Nei giorni scorsi, le polemiche sul collegamento tra l’immigrazione e la moneta coloniale francese in uso in 14 Paesi africani hanno calamitato l’interesse dei media e hanno infiammato il dibattito sui social.
Sedato il clamore della notizia, proviamo a fare un po’ di chiarezza sulla banconota multicolore esibita come la causa scatenante dei flussi migratori dall’Africa, in alcune trasmissioni televisive da due membri di spicco del Movimento 5 stelle e dalla leader di Fratelli d’Italia.
Il franco CFA, che inizialmente corrispondeva alle “Colonie francesi d’Africa” (abbreviazione variata poi nel 1958 in “Comunità Francese dell’Africa”) è il nome non di una ma di due valute comuni a diversi Paesi africani, adottate nel lontano 1945.
La divisa della Comunità francese dell’Africa è stata descritta come il male assoluto, ma la maggioranza dei governi dei 14 paesi africani dove circola continuano a voler rimanere ancorati a questo vecchio sistema valutario coloniale. Questo accade perché questi governi reputano il Cfa redditizio e stabile, in quanto vincolato all’euro. Un vincolo che a loro giudizio garantisce prezzi costanti ed evita scossoni monetari, tra cui le forti impennate dell’inflazione che caratterizzano molte economie africane, oltre a garantire e semplificare gli scambi commerciali con la Francia e il resto dell’Unione Europea.
Uno dei più ferventi sostenitori del valore del Cfa è il presidente della Costa d’Avorio, Alassane Ouattara, fedele amico della Francia. Alcuni capi di stato dei 14 Paesi dell’area valutaria del Franco Cfa hanno invece posizioni interlocutorie, mentre i quattro presidenti degli Stati del Sahel, con in testa il ciadiano Idris Deby Itno, sono dichiaratamente anti-Franco Cfa e si sono spesso appellati agli altri Paesi africani per lasciare la moneta francofona e creare una loro moneta unica.
Da ciò si evince, che la questione del franco Cfa è soprattutto in mano ai governi africani, che dovrebbero unanimemente prendere la decisione di abbandonare questo sistema coloniale. Ma per far questo dovrebbero mettere al primo posto la tutela dei loro cittadini ed essere pronti ad affrontare le invitabili ritorsioni di Parigi.
Mentre il reale nesso tra Franco Cfa e immigrazione è confutato dagli ultimi dati dell’Unhcr, relativi agli sbarchi dei migranti registrati in Italia lo scorso anno. Numeri che rivelano come i 14 Stati che adottano la valuta non sono tra quelli con le più alte percentuali di migranti che arrivano in Italia (da questi paesi sono arrivati sulle nostre coste duemila migranti in tutto il 2018, su 23.370 ).
Per rimanere sul fronte valutario dell’Africa, c’è anche da ricordare che sia l’Africa Orientale che quella Occidentale da lungo tempo stanno cercando di dotarsi di una moneta unica. I sei paesi dell’EAC, la comunità economica dell’Africa Orientale, dopo innumerevoli rinvii hanno fissato come termine ultimo della sua entrata in vigore il 2024. Mentre i paesi della Zona monetaria dell’Africa Occidentale (Wamz), dal 2003 non riescono a mettersi d’accordo per introdurre una moneta comune che dovrebbe prendere il nome di ECO. Finora, nessuno dei due progetti è andato in porto per le condizioni di convergenza, che rappresentano il principale ostacolo per la realizzazione del programma della moneta unica. I primi criteri di convergenza impongono a questi Paesi di mantenere un tasso d’inflazione inferiore al 5%: limite improponibile per la maggioranza dei Paesi coinvolti nel progetto.
In conclusione, c’è anche da ricordare che le grandi difficoltà che penalizzano l’Africa, soprattutto quella sub-sahariana, non sono riconducibili solo alle indubbie responsabilità della Francia, ma a tutto l’Occidente. Senza dimenticare, la corruzione endemica dei governanti africani.
Think tank “Il Nodo di Gordio”