Dunque: Il generale Haftar, l’uomo forte di Tobruk, è venuto a Roma in queste ore. E c’è venuto – come abbiamo tutti notato, caro Daniele – in quello che un tempo si diceva “l’assordante silenzio dei Media”. O, per dirla con il principe Antonio de Curtis (in arte Totò), “Tomo tomo, cacchio cacchio”. Appena un paio di foto di circostanza con il premier Conte, neppure queste con l’altro personaggio che Haftar avrebbe incontrato nella capitale, l’Ambasciatore statunitense in Italia… e poi via, di nuovo nella sua Tobruk… più veloce della luce, insomma. E i Media? Poco o nulla, o, peggio, titoli come “Mistero!” Ed altre, consimili, banalità…
Eppure la visita del generale a poche settimane dal vertice di Palermo appare un segnale alquanto significativo. Perché, se escludiamo l’ipotesi che questi sia venuto per fare acquisti di Natale in Via Veneto, dobbiamo dedurne che dalle parti della Libia qualcosa, anzi ben più di qualcosa si stia muovendo. E che l’incontro di Palermo, alla faccia di tutti i gufi e detrattori che l’hanno sminuito ed irriso, stia cominciando a provocare delle reazioni a catena di non poco conto.
Vediamo di ragionarci un po’ sopra, così, alla buona, senza troppe pretese…
Haftar si è probabilmente reso conto delle difficoltà in cui versa, in questo momento uno dei suoi maggiori sponsor, il presidente francese Macron, che aveva fatto di tutto per far fallire Palermo. Irritando anche il generale di Tobruk in un imprevedibile incontro con esponenti delle Milizie di Misurata, che il generale vede, notoriamente, come il fumo negli occhi. Macron che, palesemente, ha tutto l’interesse che la crisi libica non trovi rapida soluzione, soprattutto non una soluzione mediata da Roma. Macron che, però, in questo momento ha concreti problemi a controllare la “sua” Francia e che, a livello internazionale, è arrivato ai ferri corti con Donald Trump. Uno che sgarbi e sgarri non li perdona facilmente.
Macron indebolito, inevitabile che Haftar cominci a guardarsi intorno ed a cercare un nuovo amico che possa mediare con Washington. Anche perché il generale non è affatto disposto ad accontentarsi di fare il Sultano di Tobruk. Vuole la Libia, tutta, riunificata e pacificata. Un obiettivo che converge con gli interessi italiani, non con quelli francesi, visto che Parigi ha, in questi anni, sfruttato proprio la frammentazione dell’antico regno di Gheddafi.
Ma per unificare la Libia, ovvero per conquistare Tripoli e Tripolitania, il generale ha bisogno del placet di Washington. Che adesso che non vi è più alla Casa Bianca Obama, appare cosa possibile. Infatti Trump non sembra nutrire molte simpatie per il, solo di nome, presidente del governo di Tripoli Sarraj, e vuole districarsi quanto prima possibile dal ginepraio libico. E, visti gli ottimi rapporti fra The Donald e l’attuale capo del governo italiano, Conte, questi appare la persona giusta per mediare un accordo che potrebbe avere rapidi sviluppi.
Infatti Haftar è già perfettamente in grado di assumere militarmente il controllo della Tripolitania; quello che gli manca è l’avvallo internazionale. Che proprio l’Italia potrebbe fargli avere.
Certo, sarà necessario, a tutta prima, salvare la faccia di Sarraj, con una sorta di coabitazione. Sarraj presidente di nome, come per altro è sempre stato, ed Haftar a capo delle forze armate libiche unificate. Insomma padrone assoluto della situazione. Piaccia o meno l’unica soluzione positiva possibile di una crisi cancrenosa che si trascina ormai da troppi anni. E certo una soluzione che non piacerà alle milizie che, di fatto, controllano la Tripolitania, legate alla Fratellanza Musulmana, ed ai loro sponsor più o meno occulti. In particolare al Qatar, i cui, potenti, Media, Al Jazeera in testa, hanno appunto registrato con molta preoccupazione la visita di Haftar a Roma.
Ma una soluzione che non può non piacere all’Italia che tornerebbe a rivestire un ruolo primario in Libia e, al contempo, potrebbe vedere finalmente un argine al flusso di migranti che dalla regione sub-sahariana si riversa incessante verso il Mediterraneo. Argine a lungo rappresentato dalla Libia di Gheddafi e che appunto la nuova Libia unificata di Haftar potrebbe tornare ad interpretare.
Andrea Marcigliano