Scrivo queste poche righe dalla caffetteria del Circolo Militare di Melilla, nell’Africa Spagnola. Da questo osservatorio privilegiato e’ possibile toccare con mano il senso di declino che pervade la Spagna di oggi; un declino non solo materiale ed economico, ma soprattutto di influenza geopolitica e di percezione del Mondo da parte degli stessi cittadini iberici.
Quando non parlano delle amanti del re, degli scandali finanziari legati al recente salvataggio del sistema bancario, delle tangenti ai partiti ( tutto il Mondo e’ paese in fondo) , i giornali ricordano ai lettori di questa enclave che l’ Impero non esiste più ed e’ ora di accorgersene.
Il sistema militar-machista che era la spina dorsale del Franchismo qui sopravvive incontaminato, e’ vero, il lungomare la mattina presto diviene la pista da jogging degli uomini e donne in divisa, e la biblioteca civica e’ piena di libri sulla vita militare, sui concorsi pubblici e sui test per l’arruolamento. Sulle case di mezza città ci sono targhe commemorative del franchismo, della dittatura di Don Primo de Rivera e della guerra d’Africa (la Grande guerra d’Africa per gli spagnoli).
A poco a poco però, quella che storicamente e’ da secoli un’area di cultura spagnola, e che va diciamo dal nord del Senegal, con le “africane” Canarie, il Sahara Occidentale ( ora “marocchino”, dove circolava la peseta fino agli anni ’70, con El Aiùn, Cabo Juby, Ifni, Tetouan ormai rimaste spagnole solo nella memoria di qualche vecchio filatelico), il Rif, fino alla spagnolissima Orano, nell’attuale Algeria, e’ ridotta oramai a un museo vivente di quello che era e che non e’ stato (la Guinea Equatoriale Spagnola, cioè in effetti i vecchi possedimenti equatoriali di Bata, Rio Muni e Annobòn non rientrano in quest’area di influenza a mio avviso ma si inseriscono piuttosto nel gioco coloniale per l’accaparramento delle risorse primarie).
Non tutti sanno che oltre a Ceuta e Melilla, città relativamente grandi (a Melilla esiste anche un aeroporto), restano spagnoli gli avamposti africani delle Isole Chafarinas, il cd. Penon de Velez, Alhucemas e Alboran ( dove addirittura ci fu un tentativo di sbarco sovietico negli anni ’60).
La frontiera tra queste enclave e il Marocco che le circonda e’ sorvegliata come lo era la Cortina di Ferro ai tempi del Muro di Berlino, con un’eccezione importante: nessun giovane marocchino (ma ormai più frequentemente si tratta di venti-trentenni provenienti dall’Africa subsahariana, col cellulare, sono anglofoni, spesso ex commercianti, in cerca di un futuro migliore per se stessi ma soprattutto per le enormi famiglie allargate, compresi cugini si secondo grado e amanti, che aspettano di essere mantenute a suon di moneygram una volta che il loro “emigrante” avrà raggiunto l’Europa “vera”, cioè la Francia, la Germania, il Belgio) vuole emigrare a Ceuta o a Melilla.
Tutti sognano un futuro di Nike ai piedi, i-phones e belle macchine da un’altra parte.
Il Drang nach Norden diverrà sempre maggiore, ma passerà sempre meno attraverso queste ex piazzeforti un po’ sonnacchiose.
Del resto la Spagna ha poco da offrire in termini economici, la disoccupazione e’ al massimo storico, e pochi emigranti sono disposti a pagare migliaia di euro solo per apprezzare un’ottima cucina e un clima salubre.
La Spagna dovrà sapersi reinventare, ma come e verso quali obiettivi rivolgersi non è chiaro a nessuno. Già ai tempi della Reconquista dei Reyes Catolicos contro i mori lo spirito imperiale ha salvato la Spagna.
La sua voglia di rivalsa e di egemonia ha reso possibili le grandi esplorazioni geografiche del XV e XVI secolo, donando a un crogiuolo di deboli nazioni genericamente unite dalla fede e da un comune “sentido” storico (inizialmente profondamente anti-islamico), nell’arco di un secolo, un impero sul quale Carlo V (la cui lingua madre era il tedesco) si vantava non tramontasse mai il sole.
Ecco perchè le “Plazas de Soverania” africane sono cosi’ importanti nell’attuale dibattito politico di Madrid. Ed ecco perche’ si potrebbe addurre che il declino spagnolo sia iniziato gia’ prima della crisi immobiliare, con la breve “scaramuccia” (che avrebbe potuto degenerare in qualcosa di molto più serio) a seguito dell'”invasione” marocchina del piccolo isolotto disabitato di Perejil (da esso rivendicato). Rabat si sentiva forte, e Madrid già abbastanza debole da dover reagire con forza inaudita e inaspettata ( lasciando sorpresi tutti noi “armchair generals”). Ora ne capisco i motivi e in parte ne condivido le ragioni.
Persa l’Africa la Spagna perde la sua anima, anche se e’ sufficientemente forte da farsene una ragione.
L’immagine che si vende ancora nelle brochures per turisti (pochissimi) e’ quella di una Melilla che ricorda la Casablanca di Humphrey Bogart, multietnica, tollerante, cosmopolita.
La vera Melilla e’ una città oramai fortemente e quasi esclusivamente berbera, si parla ovunque Amazigh (il dialetto di quest’area del Marocco), gli agenti segreti probabilmente sono impegnati a contrastare i traffici di ogni genere con il Marocco (migranti, sigarette, droga, di recente anche armi) e la grande sinagoga Or Zoruah (Luce Santa) , un tempo vivace indirizzo di cosmopolitìa e cultura, ha per così dire chiuso i battenti, anche se rimane una porta verso l’Est, solo un po’ “più ad Est”: il pian terreno e’ affittato da una tienda china e i proprietari cantonesi, gente laboriosa e piena di inventiva, vendono anche menorah e kippah .
Made in China, por supuesto.
Marzo 2013, Melilla.
Luca Zanni, Centro Carlo Cipolla
Complimenti Luca, un articolo molto interessante su un spicchio d’Europa che sembra proprio uscire dal passato
Ottima analisi, perché chiara ed efficace, specialmente nel farci comprendere come le grandi rivoluzioni, quelle epocali, come ora sta accadendo in Europa, sono l’insieme di apparenti e piccoli cambiamenti antropologici, di atteggiamenti e desideri… Grazie e a presto, Alessandro Bertirotti.