Dopo l’uscita del volume “Terre degli Argonauti. L’Autonomia del Trentino-Alto Adige come modello per la convivenza tra i Popoli”, anticipiamo uno stralcio dell’intervista allo scrittore Marcello Veneziani che comparirà nel n. 12 della rivista “Il Nodo di Gordio”. A quasi vent’anni dall’uscita di “Padania, Italia. Lo Stato nazionale è soltanto in crisi o non è mai esistito?”, libro-intervista curato da Marco Ferrazzoli in cui si confronta con il giurista e politologo Gianfranco Miglio, Veneziani traccia un bilancio dell’esperienza di governo della Lega Nord, degli obiettivi raggiunti e mancati e del futuro delle autonomie in Italia.
Sono passati quasi vent’anni dall’uscita di questo volume. Qual è stato il destino di Padania ed Italia?
Sarei tentato di rispondere che col tempo sono sparite sia l’Italia che la Padania, finite da un verso in quell’imprecisato calderone global del cyberspazio, e dall’altro in quell’entità economico- tecnocratica che è l’Europa. In realtà la Padania, in sé, fu un’invenzione politica recente, nei secoli non è mai esistita come entità coesa e distinta, da bambino io la trovavo citata solo in Guareschi… Invece, l’italianità persiste sommersa ma tenace, ci vergognamo a tirarla fuori, è sempre lì sul punto di emergere o di implodere, di finire o di rinascere.
Nell’ormai lontano 1997, la Lega era un movimento “di lotta” che – successivamente – ha avuto più occasioni di misurarsi con la responsabilità di governo, sia a livello nazionale che a livello locale. Tirando le somme, giudica che quest’esperienza sia stata fruttuosa?
È un bilancio piuttosto controverso, se consideriamo che da un verso ha messo a segno dei risultati significativi a livello locale e a livello di modifica costituzionale, ma dall’altro ha disatteso molte aspettative dei suoi elettori e poi si è lasciata travolgere dal malcostume, se non dal malaffare, come il regime che denunciava. Ma sarebbe ingeneroso limitare il bilancio solo a quello, soprattutto se lo compariamo al fallimento generale della classe dirigente italiana, un fallimento che ha coinvolto non solo i suoi alleati di centro-destra e pure il centro-sinistra, poi liquefatto nel renzismo, ma anche i governi tecnici e tra breve pure le amministrazioni nate sull’onda dell’antipolitica.
La Lega ha sempre avuto difficoltà a crescere nelle aree già caratterizzate da una forte autonomia: Valle d’Aosta, Trentino, Sud Tirolo, Friuli Venezia Giulia, Sardegna e Sicilia. Le popolazioni locali hanno preferito non rischiare la strada nuova, non hanno ritenuto credibili le proposte della Lega o hanno scelto l’abitudine?
La Lega ha la sua roccaforte nel Lombardo Veneto e significative propaggini nel resto del nord, salvo i luoghi in cui ci sono già formazioni localiste radicate nel tempo. In Sicilia e in Sardegna ci sono non solo movimenti autonomisti locali ma c’è una percezione di estraneità verso chi ha sempre detto di rappresentare gli interessi prioritari del Nord. O la Lega Nord confluisce in un soggetto politico nazionale, o deve continuare a rappresentare il suo bacino politico-elettorale nordista nel contesto di una coalizione, di un’alleanza. O ancora, e più radicalmente, ritirarsi dalla contesa politica nazionale ed eventualmente dalla rete di alleanze e dedicarsi totalmente alle sue regioni di radicamento.
Le riforme costituzionali vanno in direzione di una forte riduzione delle autonomie regionali. Ma alcune regioni autonome sembrano pronte a rinunciare ai diritti attuali in cambio di qualche garanzia economica, seppur passeggera. Sintomo di inadeguatezza dei politici o di un processo inevitabile?
Abbiamo sperimentato l’insuccesso delle forti autonomie regionali, i costi aggiuntivi, i disagi e le cattive conseguenze. Ritengo giusto ripensare al titolo V della Costituzione anche alla luce del cattivo uso che se n’è fatto. Sull’inadeguatezza dei politici mi pare di poter dire che si tratta di una considerazione di ordine generale, seppure non generico, che non può cioè attribuirsi solo a chi ha governato quelle regioni. Sui processi inevitabili io non credo, perlomeno mai in assoluto; qualche anno fa pareva inevitabile modificare il titolo V della Costituzione in senso di rafforzare le Regioni. La storia ha le sue mode e i suoi capricci, e produce i suoi conformismi…
Un altro grande autore come Pietrangelo Buttafuoco si batte per l’eliminazione dell’autonomia siciliana. Condivide la sua posizione?
Si, per le ragioni generali che ho detto, a cui si aggiunge nel caso specifico lo spettacolare, speciale malgoverno siciliano, regno dello spreco e dell’inefficienza costosa, impermeabile a ogni denuncia, a ogni mutamento. O se preferite un rimedio paradossale, manteniamo l’autonomia della regione Siciliana ma poi mandiamo a governarla mille giapponesi in tenuta da guerra con pieni poteri.
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