Dopo decenni di problemi, iniziati con due guerre, nel 1979 e nel 1988, sembrava esserci una ripresa politica positiva nei rapporti tra Cina e Vietnam, rafforzata dalla visita a Pechino, nel mese di gennaio, del capo del politburo vietnamita, Nguyen Phu Trong, durante la quale era stato concordato un partenariato strategico rafforzato.
Nei giorni scorsi (20-22 giugno) i due paesi avrebbero dovuto partecipare a un programma di scambio, annullato però per problemi logistici, secondo quanto ha fatto sapere il ministero della Difesa cinese. La cancellazione dell’evento non rappresenta di certo un buon segnale per il dialogo tra i due paesi.
Il New York Times riporta che la delegazione cinese ha inaspettatamente annullato il viaggio in Vietnam dopo che gli animi si erano scaldati durante una discussione, a porte chiuse, sulla questione dei territori contesi nel Mar Cinese Meridionale, dove Pechino continua a costruire isole artificiali, cercando di espandere la sua influenza militare.
Altro motivo plausibile che avrebbe portato alla cancellazione dell’incontro potrebbero essere i recenti sforzi del Vietnam di promuovere la cooperazione strategica con Stati Uniti e Giappone. Infatti, il primo ministro vietnamita, Nguyen Xuan Phuc, ha recentemente visitato questi due paesi, in rapida successione, mentre alcuni giorni fa le guardie costiere vietnamite e giapponesi hanno condotto esercitazioni congiunte nel Mar Cinese Meridionale, concentrandosi sulla prevenzione della pesca illegale. Inoltre Nel 2015, Hanoi aveva raggiunto un accordo con Tokyo per consentire alle navi nipponiche di effettuare scalo a Cam Ranh Bay.
Secondo altri analisti, altro motivo del dissidio potrebbe essere il rifiuto del Vietnam di abbandonare l’esplorazione, alla ricerca di giacimenti petroliferi e di gas, nelle aree del Mar Cinese Meridionale che entrambi rivendicano. Alexander L. Vuving, specialista vietnamita al Daniel K. Inouye Asia-Pacific Center for Security Studies, nelle Hawaii, sostiene che un altro possibile motivo della controversia potrebbe essere il cosiddetto Blue Whale, progetto di trivellazione nel Mar Cinese Meridionale della compagnia statale petrolifera vietnamita, PetroVietnam, e dell’americana Exxon Mobil. Le compagnie avevano firmato un accordo durante il viaggio a Hanoi di John Kerry, all’epoca segretario di stato Americano.
Il sito di perforazione, che prevede la produzione di gas entro il 2023, si trova vicino alle contese Isole Paracel e alla cosiddetta “nine-dash-line” (linea usata dalla Cina per delimitare le proprie rivendicazioni nel mar Cinese Meridionale). Vuving sostiene che la Cina probabilmente si sia risentita del fatto che il Vietnam abbia formato una partnership con una compagnia petrolifera americana, in particolare quella del precedente amministratore delegato, Rex W. Tillerson, nonché attuale segretario di stato americano. Nella zona contesa, secondo rapporti non confermati, la Cina avrebbe recentemente dispiegato 40 navi e diversi aeromobili da trasporto militare.
Dal punto di vista militare, il Vietnam ha intrapreso il suo più grande build up nel tentativo di scoraggiare la Cina, controbilanciando l’influenza marittima di Pechino nella zona (i russi vendono sottomarini ad entrambi i contendenti). Secondo un articolo di SIPRI il Vietnam, nel periodo 2011-15, è stato tra i primi 10 maggiori importatori di armi a livello mondiale (con il 2.9%). Nello specifico gli equipaggi della Marina vietnamita, supportati da consiglieri russi, operano nella base navale di Cam Ranh Bay, con sei sottomarini, variante della classe Kilo, di fabbricazione russa. I sottomarini fanno parte di un contratto, firmato nel 2009, per l’ammontare di 2.6 miliardi di dollari, con la russa Admiralty Shipyards.
La Cina, attualmente, è il più grande partner commerciale e un alleato ideologico di lunga data per il Vietnam, ed è anche la principale fonte di importazioni. Negli ultimi anni i due paesi hanno promosso relazioni politiche ed economiche, con scambi bilaterali. Secondo le stime cinesi, nel 2016, il commercio bilaterale tra Cina e Vietnam valeva 98 miliardi di dollari. La Cina è stata il più grande partner commerciale del Vietnam negli ultimi 13 anni.
La tensione, tra i due paesi, ha raggiunto l’apice nel 2014, quando una compagnia statale cinese aveva collocato un impianto di trivellazione vicino alle Isole Paracel entro le 120 miglia nautiche dal Vietnam. Non ci furono vittime in mare, ma ci furono rivolte anti-cinesi nei pressi di stabilimenti stranieri nel Vietnam centrale e meridionale, portando i rapporti tra Pechino e Hanoi ai minimi in tanti anni.
Xu Liping, ricercatore presso l’Accademia cinese delle scienze sociali di Pechino, sul Vietnam e Sud-Est asiatico, ha dichiarato che nonostante i due paesi siano in disaccordo per le questioni territoriali, hanno creato dei quadri per risolvere le divergenze attraverso canali governativi e attraverso i rispettivi partiti comunisti. Alla fine, i due paesi “risolveranno questo problema poiché entrambi vogliono la stabilità”, ha detto Xu.
Oltre a difendere i propri interessi nel Mar Cinese, la Cina sembra essere sempre più determinata a impedire al Vietnam di essere troppo vicina a Giappone e Stati Uniti e nuove tensioni potrebbero emergere nel breve periodo. Naturalmente, il Vietnam non rappresenta una minaccia militare per la Cina, non solo per la disparità delle forze in campo ma anche per il fatto che il governo di Hanoi segue una politica di difesa a lungo termine basata sui “tre NO“: nessuna alleanza militare, nessuna base militare straniera sul suolo vietnamita e nessuna cooperazione con un altro stato per combatterne un terzo.
Come viene riportato da Deutsche Welle, a parte il disaccordo sulle isole del Mar Cinese Meridionale, un’altra questione sta diventando sempre più importante, la dipendenza dal fiume Mekong da parte del Vietnam per il suo approvvigionamento idrico. La Cina e altri paesi costruiscono dighe idroelettriche a monte del fiume per soddisfare le proprie necessità. Le dighe pregiudicano la quantità d’acqua che arriva a valle, danneggiando così il Delta del Mekong, in Vietnam, dove si coltiva circa la metà del riso prodotto dal paese, la quasi totalità della frutta del paese e si pesca oltre il 70% del pesce.
La questione sull’uso dell’acqua del Mekong probabilmente potrebbe essere molto più importante rispetto alla disputa sulla sovranità delle isole. Il controllo dei flussi d’acqua potrebbe diventare strumento di ricatto politico e fonte di tensione.
Elvio Rotondo
Country Analyst
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