Il Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha annunciato il ritiro dall’accordo sul nucleare iraniano siglato nel 2015. Contemporaneamente ha affermato che l’amministrazione americana programmerà nuove sanzioni contro l’Iran definito come uno Stato che sostiene il terrorismo nel Medio Oriente e che ha come obiettivo la costruzione della bomba atomica. La speranza di Trump e del suo entourage politico è che le sanzioni economiche possano far implodere il regime degli Ayatollah al potere dal 1979.
Nel suo discorso in diretta tv Trump ha attaccato duramente il regime di Teheran affermando che “…. è il primo sponsor del terrorismo in tutto il Medio Oriente con il sostegno a gruppi come Hezbollah, i Talebani, Hamas e Al Qaeda” ed ha definito l’accordo firmato dall’amministrazione Obama “il peggior accordo della storia”.
Per giustificare la sua decisione, Trump ha sostenuto di avere le prove definitive del bluff iraniano, riferendosi al discorso del 30 aprile, nel corso del quale il Primo Ministro israeliano Netanyahu ha presentato documenti che mostrerebbero la volontà di Teheran di completare il programma nucleare.
Il presidente iraniano Rouhani ha replicato al duro attacco americano, affermando che Teheran proseguirà i negoziati d’intesa con gli altri firmatari. La decisione di Trump ha creato infatti una frattura tra gli Usa e i tre Paesi europei che hanno contribuito a rendere attuabile il negoziato, Francia, Germania e Gran Bretagna. L’ONU e l’UE hanno lanciato un appello volto al sostegno, da parte della Comunità Internazionale, del Jcpoa “Joint Comprehensive Plan of Action”. Le uniche voci favorevoli all’amministrazione Trump, sono state quelle di Israele e Arabia Saudita, peraltro in sintonia con la politica anti iraniana sinora perseguita dai due Paesi, anche se su posizioni diverse.
Il ritiro degli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare iraniano dovrebbe avvenire in più tappe, concedendo alle aziende sei mesi di tempo per chiudere le loro attività in Iran. Dopo 180 giorni dovrebbero essere introdotte le sanzioni sul petrolio iraniano.
Le decisioni di Trump hanno acuito lo scontro commerciale in atto ormai da tempo tra Europa e Usa, innescato dai dazi sull’acciaio minacciati da Washington. L’amministrazione americana sta progressivamente sgretolando le basi del sistema commerciale internazionale con le minacce di imporre pesanti dazi alla Cina e a vecchi alleati come il Giappone, il Canada e l’UE. Queste decisioni si aggiungono alla uscita definitiva di Washington dal Trattato di Parigi sul cambiamento climatico. Questa aggressiva politica è legata in gran parte allo slogan da sempre sostenuto da Trump di “America First”. A Sofia, il 17 maggio, il Consiglio Europeo ha deciso di sostenere l’accordo, sottolineando che alimentare i flussi commerciali è l’unico modo per giustificare la rinuncia iraniana al programma nucleare. Il Consiglio ha inoltre stimolato le imprese europee a non sottostare ai ricatti degli Usa, una decisione peraltro valida per le piccole e medie società che non hanno contratti con Washington, ma strategicamente negativa per le multinazionali. Il ruolo primario che l’America, con il dollaro, occupa nel sistema finanziario globale offre a Washington un’arma economica di devastante potenza. L’amministrazione Usa ha infatti minacciato sanzioni a chi dovesse mantenere rapporti economici con l’Iran. Questo significa un ridimensionamento dell’interscambio commerciale con l’Iran per Germania, Francia e Italia, i cui più grandi gruppi industriali e petroliferi ricadrebbero sotto il ricatto americano. Ma il Consiglio UE ha anche invitato i governi europei a proseguire nel trasferimento di denaro verso l’Iran, in particolare per il pagamento del petrolio. L’Iran esporta ogni giorno 1 milione di barili verso i mercati asiatici e in particolare la Cina, cui si aggiungono 1 milione di barili con destinazione Europa. I pagamenti su estero transitano a livello globale su una rete telematica che si chiama Swift. Swift ha sede a Bruxelles ed è sottoposto alla legislazione europea ed è quindi allineata alle posizioni dei suoi regolatori. Se il flusso di denaro europeo verso l’Iran continuerà (come evocato nel vertice UE di Sofia), significherà aggirare l’embargo americano e innescare un ancora più duro scontro tra UE e USA. Come sostenuto da Gideon Rachman in un interessante articolo sul Sole 24 ore del 21 maggio “….. invece di fare affidamento su un sistema basato sulle regole, l’amministrazione Trump sta cercando di orientarsi verso un ordine basato sul potere: un ordine nel quale gli Usa stabiliscono le regole e gli altri sono obbligati a seguirle. Questo sistema potrebbe anche funzionare, per un po’, ma costituisce un invito agli avversari a mettere alla prova la volontà dell’America con azioni unilaterali in Europa, Asia e Medio Oriente. E questa, in definitiva, è la formula per un mondo estremamente più pericoloso”.
Antonciro Cozzi
Associate Analyst