La penisola del Sinai è una parte remota ma strategica dell’Egitto delimitata a est da Gaza, Israele, e il Golfo di Aqaba, a nord dal Mediterraneo e a ovest dal Canale di Suez. Quest’ultimo utilizzato dai transiti commerciali globali nella misura dell’8 %, di cui il 3 % riguarda le forniture mondiali di petrolio. Mentre il Golfo di Aqaba dà a Israele il suo unico sbocco sul Mar Rosso. La penisola è stata occupata da Israele durante la Guerra dei Sei Giorni, nel 1967 e restituita all’Egitto nel 1978. Nel 1979 in conformità con gli Accordi di Camp David, l’Egitto ha ritirato il proprio Esercito e demandato il controllo della regione alla Polizia di Frontiera e alla missione di osservazione delle Nazioni Unite, Multinational Force & Observers (MFO), composta da 1700 elementi inclusi 700 soldati americani, facendola diventare così una zona cuscinetto. La situazione della sicurezza oggi, nella penisola, è tutt’altro che idilliaca con origini non propriamente recenti. La povertà e l’alienazione politica tra i beduini, nativi della regione, in combinazione con intralci politici dal governo dell’ex presidente Hosni Mubarak, rovesciato nel 2011, hanno permesso a gruppi armati di prosperare, presentando nuove minacce al commercio mondiale e alla pace sul confine tra Egitto e Israele.
La regione è diventata un rifugio per la criminalità transnazionale e la militanza islamista. Recentemente, nella penisola gli attacchi dei militanti islamici sono aumentati drasticamente contro le forze di sicurezza e hanno ampliato la loro portata alle città lungo il Canale di Suez e anche al Cairo dopo che l’esercito ha costretto alle dimissioni il Presidente Mohamed Morsi, esponente dei Fratelli Musulmani, nel luglio 2013. Finora, secondo il governo, almeno 500 persone, tra le fila delle forze di sicurezza, sarebbero state uccise. La situazione è complessa e la sua gestione metterà alla prova le capacità dell’attuale Presidente dell’Egitto, Adul Fattah al-Sisi, e la sua amministrazione per il ripristino della stabilità di un’area molto importante nell’ambito della sicurezza nazionale egiziana. Il fattore sicurezza nella regione non interessa solo l’Egitto ma anche Israele, che per permettere una lotta più efficace al terrorismo islamico, in deroga degli accordi del 1979, ha concesso di recente la propria approvazione allo schieramento di un contingente dell’esercito egiziano nella Penisola, per la prima volta dal 1979. In questo modo, come riportato dal Centro Studi Internazionali, i Generali del Cairo hanno potuto dislocare nella regione un dispositivo corazzato/meccanizzato con carri M-60A3 e veicoli cingolati da combattimento EIFV, appoggiati da elicotteri APACHE. Nel frattempo le Forze di sicurezza stanno compiendo un’offensiva nella parte settentrionale del Sinai, uccidendo e catturando membri di gruppi jihadisti, anche se non sembrano avere effettivamente frenato la minaccia terroristica nella penisola. Infatti, nel corso di queste attività gli attacchi alle forze militari e di sicurezza egiziana continuano senza sosta. Proprio due giorni fa almeno 11 soldati egiziani sarebbero stati uccisi in un attacco a un convoglio dell’esercito.
La BBC riporta che un gruppo collegato ad Al-Qaeda, Ansar Beit al-Maqdis, avrebbe rivendicato una serie di attacchi, presumibilmente, in risposta a quelle centinaia di islamisti uccisi e migliaia di manifestanti detenuti durante la repressione dei Fratelli musulmani. Non si pensa che il gruppo sia collegato allo Stato Islamico (IS) ma il suo leader spirituale Abu Osama al-Masri ha recentemente invocato “Dio affinché garantisca ai suoi “fratelli” dell’IS la vittoria”. La popolazione è molto spesso soggetta ad abusi da entrambe le parti, sia perché vittima di attacchi terroristici e per gli arresti ingiustificati effettuati dalle autorità egiziane. E’ presente spesso un certo livello di ostilità tra la popolazione e le forze di polizia a causa della repressione violenta e occasionale di quest’ultima. Per portare la regione verso la normalizzazione, secondo l’ICCT (International Center for Counter Terrorism) il governo egiziano dovrebbe affrontare i seguenti punti:
- Continuare la campagna militare nel Sinai, collaborando con la popolazione locale per affrontare le minacce alla sicurezza reciproca e ricostruire la fiducia;
- Assicurare, il più possibile, la protezione alla popolazione civile del Sinai durante le operazioni di ricerca dei sospetti jihadisti salafiti e rilasciare coloro arrestati ingiustamente durante i raid di sicurezza. Fornire un aiuto finanziario alle popolazioni colpite dalle operazioni militari;
- Rafforzare la sicurezza delle frontiere attraverso un’applicazione di una maggiore tecnologia, utilizzando anche pattuglie meglio addestrate.
Compito molto arduo ma necessario per la stabilizzazione della regione.
Elvio Rotondo
Country Analyst
© RIPRODUZIONE RISERVATA