Lettere al Corriere – risponde SERGIO ROMANO
Un recente rapporto di Bruxelles ha messo in evidenza che non vi sono stati passi in avanti nelle trattative di adesione della Turchia all’Unione Europea. Se, come appare ormai probabile, questo Paese non entrerà mai a far parte dell’Europa, quali saranno le sue future sfere di influenza, vista la nascente Comunità euroasiatica di Vladimir Putin, comprendente le ex repubbliche sovietiche turcofone dell’Asia centrale? La Turchia sarà quindi destinata a diventare un punto di riferimento per le nascenti democrazie arabe del Medio Oriente, secondo un schema neo ottomano?
Riccardo Rivolta
Caro Rivolta, Inegoziati per l’adesione all’Unione Europea sono divisi in capitoli, ciascuno dei quali corrisponde a una delle molte aree che sono ormai materia comune. La distanza dal traguardo finale si misura calcolando la maggiore o minore rapidità con cui i negoziatori concludono l’esame di un capitolo per passare al successivo. Per quanto concerne la Turchia, non mi risulta che sia stato aperto, nel corso del 2011, alcun capitolo nuovo. I negoziati, quindi, sono praticamente fermi e le prospettive dell’adesione (finché la Repubblica di Cipro, con l’aiuto di altri Paesi, potrà bloccare il negoziato) pressoché inesistenti. Tutti sanno d’altro canto che dopo la fine delle trattative (se mai si riuscisse a completare il percorso), alcuni Paesi, fra cui la Francia, chiederebbero agli elettori di ratificare l’accordo con un referendum popolare. Nel corso di una crisi economica e finanziaria che colpisce duramente alcuni ceti sociali, i fautori del no evocherebbero la falsa immagine di un continente sommerso dall’immigrazione turca e riuscirebbero a vincere la partita.
Per la Turchia quindi il problema non è se convenga o meno aspirare all’adesione. Il vero problema è se sia meglio interrompere la finzione dei negoziati o tirare avanti lasciando le cose come stanno. Se volesse stracciare il velo di una trattativa ipocrita e inconcludente, il governo Erdogan potrebbe cogliere l’occasione offerta dal recente viaggio del presidente francese in Armenia dove Nicolas Sarkozy, per compiacere i suoi ospiti, ha esortato la Turchia a fare pubblica ammenda per il «genocidio » degli armeni durante la Grande guerra. Ma non credo che il governo turco abbia intenzione di spingere la protesta sino alla rottura. L’Ue ha tenuto la Turchia in sala d’aspetto, ma le ha chiesto di fare esattamente ciò che Erdogan voleva sentirsi chiedere: ridurre considerevolmente il potere dei militari nel sistema politico turco. E il negoziato, anche se bloccato, dimostra pur sempre che la Turchia appartiene all’Europa e alla sua storia.
Questo non impedirà al governo di Ankara di cogliere altre occasioni offerte dai mutamenti politici delle regioni che circondano il Paese. Putin cercherà di creare una Unione euroasiatica di cui la Russia sarebbe il centro e la guida. Ma Erdogan può contare sulle simpatie di quella vasta area ex sovietica che non vuole ricadere sotto il dominio di Mosca. Gli arabi hanno vecchi pregiudizi antiturchi che non sono ancora interamente scomparsi. Ma la Turchia rappresenta pur sempre un interessante modello politico e un utile partner economico. Non basta. Agli occhi dell’Occidente la Turchia è il più laico dei Paesi musulmani; agli occhi dell’Islam è il meno laico dei Paesi che gravitano nell’orbita dell’Occidente. Non mancheranno occasioni in cui la Turchia sarà più utile all’Europa di quanto l’Europa sia utile alla Turchia.
da: Corriere, 23 ottobre 2011