A chiusura del settimo Forum Cina-Africa l’analisi della presenza cinese nel continente nero tra luci e ombre. Ne parliamo con Marco Cochi, l’analista del think tank ‘Il Nodo di Gordio’
Tra il 3 ed il 4 settembre scorsi si è svolto a Pechino, capitale della Cina, il FOCAC (Forum on China-Africa Cooperation), il summit ufficiale che, ogni tre anni, a partire dal 2000, riunisce i vertici della Repubblica Popolare Cinese e di oltre 50 Stati africani. L’obiettivo che si pone il Forum è il «miglioramento della comprensione, ampliamento del consenso, rafforzamento dell’amicizia e promozione della cooperazione» tra questi attori.
Nell’ultimo vertice – nel quale è stata firmata la ‘Dichiarazione di Pechino’, che prevede un piano d’azione per il triennio 2019-2021- il Presidente cinese Xi Jinping, in linea con gli obiettivi esposti dal FOCAC, ha ribadito che «i leader hanno deciso all’unanimità di costruire una comunità Cina-Africa con un futuro condiviso che si assuma responsabilità condivise, persegua una cooperazione vantaggiosa per tutti, che goda di felicità per tutti, goda di prosperità culturale, garantisca sicurezza comune e promuova l’armonia tra uomo e natura».
Dietro a queste parole ed agli obiettivi dichiarati, che rappresentano l’aspetto cordiale e formale del vertice, vi è poi l’aspetto materiale e più sostanziale espresso dalle cifre in ballo in questa cooperazione e dai reali investimenti che la Cina ha già attuato ed ha intenzione di replicare sul suolo africano. Xi, infatti, ha proposto, per i prossimi anni, investimenti in Africa pari a 60 miliardi di dollari, che si vanno ad aggiungere alla stessa identica somma che è stata definita durante il FOCAC del 2015. Quest’ultimo finanziamento era così composto: 35 miliardi di dollari in prestiti agevolati e linee di credito all’esportazione; 5 miliardi in sovvenzioni; 15 miliardi di capitale per il Fondo di sviluppo Cina-Africa; 5 miliardi in prestiti per lo sviluppo delle piccole e medie imprese africane.
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