Si fa un gran parlare, in queste ore, di un – per ora ipotetico e, riteniamo, improbabile – boicottaggio dei Campionati Europei di calcio in Ucraina. Boicottaggio ventilato dall’atteggiamento del Cancelliere tedesco, Angela Merkel, che ha già annunciato che si recherà a Kiev se il Governo di Yanukovich non libererà Julia Timoshenko, già “pasionaria” della Rivoluzione Arancione e poi, per una breve e non particolarmente felice stagione, premier. Come è noto, attualmente la Timoshenko è detenuta e sta scontando una condanna per corruzione e concussione. Condanna derivata, anche, dall’accusa di essersi lascata corrompere dal Cremlino per favorire gli interessi di Gazprom a scapito di quelli del suo paese. Accusa tanto più grave – e per certi versi anche paradossale – se si pensa che la Timoshenko era considerata il leader di quella parte dell’Ucraina più vicina ad Europa e Stati Uniti e più lontana da Mosca, mentre il suo grande accusatore Yanukovich è, storicamente, il rappresentante delle forze filo-russe e, in particolare, delle province orientali a maggioranza russofona.
Quello che, però, qui ci interessa non è entrare nel merito delle vicissitudini della Timoshenko – che accusa i suoi carcerieri di vessazioni e torture – né di addentrarci nei complicati meandri della politica interna di Kiev. Piuttosto vorremmo portare l’attenzione sull’entrata a gamba tesa della Merkel, che ha spiazzato un po’ tutte le altre Cancellerie Occidentali, ed in particolare quelle dell’Unione Europea, che hanno visto, improvvisamente messo in forse un avvenimento sportivo che vede coinvolta nell’organizzazione, oltre all’Ucraina, anche la Polonia. E, sotto traccia, aprire una crisi nei rapporti fra UE e Kiev, rallentando, anzi congelando il processo di avvicinamento di questa all’Unione. Una decisione quanto meno problematica e, soprattutto unilaterale, quella della Merkel ce sembra, così, voler dettare anche le scelte di politica estera – oltre che quelle economiche – ai suoi partner comunitari.
Una scelta che, per altro, potrebbe solo finire con il fare il gioco del Cremlino, risospingendo Kiev verso l’antico Grande Fratello russo, e favorendo chi, in Ucrina, vede come più lusinghiera la prospettiva di un ingresso nella nascente Unione Eurasiatica, della quale già fanno parte, oltre alla Russia, il Kazakhstan e la Bielorussia. Interessante sarebbe, dunque, indagare sulle ragioni profonde che hanno spinto il cancelliere tedesco – notoriamente prudente e, soprattutto, disinteressato alla politica estera – a prendere una posizione così drastica. Il sospetto – e a sospettare, certo, si fa male, ma sovente s’indovina – è che sul fondo vi siano gli interessi di Berlino che ruotano intorno al North Stream, il gasdotto che dalla Russia, passando per il Mare del Nord, taglia fuori l’Ucraina. Un interesse a egemonizzare il più possibile il traffico, vitale, del gas russo, a scapito dei potenziali “concorrenti”. Come l’Ucraina, appunto. O anche – lo diciamo sottovoce – come la Grecia e la stessa Italia, per le quali dovrebbe – e oggi purtroppo, il condizionale è d’obbligo – passare il famoso, ancora fantomatico South Stream. Che, notoriamente, non piace per nulla alla Signora Merkel.
Elezioni in Sud Ossezia
Passate quasi inosservate sui media occidentali, le Elezioni Presidenziali nella Repubblica dell’Ossezia del Sud, dello scorso 8 Aprile, rappresentano, in realtà un avvenimento ben più rilevante di quanto si possa immaginare. E, soprattutto, un segnale di svolta politica nelle strategie del Cremlino. Infatti, tutti gli osservatori internazionali, hanno attestato la sostanziale “regolarità democratica” del risultato sortito dalle urne, che ha portato alla Presidenza Leonid Tibilov.
Ora, Tibilov, già a capo del KGB, poi FSB, nella repubblica nord-caucasica, è palesemente “l’uomo di Putin”, e quindi la sua era, per tutti, una classica “vittoria annunciata” Tuttavia non si è trattata di una vittoria plebiscitaria, visto che il nuovo Presidente è stato eletto con “solo” il 53% dei voti, mentre il suo maggiore antagonista David Sanakoyev ha conquistato il 43% dei suffragi. Risultato da “democrazia matura”, come ha commentato Alexey Maleshenko del Carnegie Moscow Center, il Think Tank di derivazione statunitense notoriamente poco tenero con la politica di Putin e Medvedev. E da “democrazia matura” sembra essere anche la decisione di Tibilov di dare vita ad una compagine governativa di “unità nazionale”, cooptandovi anche Alla Dzhioyeva, che vinse le Presidenziali del Novembre scorso, poi annullate d’imperio. Dietro alla svolta di Tibilov, il segnale, come si diceva, di una nuova strategia del Cremlino, volta a favorire i processi democratici in tutte le Repubbliche della Federazione. Allo scopo, implicito, di ridefinire l’immagine internazionale di Mosca in vista di due grandi appuntamenti: l’ingresso, a lungo sospirato, nel WTO ed il lancio della nuova Unione Eurasiatica.
Foto © Flickr European People’s Party – EPP