Fonte: ragusaoggi.it
Autore: Ermanno Visintainer
In questi giorni è trapelata la notizia della caduta di Maaloula, un villaggio dove fino a ieri cristiani e musulmani convivevano pacificamente, situato 60 chilometri a nordest di Damasco che ospita due dei monasteri più antichi di tutta la Siria. Fino allo scoppio dell’aggressione terroristica interna una delle principali mete d’attrazione turistica e spirituale.
Un luogo altamente simbolico e rappresentativo dell’intero Medio Oriente cristiano, dove, si può dire, che si sia fermato Cristo in quanto ancora vi si parla – e probabilmente ancora per poco – l’aramaico. Lingua parlata al Suo tempo ed in cui furono redatti i primi Vangeli.
“Abun d’bashmayâ”, così inizia il “Padre Nostro” in questa lingua sacra ed obliata e con un’assonanza ancor più arabizzante l’“Ave Maria”, “Shlom lekh Maryam”, sebbene nel cristianesimo, a differenza delle altre due grandi religioni monoteistiche, non esistano lingue sacre. Neppure i Testimoni di Geova, per quanto sclerotizzati nell’esegesi letterale del testo, riconoscono sacralità alla lingua, tant’è che pur traducendo le loro riviste in tutti i dialetti del mondo, in Italia, le sacre scritture le commentano esclusivamente in italiano.
Una preghiera quella del “Padre Nostro” che però, il biblista Gianfranco Ravasi, ha recentemente voluto onorare attraverso una lettura[1]. Mentre un tributo alla lingua è stato assegnato all’iperrelistico e suggestivo film scritto e diretto da Mel Gibson: La passione di Cristo (The Passion of the Christ) del 2004.
Maaloula è destinata però a scomparire, ad essere cancellata dalla carta geografica qualora questi cosiddetti “ribelli” non siriani, stranieri, pakistani, ceceni, wahhabiti del Golfo ed altri, dovessero rappresentare l’alternativa ad Assad per il futuro del Paese.
Fondamentalisti e terroristi che certamente non sanno chi fosse quel monaco e anacoreta siriaco di nome Bahīrā[2], cui Pietrangelo Buttafuoco ha dedicato il romanzo “L’ultima del diavolo”[3].
Un personaggio storico, menzionato dal grande commentatore coranico al-Tabari (838–923), il quale avendo incontrato Maometto ancora bambino in viaggio con la carovana dello zio Abu Talib, gli riconobbe il segno della profezia nel mezzo delle spalle. Ma salafiti e wahhabiti ignorano tutto ciò, come ignorano l’evoluzione storica dell’Islam.
Gli abitanti di Maaloula che non sono riusciti a fuggire dall’assedio sono stati assassinati o coartati a convertirsi forzatamente all’islamismo, delle chiese sono state date alle fiamme, contravvenendo al precetto islamico e coranico della II sura, al-Baqara, versetto 256 in cui è scritto: “la ikraha fi ad-din”, ovvero che non può esserci costrizione nella fede».
E qui ritorniamo al conflitto, già citato in altri articoli, in corso fra islamismo e Islam, fra salafiti, wahhabiti e al-qaidisti da una parte, in una parola essendo in Siria neo-omayyadi e l’Islam inteso diacronicamente come fenomeno storico dall’altra. Nel senso che un atteggiamento del genere non appartiene allo spirito di questa religione.
D’altronde non è che i governi occidentali così unificati sul principio dell’omogeneità culturale-religiosa – ma solo quella e nominalmente – dell’Europa abbiano mai mostrato particolare interesse nei confronti di queste enclave cristiane arabofone.
Ora, il Santo Padre Francesco sulla scorta del digiuno biblico o tzom e di quello islamico o sawm, ma altresì di quello quaresimale, sabato scorso, ha indetto una giornata di digiuno e preghiera a favore della pace in Siria e in Medio Oriente, cui hanno aderito esponenti di varie religioni.
Quindi, durante l’Angelus di domenica scorsa ha esortato alla cessazione delle violenze e delle devastazioni in Siria assieme ad una richiesta di “stabilità” per il Libano, definito “modello di convivenza”. “Riconciliazione” contro la “violenza settaria in Iraq”. “Decisione e coraggio” per far progredire il “processo di pace tra Israeliani e Palestinesi”. Impegno degli “egiziani, musulmani e cristiani a costruire insieme la società per il bene dell’intera popolazione”. Ha postulato inoltre un quesito instillando il dubbio se: “questa guerra di qua, quest’altra di là – perché dappertutto ci sono guerre – sia davvero una guerra per problemi o piuttosto una guerra commerciale per vendere queste armi nel commercio illegale?”[4].
Delle affermazioni forti che, sebbene equilibrate, sono state generalmente anche apprezzate. Negli Usa l’opinione pubblica è spaccata a metà fra interventisti e memori delle bastonate dell’esperienza irachena ed afghana. Nella Ue, manco a farlo apposta, gli interventisti in generale sono i Paesi oppressori del nord che attraverso lo spauracchio dello spread hanno imposto un’economia a due pesi e due misure nei confronti dei Paesi declassati, fra cui il nostro. La Russia assieme alla Cina e all’Iran è schierata con il Presidente Assad. La Turchia osserva.
Sta di fatto che la situazione versa in uno stato d’immobilismo, o forse più esattamente di calma prima della tempesta, con Riyadh che preme per un intervento diretto degli Usa. Infatti, non va dimenticato che le monarchie petrodollaro-wahhabite della Penisola Arabica controllano, attraverso i loro ricchissimi Fondi Sovrani, delle quote rilevanti del debito pubblico statunitense, oltre ad essere presenti come azionisti in molti grandi gruppi industriali statunitensi. Una posizione dalla quale possono, appunto, esercitare forti pressioni tanto sul Congresso che sulla stessa Casa Bianca[5].
Una proposta dell’ultima ora a favore della pace e della distensione viene dal Presidente russo Putin, il quale ha avanzato l’idea di porre l’arsenale chimico siriano sotto il controllo internazionale, accettata dal Presidente siriano Assad. Da Washington è arrivato un segnale di apertura sebbene l’impazienza di attaccare non sia del tutto placata.
Una cosa certa è che ogni intervento militare che ribalti l’equilibrio delle forze in campo sullo scacchiere mediorientale non può fare altro che rafforzare i fondamentalisti e Al Qaida, come ampliamente hanno dimostrato le guerre dell’ultimo decennio. Comportando una minaccia diretta di carattere economico in primis per l’Europa e a maggior ragione per noi, quindi per Israele in seguito, ma con altre modalità. Quanto all’America, essa è lontana. Di mezzo c’è un oceano. Destabilizzazioni più di tanto non ne subisce.
[1] http://www.youtube.com/watch?v=dFacWjEnNyk.
[2] W. M. Watt- A.T. Welch, Maometto e il Corano, 1981, Milano. P. 132.
[3] Pietrangelo Buttafuoco, L’ultima del diavolo, Mondadori, Milano, 2008.
[4] http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/politica/2013/09/08/dubbio-Papa-forse-guerra-vendere-armi-_9265484.html.
[5] http://www.intelligonews.it/siria-la-vera-partita-obama-re-tentenna-eterodiretto-dai-sauditi/.