Caro Gianni,
il Mediterraneo è da sempre al centro dei tuoi studi e “Il Nodo di Gordio” non ha mai fatto mancare spazio ad un tema così importante. Per questo, l’apertura della rubrica “Dialoghi mediterranei”, è quanto mai importante. Soprattutto ora che questo luogo torna ad essere prepotentemente all’attenzione di chi, non solo in Italia, lo riteneva oramai secondario. Non è così: il Mare Nostrum appare nuovamente centrale nello scacchiere geopolitico internazionale, nuovi paesi spostano la loro attenzione su questa regione: la Cina è tra questi…e l’Italia deve farsi trovare pronta.
Spero quindi che questo sintetico contributo, possa essere da stimolo ad ulteriori riflessioni.
Ugo Cardini
La Belt and Road Initiative e il Sogno Cinese
La “21st Century Maritime Silk Road” rappresenta la componente marittima della Belt and Road Initiative (BRI), l’ambizioso progetto geopolitico ed economico annunciato per la prima volta dal Presidente cinese, Xi Jinping, con un discorso presso la Nazarbayev University di Astana, in Kazakhstan, nel settembre 2013. L’iniziativa coinvolge attualmente 68 paesi che rappresentano all’incirca il 65% della popolazione mondiale e il 40% del PIL. Lo scopo della BRI è quello di essere, innanzitutto, il vettore di realizzazione del c.d. “Sogno Cinese” e pertanto, come quest’ultimo, il suo orizzonte temporale si estende fino al 2049. Il “Sogno Cinese” (中国梦Zhōngguó mèng: 中国vuol dire “Cina”, mentre 梦significa “sogno”) è a sua volta il fulcro del “Pensiero di Xi”, recentemente formalizzato col suo inserimento nello Statuto del PCC, e rappresenta un ritorno ad una narrazione supernazionalista improntata alla rinascita della Cina come grande potenza tramite la sua ascesa pacifica. L’obbiettivo è la trasformazione della Cina in un paese “forte e ricco” entro il 2049 (cento anni della fondazione della RPC). La realizzazione di tale strategia prevede il completamento di un piano, denominato Made in China 2025, che punta ad assicurare la leadership nei settori tecnologici strategici e nei principali network produttivi, e della BRI, con l’obbiettivo di rivoluzionare le supply chainsglobali e influenzare l’economia mondiale in ottica sino-centrica.
Le Nuove Vie della Seta
La Nuova Via della Seta si articolerà su diversi percorsi, terrestri e marittimi. La componente terrestre, in particolare, sarà organizzata su sei corridoi economici (Cina-Mongolia-Russia, New Asia-Europa Land Bridge, Cina-Medio Oriente- Sudovest Asiatico, Cina-Pakistan, Bngladesh- Cina- India-Myanmar, Cina-Indocina). La componente marittima, invece, sarà costituita proprio dalla “Via della Seta Marittima del 21° secolo”, che giungerà fino al Mediterraneo passando per il Canale di Suez. In futuro, in affiancamento a quest’ultima, sarà poi attivata una nuova Via Artica (articolata su una rotta a nord-est, sopra la Russia, ed una a nord-ovest, sopra il Canada). Tale seconda via marittima consentirebbe un risparmio del 25% rispetto all’analoga mediterranea ma, pur essendo stata ufficializzata dal Consiglio di Stato della RPC col suo inserimento del “Libro Bianco” sulla politica artica pubblicato il 26 gennaio 2018, la sua fattibilità è ancora da verificare.
IL Mediterraneo
L’Europa, primo partner commerciale della Cina, rappresenta il punto di arrivo di gran parte dei corridoi marittimi e terrestri. In ogni caso, seppur importante, la componente terrestre non sarà mai in grado di movimentare ingenti flussi commerciali, che quindi si muoveranno principalmente via mare: cioè nel Mediterraneo. Il Mare Nostrum sta per questo ritrovando un ruolo fondamentale nell’ambito delle rotte marittime internazionali: da solo assorbe il 20% del traffico mondiale (2 miliardi di tonnellate annue), pur rappresentando appena l’1% della superficie acquea globale. Rispetto al 1995, quando il 53% dei traffici riguardava le rotte transpacifiche e la tratta Europa-Asia aveva una quota del 27%, si è verificato un notevole riequilibrio a favore della tratta europea che oggi pesa per il 42% del mercato contro il 44% della tratta transpacifica. Inoltre, se nel 2001 la gran parte dei traffici in entrata da Suez proseguivano verso Gibilterra per dirigersi verso i porti nordeuropei, adesso la percentuale di unità che si fermano nei porti mediterranei è passata dal 34% al 56%. La rinnovata centralità mediterranea è anche dovuta al raddoppio del Canale di Suez che, completato nell’agosto 2015, consente di aumentare i passaggi giornalieri da 49 a 97 navi e ridurre i tempi di percorrenza da 18 a 11 ore. Attualmente, secondo i dati del centro Studi e Ricerche per il Mezzogiorno (SRM), il 10% del traffico globale attraversa Suez (17.500 navi nel 2017, +4,3%) con 908,6 milioni di tonnellate di merci (+11%) che sono transitate nel canale (52% container e 24% oil) nell’ultimo anno. Di questo traffico, il 6,3% ha come origine/destinazione l’Italia.
Il Dragone nel Mare Nostrum
Vista la nuova centralità del Mediterraneo, gli investimenti cinesi nell’ambito della Maritime Silk Road, sono ingenti. Ad oggi le acquisizioni nel Mediterraneo allargato, nel solo periodo 2015-2017, hanno raggiunto il valore di 4,6 miliardi di dollari e il principale investitore è la China COSCO Shipping Corporation Limited. Complessivamente la Cina detiene partecipazioni in tutti i porti interessati dalla Maritime Silk Road: Haifa, Asdod, Ambarli, Abu Dhabi, Rotterdam, Anversa, Zeebrugge, Marsiglia, Malta, Bilbao, Valencia. L’operazione più importante resta tuttavia l’acquisizione del porto del Pireo, avviata nel 2008, che ha comportato investimenti per oltre 5 miliardi e la possibilità, per la prima volta per una impresa di stato cinese, di controllare un’Autorità Portuale europea. Secondo le intenzioni cinesi, sarebbe dovuto essere proprio il Pireo il principale snodo per le merci provenienti da Suez. L’idea cinese era quella di concentrare gran parte delle merci proprio in Grecia per poi, tramite una linea ferroviaria da costruire, redistribuirle nel resto d’Europa. Il progetto si è tuttavia rivelato poco praticabile e l’iniziativa diplomatica italiana è riuscita a riequilibrare la bilancia a favore del nostro paese. I cinesi si sono resi ben presto conto che sarebbe stato estremamente più economico e vantaggioso poter scaricare le merci direttamente nei porti del nord Italia piuttosto che far affrontare a milioni di container un lungo viaggio via treno, attraverso la penisola balcanica, su una ferrovia che al momento non esiste.
L’Italia
Per questo, a partire dal 2014, l’interesse cinese per l’Italia è notevolmente aumentato e, di pari passo, sono aumentate anche le acquisizioni. Aziende di stato cinesi detengono partecipazioni in FCA, Telecom Italia, Enel, Eni, Generali, Terna, Prysmian, Ansaldo Energia, UniCredit, MPS, Intesa Sanpaolo, Mediobanca, CDP Reti, Saipem, Esaote. L’operazione più importante resta in ogni caso l’acquisizione di Pirelli per la cifra record di 7,3 mld di euro. Per quanto riguarda il sistema logistico, in Italia, COSCO e Qingdao detengono complessivamente il 49,9% del nuovo terminal container di Vado Ligure, che entrerà in funzione nel 2019. Sempre per il 2019 è previsto il completamento dell’acquisizione nel nuovo terminal container in costruzione a Trieste, mentre a Ravenna è stata recentemente inaugurata un società di ingegneria navale. I porti di Genova (54 mln di tonnellate di merci movimentate, tra cui 2,6 mln TEU) e Trieste (62 mln di tonnellate di merci movimentate, principalmente rinfuse) rappresenteranno quindi uno snodo fondamentale per la BRI e saranno in competizione con i maggiori porti mediterranei. Per evitare di essere tagliati fuori dal commercio mondiale è allora necessario completare gli investimenti previsti sia in ambito ferroviario (Terzo Valico, Torino-Lione) che portuale (nuova diga foranea di Genova). Ma è allo stesso tempo doveroso assicurarsi che gli investimenti cinesi siano sostenibili e privi di intenzioni predatorie. Per scongiurare tale rischio si rende necessaria una efficacie normativa sul Golden Power e una costante sorveglianza governativa.
Ugo Cardini
Grazie Ugo articolo estremamente interessante, che mi porta a lanciare una provocazione. Nell’ottica di rendere organica la materia e fornire elementi di concretezza utili alla auspicabile stesura di un documento nazionale di strategia marittima (quale derivata prima di una strategia nazionale di sicurezza sistemica)perché non aprire una finestra di osservazione comparativa anche agli altri mediterranei (artico, golfo p, mar cinese, caraibi etc)…nr, criticità ed opportunità per l’Italia? Come ho detto è solo una provocazione!!! grazie dell’Attenzione.
Gentile Lettore, La ringrazio per i complimenti e raccolgo con piacere la Sua provocazione.
Come Lei ricorderà l’ex CSMM Amm. De Giorgi, ma non solo, durante tutto il suo mandato si è prodigato nel ricordare (soprattutto al legislatore) la forte “vocazione marittima” di cui l’Italia pare essere sorprendentemente inconsapevole. Tale inconsapevolezza rappresenta, e rappresenterà sempre di più, un serio problema che, esasperando il concetto, potrebbe portare il nostro Paese a subire passivamente le scelte altrui con le gravi conseguenze geopolitiche ed economiche connesse. Fortunatamente al livello tecnico (diplomatico-militare-industriale) questa consapevolezza è presente e alcuni risultati si sono visti, anche grazie all’impegno diretto delle massime cariche istituzionali (come la sponsorizzazione dei porti italiani in affiancamento al Pireo portata avanti con la fruttuosa visita in Cina del Presidente della Repubblica).
La Sua proposta è quindi quanto mai opportuna: è essenziale avere presente quali e dove sono i nostri interessi marittimi e quali le sfide, le opportunità ma anche i rischi che ci troveremo ad affrontare in futuro. Auspico quindi che il Nodo possa raccogliere la sfida e fornire un contributo, nell’ottica da Lei proposta, per definire un quadro dei nostri interessi marittimi. Magari anche nella prospettiva di contribuire alla stesura del documento nazionale di strategia marittima cui prima accennava. Per quanto mi riguarda sarei comunque già sufficientemente soddisfatto se si riuscisse almeno a prestare adeguata attenzione al Mediterraneo (allargato) e ai mutamenti geopolitici, economici e militari che lo attraverseranno nei prossimi anni. Almeno in questo ambito la strategia nazionale deve essere chiara, organica e di lungo periodo. Come ho cercato di spiegare anche nell’articolo, i nostri partner/competitors definiscono strategie globali con un orizzonte di 30-40 anni, noi?
Caro Ugo, trovo l’articolo molto interessante del resto la nuova via della seta potrebbe essere un’occasione unica per riportare l’Italia al centro del Mediterraneo, leggendo con attenzione il suo articolo mi sono accorto che non vengono citati i porti del mezzogiorno, e in particolare il porto di Gioia Tauro, forse l’unico in (Italia?) che potrebbe rispondere ai grandi numeri della nuova via della seta. Provo anche io a lanciare una provocazione e chiedo se sia possibile dialogare anche su questo porto o forse chiedo troppo….?.
Grazie
Caro Franco, La ringrazio naturalmente per l’interesse dimostrato e anche per la domanda stimolante. Purtroppo nel mio breve articolo non ho analizzato la situazione dei porti del sud semplicemente per una questione di spazio, non certo per dimenticanza! Cerco allora di rimediare in questo commento:
Al Sud il sistema portuale è sempre stato asse portante dell’economia locale, dal sud vengono i grandi armatori italiani e anche i bravi marittimi presenti sulle nostre navi. E’ impossibile dimenticarsi di questo.
Nel caso concreto della BRI però, è innegabile che i porti del sud si trovino geograficamente svantaggiati. Non dimentichiamo che le merci cinesi hanno come destinazione ultima tutta l’Europa e non solo l’Italia. Il loro interesse dunque è quello di percorrere via mare la distanza più lunga possibile e poi caricare merci e container su treni e camion per raggiungere capillarmente ogni città d’europa. In buona sostanza: perché mai dovrei scaricare i container a Bari, Taranto o Gioia quando posso farlo a Venezia, Genova o Trieste? Per i cinesi è estremamente più conveniente che le merci attraversino lo stivale via mare che non via ferrovia/autostrada (senza considerare che attualmente questi collegamenti o non esistono o non sono sufficienti). Con le dovute semplificazioni, la risposta è questa: il problema dei porti del sud, è che sono troppo a sud.
Lei cita giustamente Gioia Tauro, avendo sicuramente in mente come questo sia stato per anni ed anni il principale porto italiano. Perché allora non è coinvolto nei traffici della BRI (se non in minima parte)? La ragione è semplice: esiste già il Pireo. Lo storico successo di Gioia Tauro lo si deve alla sua posizione strategica ( nel centro del Med), ai suoi fondali profondi e ai suoi spazi. La sua funzione però è sempre stata quella di fungere da snodo, è un porto di transhipment cioè:
i container arrivano, vengono scaricati e poi caricati su altre navi più piccole per smistarli nei porti d’europa incapaci di accogliere le meganavi provenienti dall’Asia. Attualmente però, per quanto riguarda la BRI, questa funzione verrà svolta dal Pireo.
Il Pireo infatti ha una buona posizione (molto vicino a Suez), ha grandi spazi e buoni fondali ma, sopratutto, è completamente in mano ai cinesi. Cosco, non solo si è comprata i terminal e le banchine, ma addirittura l’Autorità Portuale. In Italia un situazione del genere sarebbe stata impensabile, da noi le Autorità di Sistema Portuale sono Enti Pubblici (anche se pare verranno trasformati in SpA) e il porto stesso fa parte del Demanio dello Stato (che può essere dato in concessione, ma non ceduto).
Come può immaginare quindi, se anche il Porto di Gioia Tauro fosse stato sponsorizzato dalle nostre Istituzioni (come avvenuto per Genova e Trieste), i cinesi avrebbero comunque preferito il Pireo in virtù delle concessioni fatte dai greci, per noi (giustamente) impensabili.
Gioia è allora destinata al declino? Non proprio, i numeri restano comunque sostanziosi (2,4 mln di TEU nel 2007) anche se in forte calo (-12% sul 2016 e ben 2mln) rispetto al 2008 (quando si movimentavano 3,6 mln) ma potrebbe trovare una “nuova vita” come porto di ultima istanza (ovvero assorbire le navi rifiutate da altri porti).
Gli ultimi governi quindi, non hanno agito “discriminando” i porti del sud, ma ha semplicemente hanno preso atto che questi non sarebbero stati appetibili alla Cina e che l’unico modo per coinvolgere il “sistema Italia” nella BRI era offrire i terminal del nord Italia e collegarli il prima possibile alle reti di trasporto trans-europee (ecco qui spiegata la necessità della TAV, altro che analisi costi-benefici). Come forma di contro partita per il sud è stata però previsto un importante strumento: l’istituzione delle ZES (zone economiche speciali). Si tratta di creare zone geograficamente circoscritte, vicine ai porti, entro cui i confini valgono regole diverse da quelle vigenti sul resto del territorio nazionale (principalmente di ordine fiscale). Questo consentirebbe l’installazione di nuove imprese di produzione, logistica e servizi che poi si avvarrebbero dei porti di riferimento per import/export. Le ZES, istituite per legge solo al Sud, sono Bari-Brindisi, Abruzzo-Molise, Cagliari, Napoli-Salerno, Taranto, Palermo, Catania, e proprio Gioia Tauro. Funzionerà?
Spero di aver risposto alla sua giusta domanda
Caro Ugo, la sua è un’analisi triste. Le stesse parole sono state usate dalle classi politiche che ci hanno governato fino ad oggi e che hanno abbandonato il sistema portuale del sud Italia per non svantaggiare il resto, non credo che l’obbiettivo dei cinesi sia quello di percorrere la distanza più lunga via mare, altrimenti che senso avrebbe comprare il porto del Pireo?. Credo che connettere i porti meridionali al sistema infrastrutturale europeo comporterebbe la riduzione dei tempi di consegna di 1-2 giorni rispetto Genova e altri.
Oggi Rotterdam attraverso servizi diretti con Singapore riesce a garantire gli stessi transit times di Genova, quindi se fosse vero quello che lei dice che senso ha per i cinesi approdare a Genova quando possono arrivare a Rotterdam con tempi identici?
I primi investimenti cinesi nel Pireo risalgono al 2008 quando la BRI non era neanche stata teorizzata. Così, quando l’Iniziativa ha iniziato a concretizzarsi, i cinesi già si trovavano con un grande porto in mano e a poco prezzo, è ovvio che quello sia stato considerato il “ventre molle” tramite cui raggiungere l’Europa. E’ per questo che prevedevano di costruire la Cina-Europe Land-Sea Express Railway che consentisse di collegare Budapest al Pireo.
E’ in questa fase che la nostra diplomazia si è inserita proponendo i porti del nord. E il ragionamento è semplice: perchè invece che costruire una ferrovia balcanica non attraccate a Trieste e Genova che il collegamento con le reti ferroviarie europee le hanno già? Questa è la convenienza che abbiamo offerto ai cinesi.
I porti del sud invece non sarebbero stati un’alternativa. Non solo perché si allungano i tempi ma perché una volta che i container sono stati scaricati li, mancano le infrastrutture per trasportarli nel resto d’Europa. L’unico modo sarebbe stato costruire una linea ad alta capacità da Gioia Tauro a Trieste (cosa che avrebbe richiesto una 30ina d’anni?). Ma anche in questo caso sarebbe comunque più vantaggioso andare a Trieste direttamente. Gioia Tauro a cosa è connessa? Da Trieste partono 170 treni merci alla settimana diretti in Austria, Germania, Ungheria, Belgio ecc. Pensi che un container sbarcato a Trieste può raggiungere Londra via treno: è facile capire perché i porti del nord sono stati una scelta “obbligata” per il governo italiano.
Certo avremmo potuto anche proporre il sud Italia, ma semplicemente non saremmo stati considerati. D’altra parte sono i cinesi che decidono le proprie strategie commerciali, non noi. Se la Cina vuole acquisire il terminal di Vado Ligure perché è ben collegato e posizionato (come è avvenuto) non posso costringerla a comprarsi quello di Taranto. E’ evidente.
Cosa posso fare allora a Taranto? Istituire una ZES che favorisca non solo l’arrivo di merci ma anche l’insediamento di imprese. Il fatto che le ZES siano istituibili solo al sud è un vantaggio notevole che viene dato ai porti meridionali e questo è l’unico modo in cui sarebbe potuto intervenire qualsiasi governo nella situazione attuale.
Forse si sarebbe potuto trattare con i cinesi per favorire Gioia Tauro come porto di transhipment in alternativa al Pireo. Forse. Ma bisognava pensarci nel 2008, prima che la Cina sborsasse 4,3 miliardi. E bisognava offrirgli le stesse condizioni: mano libera sul porto per 35 anni e controllo dell’autorità portuale. E poi quale sarebbe stata la qualità dei posti di lavoro offerta? il porto del Pireo ha una percentuale bassissima di dipendenti sindacalizzati e ogni forma di dissenso è mal tollerata. Addirittura quando venne improvvisato un picchetto da alcuni operai fuori dal porto, intervenne lo stesso ambasciatore cinese nei confronti del governo di Atene per far rientrare la cosa.
Ultima precisazione:
I porti del nord europa richiedono 7 giorni di navigazione in più per essere raggiunti rispetto a quelli del nord Italia. Le tempistiche non sono assolutamente uguali. Se il nord europa è stato preferito è esclusivamente per la maggiore efficienza dei suoi scali. Ma è chiaro che se gli scali mediterranei ripianassero questo gap tecnologico/organizzativo allora nessuna compagnia avrebbe interesse ad attraccare a nord. Non è un caso se il traffico nel mediterraneo è aumentato di 6 volte in 20 anni e se il 41% del mercato è detenuto dai porti euro-mediterranei mentre ai porti del nord resta il 40% ( – 6% sul 2008): si sta verificando un’inversione di tendenza a nostro favore.
Spero quindi di aver chiarito che non c’è, ovviamente, nessun intento punitivo nei confronti dei porti del sud. Semplicemente non sarebbero stati un’alternativa credibile. Saluti.
Concludo anche io citando un ex ministro dei trasporti della Repubblica Italiana nonché ex presidente della regione Liguria: “non un treno deve partire dal porto di Gioia Tauro, è un ordine!” e aggiunge “se fai partire un solo treno da Gioia Tauro ti caccio” il destinatario di tutto questo era un ex presidente di Ferrovie dello Stato, tutto questo spiega perché il porto di Gioia Tauro non è collegato alla linea ferroviaria alta capacità, le do una notizia, non bisogna costruirne una nuova ferrovia fino a Trieste ma esiste già bisogna collegare il porto alla ferrovia e bisognerebbe collegare anche il porto di Taranto. Chiudo con l’invito a riflettere sulla mancanza di infrastrutture al sud e sulle possibilità di sviluppo che si aprirebbero se queste venissero realizzate, a giovarne sarebbe l’economia italiana non solo il sud e potremmo iniziare a porre fine a questo storico dualismo che ci sta portando al declino.
Ultima considerazione:
Istituire delle zone economiche speciali in aree prive di infrastrutture fondamentali per far muovere le merci è pura follia, si moltiplicheranno quelle che vengono definite cattedrali nel deserto.