Intervista a cura di Daniele Lazzeri, chairman de “Il Nodo di Gordio”
La complessa situazione in tutta la scacchiera mediorientale merita ulteriori approfondimenti. Il think tank “Il Nodo di Gordio” ha intervistato a questo riguardo l’illustre prof. Marc Lynch, direttore del Centro studi sul Medio Oriente alla George Washington University e autore di un interessante volume dal titolo “The Arab Uprising. The Unfinished Revolutions of the New Middle East” (PubblicAffairs, p. 288 USD 26.99); libro che Lynch presenterà il prossimo lunedì 25 marzo a Venezia, presso la Scuola di relazioni internazionali dell’università Ca’ Foscari.
A lui abbiamo chiesto i possibili sviluppi futuri delle cosiddette “Primavere Arabe” e il ruolo dei nuovi media nel contesto mediorientale.
1. Nel suo libro sostiene che anche l’Arabia Saudita avrà la sua “Piazza Tahrir”. Dunque le primavere arabe avranno una prosecuzione?
Le rivolte che abbiamo visto all’inizio del 2011 sono solo una manifestazione di un profondo cambiamento strutturale nella natura della politica araba. Le proteste e il dissenso popolare stavano crescendo nella regione nel primo decennio degli anni 2000, e continueranno a realizzarsi pian piano nel prossimo decennio. Non credo che l’Arabia Saudita e le monarchie del Golfo siano immuni da questi problemi. Loro hanno più risorse finanziarie e sostegno internazionale a cui fare ricorso ma affrontano ancora sfide profonde di una crescente generazione interconnessa che è insoddisfatta della corruzione, della repressione politica e dell’assenza di opportunità.
2. Le rivolte nel Nord Africa hanno tradito l’aspettativa di un futuro democratico per le nazioni coinvolte?
Non c’è garanzia che le rivolte popolari produrranno democrazia. Sono guidato da profonde pressioni per il cambiamento, ma queste energie e questi reclami posso condurre all’anarchia o anche a nuove forme di populismo autoritario. Molti rivoluzionari hanno avuto pretese economiche e l’economia in Egitto e Tunisia è solo che deteriorata dal 2011. I movimenti rivoluzionari non sembra nemmeno stiano facendo bene alla partecipazione democratica, siccome rappresentano piccole minoranze e spesso non vogliono fare il duro lavoro dell’organizzazione democratica.
3. Al Jazeera ha progressivamente perso il suo ruolo guida nell’informazione per il mondo arabo Sunnita. Nel fronte sciita, comunque, l’emittente televisiva Al-Manar, gioca un ruolo centrale nella battaglia di Hezbollah?
Al-Jazeera lo ha ridotto in parte perché ha iniziato ad associarsi alla politica estera del Qatar, e ha perso il suo status di una voce autentica della strada araba. Al-Manar ha un ruolo importante per Hezbollah, ma il suo ruolo è sempre più limitato ai soli ascoltatori sciiti come la politica araba diviene più settaria e la Siria ha coinvolto tutti i calcoli politici.
4. Quali altre nazioni potrebbero essere soggette a nuovi processi rivoluzionari?
Nessuna nazione nella regione è immune a queste forze strutturali. Nazioni come l’Egitto e la Tunisia possono vedere un altro giro di rivolte, mentre nazioni finora stabili come Giordania e Marocco posso ancora sperimentare un’ondata di contestazioni. Persino gli stati del Golfo affronteranno continue sfide, specialmente in Bahrain e Kuwait.
5. Quale ruolo stanno giocando i social network?
I social media sono importanti per amplificare le tendenze politiche, per dare voce ai cittadini, e facilitare l’attivismo politico. Nel periodo delle rivolte arabe hanno contribuito potentemente ad unificare il mondo arabo intorno ad un racconto di lotta popolare, ma nell’ultimo anno i social media hanno contribuito ad allargare la frammentazione politica, il settarismo, e la polarizzazione tra gli islamisti e I loro rivali.
6. I precedenti regimi in Iraq e Libia sono caduti come risultato di un’operazione militare. Ma, anni dopo, quelle aree sono ancora instabili. Sono queste dunque state un fallimento militare e geopolitico?
Non penso la Libia sia stata un fallimento. Ha combattuto per costruire un nuovo stato al di là delle rovine del regime non istituzionalizzato di Gheddafi, ma io credo che nei prossimi anni si unificherà e diverrà uno Stato molto apprezzato. In Iraq, all’opposto, è stata un’invasione disastrosa sotto ogni punti di vista. L’Iraq resterà probabilmente instabile, violenti e semi autoritario per molti anni.
7. La Siria e l’Iran avranno un destino comune? Se Assad dovesse cadere, l’Iran avrà I giorni contati?
La Siria è probabile che rimanga in tumulto per molti anni, anche dopo la caduta di Assad. Questo danneggerà il ruolo regionale dell’Iran, dato che la Siria è il suo più forte alleato, ma è probabile che troverà modi per adattare ed estendere la sua influenza anche in una Siria del dopo-Assad.
8. Stati Uniti e Israele stanno premendo in tutto il Medio Oriente. Quale sarà il ruolo dell’Europa?
Non ho visto un ruolo forte per l’Europa nella primavera araba, in parte perché le divisioni politiche sulla Siria e in parte per I suoi sforzi economici. Il più grande impatto positivo che l0Europa potrebbe avere nelle transizioni arabe sarebbe trovare nuove vie di aprire i suoi mercati ai beni e al lavoro dalle nazioni del nord Africa e promuovere investimenti. L’idea di un partenariato Euro-Mediterraneo non è mai stato rilevante come adesso.
Il Marocco e la Giordania sono gli unici due stati che godono del favore degli USA e i cui regnanti possono vantare una discendenza diretta dall’ahl al-baiyt! Inoltre, la loro posizione strategica (Marocco nel Maghreb e Giordania in Medioriente) offre una base di appoggio per politiche di contenimento che l’Occidente ha perso con la caduta dei regimi in Tunisia, Libia ed Egitto e perciò non sarei così certo della loro futura caduta in nome di queste psseudo primavere. Il ruolo di Israele non lo vedrei così preminente dato che si contestualizza sempre del dualismo con l’Iran e le sue costole operative. L’Europa? La grande assente…e come potrebbe essere diversamente! Nel vecchio Continente si viaggia in ordine sparso praticamente su tutto, la Ashton è come un sibilo nell’aria…”appena udibile” e ogni stato membro dell’UE fa la sua politica estera in maniera bilaterale e non multilaterale come dovrebbe essere; perciò è evidente che contiamo e conteremo sempre meno in una regione per noi (Europa) VITALE.