È iniziato ad Amburgo, presso il Tribunale internazionale del diritto del mare, il dibattimento richiesto dall’Italia sulla vicenda dei due marò, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, accusati di aver ucciso per errore due pescatori indiani scambiati per pirati. Una vicenda strana, confusa, iniziata il 15 febbraio del 2012 al largo delle coste indiane. Incertezza su tutto, persino sul luogo dove si sarebbero svolti i fatti: dentro o fuori le acque territoriali? Da allora l’India non è neppure riuscita ad imbastire un processo ai due militari italiani imbarcati su un mercantile proprio per combattere la pirateria.
In questa situazione di continui rinvii, l’Italia cerca almeno di riportare in Patria anche Girone oltre a far proseguire a Latorre la convalescenza in Italia dopo l’ictus che l’aveva colpito in India. In attesa che si faccia luce sull’accusa e sulla vicenda. Un’accusa che, tra l’altro, viene completamente smontata nella puntuale ricostruzione del giornalista Toni Capuozzo nel suo ultimo libro “Il Segreto dei marò” (Mursia, 2015 – pp. 270, Euro 16.00).
“Il Nodo di Gordio” lo ha intervistato nel giorno in cui la vicenda approda al Tribunale internazionale del diritto del mare.
Quali sono gli elementi per dimostrare che i marò sono innocenti?
Il più forte, tra gli elementi che confortano l’innocenza sempre reclamata dai due marò, è la dichiarazione a caldo del comandante e proprietario del peschereccio St. Antony, che rientrato nel porticciolo di Neendakara, con ancora a bordo i corpi delle due vittime, dichiara a una televisione di aver avuto l’incidente alle 21.20 della sera. L’incidente della Lexie avviene poco dopo le 16. Una differenza di oltre cinque ore, che è anche la differenza tra il giorno e la notte. Come se si stesse parlando di due incidenti diversi. Ci sono molti altri elementi, dalla difficoltà che un peschereccio come il St. Antony potesse restare in rotta di collisione per quasi venti minuti con una petroliera come la Lexie (8 nodi la velocità dell’uno, 13/14 quella dell’altra). Ma il lato debole dell’accusa indiana, che non a caso non ha mai prodotto né un capo d’imputazione né un rinvio a giudizio è l’inconsistenza delle prove a carico: i dati della prima autopsia sono smentiti dalla perizia balistica (ed entrambe vengono effettuate in assenza di periti di parte), le prove balistiche assegnano la responsabilità alle armi di altri due marò, e non a quelle di Latorre e Girone, le testimonianze a carico cambiano nel corso dell’inchiesta, modificando orari e circostanze.
In ogni caso si è chiarito se l’episodio è avvenuto in acque indiane o internazionali?
L’incidente avviene – è una delle poche cose su cui concordano le parti – fuori dalle acque territoriali indiane, a più di 20 miglia dalla costa, in una zona che è definita come “acque contigue” su cui il paese costiero vanta alcuni diritti, ma non quello della sicurezza. Altri diritti, principalmente di tipo economico, si esercitano nella fascia delle acque fino a 200 miglia. Il dibattito davanti alla corte di arbitrato dovrà rispondere alla domanda: la giurisdizione spettante alla nave di bandiera, di cui nell’Unclos si parla nel caso di incidenti in “alto mare” vale anche per le acque contigue?
Il Suo libro è anche un atto di accusa ai Governi italiani che si sono succeduti, da Monti a Letta fino all’attuale Governo di Matteo Renzi, per la loro incapacità di gestire la situazione. Non ritiene si possa celare dietro la vicenda dei Marò qualche altro “affare di Stato” (commesse, accordi commerciali o militari) tra Italia e India?
La difesa del “business” ha contato moltissimo soprattutto nell’atteggiamento italiano, teso a salvare capra e cavoli, e timoroso che una posizione diplomatica ferma avrebbe compromesso gli affari. Il volume degli affari, già prima ancora modesto, ne ha comunque sofferto un po’ (non a caso l’India è il grande assente a Expo 2015, dove c’è solo un padiglione del riso basmati, ma non una presenza di un Paese strategicamente importantissimo per il mercato agroalimentare). Si è riusciti a salvare le commesse militari, dopo una tenue quarantena: recentemente stipulato il contratto di vendita di siluri da parte di una consociata Finmeccanica.
In un’intervista rilasciata nel 2013 al Nodo di Gordio, il politologo americano Edward Luttwak sostenne che c’era una concreta possibilità di soluzione per il rimpatrio immediato dei marò – probabilmente grazie ad un accordo tra i servizi di intelligence italo-indiani e al lavoro dell’Ambasciatore Daniele Mancini – ma che il sottosegretario agli Esteri Staffan de Mistura avrebbe combinato una sorta di “pasticcio” diplomatico. È verosimile come scenario?
Mi torna completamente nuovo un impegno dell’ambasciatore Mancini per una soluzione extragiudiziale della vicenda. Che io sappia le intelligence dei due paesi sono rimaste a lungo escluse dal contenzioso.
Ha senso che dei militari salgano a bordo di navi mercantili per proteggerle? Non sarebbe un compito per i privati?
La legge che mise nuclei militari a bordo di navi civili, è un capolavoro di confusione e incertezze. Venne prodotta dall’ultimo governo Berlusconi (viene chiamata Legge La Russa) su pressione della Marina Militare, ingolosita dal business e dal monopolio nelle operazioni di sicurezza, in qualsiasi forma. Di fatto è una legge silenziosamente archiviata, non ci sono più militari a bordo di navi civili, protette da contractor. Perché non ci sono polemiche sulla legge? Il centrodestra non ha interesse a rispolverarla, l’opposizione di centrosinistra votò unanimemente la legge.
Oggi la vicenda è approdata al Tribunale internazionale del diritto del mare (Itlos) ad Amburgo e le posizioni appaiono ancora molto rigide. Ritiene possano arrivare dei segnali positivi?
In queste settimane si decide la sorta provvisoria di Salvatore Girone, come misura preliminare al dibattito vero e proprio davanti alla Corte arbitrale. Dibattito che durerà due o tre anni e deve rispondere a una domanda: chi ha diritto di giudicare Latorre e Girone? Solo dopo i due potranno difendersi in punta di fatto, dimostrare l’innocenza che hanno sempre rivendicato. Non: “non siamo colpevoli perché militari in servizio, o perché l’incidente è avvenuto in acque internazionali”. Ma: “non abbiamo ucciso i due pescatori”. La difesa da un’accusa ingiusta è, a volte, anche una difesa dell’onore.
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