posizione strategica per determinare il percorso di gas-dotti ed oleo-dotti diretti verso Cina ed India…
Terzo, ultimo e forse prioritario – o per lo meno riassuntivo degli altri due – la tessitura di una rete di rapporti fra la SCO ed altre, consimili o affini, organizzazioni. Rete che, per certi versi, è già nella realtà delle cose. Russia e Kazakhstan infatti sono i due pilastri della, nascente, Comunità Economica Eurasiatica, di cui fanno parte anche le altre repubbliche dell’Asia Centrale e la Bielorussia. E alla quale si pensa possano essere interessati ad aderire anche Armenia, Azerbaigian e – con molti distinguo – la stessa Ucraina. Inevitabile, quindi, una sempre più stretta cooperazione fra SCO e EurasEc soprattutto nell’anno di presidenza di Astana. Cooperazione che, però, non verrà mai a trasformarsi in coincidenza, essendo gli obiettivi primari delle due organizzazioni diversi e distinti (la EurasEc mira alla creazione di un’area commerciale e, in prospettiva, ad una moneta comune, su modello della UE). Una sinergia già molto accentuata nel recente periodo della presidenza russa. Dove, però, la presidenza kazaka potrebbe esercitare, per le relazioni esterne della SCO, un ruolo realmente innovativo ( se non rivoluzionario) è in direzione della Turchia. Ankara, infatti, sta da tempo lavorando ad una sorta di rete fra i paesi turcofoni, che sino ad ora si è concretata solo marginalmente con l’istituzione a Baku, nel 2009, del TurkPa; una sorta di assemblea parlamentare di paesi turcofoni, alla quale Astana, che sino ad oggi è stata un semplice “osservatore”, dovrebbe aderire nel prossimo futuro. Inutile sottolineare come tale “coincidenza” finirebbe inevitabilmente con il favorire un avvicinamento della Turchia – grande potenza economica, nonché militare, emergente, per altro attualmente delusa dall’atteggiamento di Bruxelles nei suoi confronti – tanto alla EurasEc quanto alla SCO. Con la quale condivide numerosi interessi di tipo industriale – le grandi pipeline che dal Caspio si dirigono verso Occidente sfociano, tutte, nei porti anatolici – quanto afferenti alla necessità di costituire una rete di alleanze per mettere in sicurezza tutta la regione. E la SCO, sin dal 2004, ha dato vita al Regional Anti-Terrorism Structure (RA-TS) , proprio perché serva come strumento di tale strategia corale.