L’imminente vertice di Palermo sulla Libia, che si terrà nel prossimo Novembre, si preannuncia gravido di aspettative e, al contempo, di incertezze. All’indubbio risultato di mettere intorno allo stesso tavolo i due principali contendenti – il governo di Tripoli, guidato da Al Sarraj e riconosciuto dalla maggior parte della comunità internazionale, e il Consiglio nazionale libico di Tobruk – dove l’uomo forte è il generale Haftar, appoggiato da Francia, Egitto e, sotto traccia, da parte consistente del mondo arabo – si contrappone l’enorme squilibrio delle forze in campo. Haftar infatti sembra esercitare un controllo ferreo della Cirenaica ed ha a disposizione un esercito ben organizzato e disciplinato. È lui, di fatto, l’uomo forte della situazione, l’unico che appare in grado di riuscire, nel tempo, a stabilizzare il paese, riproponendo sotto nuove forme un regime non molto dissimile -anche se meno pittoresco- di quello del sempre più rimpianto Gheddafi, del quale, per altro, è stato a lungo un sodale. Al contrario Al Sarraj, nonostante l’appoggio di Washington e di gran parte delle Cancellerie europee, non ha mai avuto un effettivo controllo della Tripolitania, e neppure della stessa capitale. Dimostrandosi sostanzialmente ostaggio di una complessa costellazione di milizie autonome – le più note alle cronache quelle di Misurata – molte delle quali di fatto legate alla rete jihadista di Al Qaeda. Un’ambiguità che sta sempre più rendendo vana la sua azione ed indebolendo la sua posizione anche agli occhi di chi sino ad oggi lo ha sostenuto. Difficile, quindi, che si possa giungere ad un accordo di pace su basi paritarie. Drastico a questo proposito il giudizio espresso dal politologo americano Edward Luttwak: “A Palermo ci saranno sia il Generale Haftar sia Al Sarraj. Ci vogliono 50.000 soldati europei per disarmare le milizie in maniera convincente e poco sanguinosa. Le chiacchiere sono inutili”.
E in effetti tutta la Libia versa da tempo nel caos, anche perché, oltre a Tripoli e Tobruk, vi sono altri attori completamente fuori controllo. Da gruppi legati allo Stato Islamico di al Baghdadi, ai berberi in cerca di una sospirata, quanto vaga, indipendenza regionale. Senza dimenticare la vasta regione desertica del Fezzan, ove si agitano i Tuareg e dove sembrano arroccate ancora forze fedeli al clan dì Gheddafi. Comunque vada, però, il vertice di Palermo rappresenta una grande occasione per l’Italia, che dopo aver subito la defenestrazione di Gheddafi decisa da altre potenze ed essere rimasta a lungo alla finestra, subendo i contraccolpi della cancrenosa crisi libica sia sotto il profilo economico che sotto quello, non secondario, della crescita esponenziale dei flussi migratori dal Nord Africa, sembra finalmente aver ripreso l’iniziativa. Prima la visita del ministro Salvini in Libia per cercare accordi per arginare la marea montante di migranti che salpano da quei porti; poi i colloqui del premier Conte con Trump e Putin che hanno visto il dossier Libia tra gli argomenti centrali. Infine negli ultimi giorni la visita a Roma del generale Haftar. Tanto più rilevante se si pensa che l’Italia ha sino ad oggi ufficialmente appoggiato il governo di Al Sarraj, sia per i nostri interessi petroliferi in Tripolitania, sia per un certo appiattimento sulle posizioni che erano della Washington di Obama e delle altre Cancellerie europee. Oggi, però, sembra sempre più affermarsi la necessità di cominciare a cercare di rimettere in ordine la Libia, chiave di volta di tutti i, delicati e precari, equilibri dell’Africa sub-sahariana. E Roma non può non assumere in tale contesto un ruolo fondamentale, per ragioni geopolitiche oltre che storiche. Senza dimenticare che con Trump seduto nello Studio Ovale lo sguardo di Washington verso la Libia sembra essere notevolmente cambiato; Trump con il quale il governo Conte sembra avere instaurato rapporti molto stretti, come dimostrano recenti vicende, in primis quella della Trans Adriatic Pipeline. Così come il governo “giallo-verde” ha stretto in questi mesi forti legami con altre due potenze che hanno tutto l’interesse alla stabilizzazione della Libia. La Russia, legata strettamente all’Egitto di Al Sisi, e, solo apparentemente più defilata, la Cina. La cui grande strategia della Via della Seta Marittima – o “Filo di perle” – che coinvolge massicciamente il sistema portuale italiano, necessita di un Mediterraneo tranquillo e pacificato. Di qui il significato dell’iniziativa di Palermo, tanto più rilevante se si pensa che interviene dopo il fallimento clamoroso di analoghi tentativi portati avanti da Parigi con l’esclusione di Roma.
Andrea Marcigliano
Senior fellow think tank “Il Nodo di Gordio”