“Un sogno per alcuni… un incubo per altri! ”, come recitava un profetico e ieratico Mago Merlino in quel film-capolavoro di John Boorman del 1981, Excalibur. Un sogno per i tedeschi, nemmeno tutti, visto che non mancano i nostalgici dell’Ancien Régime della DDR. Quanto agli altri, gli altri siamo noi.
Profetico al di là della saga stessa magistralmente rievocata nella pellicola, la cui colonna sonora, i Carmina Burana, fu utilizzata, per un certo tempo, dall’allora emergente movimento leghista allorché postosi quale incarnazione di un ambizioso progetto politico che ammiccava al passato celtico. Per quanto ci riguarda invece, questa sorta di estemporaneo vaticinio decontestualizzato dall’epico ciclo di Re Artù e i Cavalieri della Tavola Rotonda, esso si sintonizza bene quale preconizzazione di un evento che ha rappresentato lo spartiacque nella storia contemporanea degli ultimi decenni: la Caduta del Muro di Berlino.
Tant’è che all’inizio degli anni ’90 del secolo scorso, l’improvvisa implosione dell’Impero Sovietico, generò per un momento la Grande Illusione della nostra “nuova” era. Un’illusione in qualche modo sintetizzata dal famoso saggio di Francis Fukuyama il quale osò parlare di “Fine della Storia”. Ovvero di fine dell’era in cui si contrapponevano da antagonisti diversi “modelli” di Stato, di società, di economia e, quindi, di cultura1. Da qui la profezia della“globalizzazione” come imminente realizzazione del sogno della Pace Mondiale, o, per lo meno del trionfo di un universale modello. Quello che si potrebbe, pur sommariamente, definire come “Occidentale”, fondato sul Libero Mercato a livello economico, e sulla Democrazia a quello politico. Tuttavia questo sogno sembra ben presto essersi trasformato in una sua grottesca parodia, in un vero e proprio incubo che, fra le altre cose, paradossalmente si sovrappone a quello spot televisivo di propaganda pro-europeista dai toni tanto idilliaci che recita:
“La sua lezione – l’Europa – l’ha imparata dalla guerra. Il suo inno, infatti, non parla di gloria, di morti o di conquiste, il suo inno parla di gioia”.
Come se dinnanzi ad un continente europeo uscito dalle macerie del Muro di Berlino, anzi da una Comunità Europea che ci ha promesso tutto senza mantenere niente, non ci si ricordasse che, a fronte di quell’agognata, simbolica apertura delle frontiere, alla libera circolazione di merci e persone, la schiacciante e fagocitante crisi economica impedisce il movimento sia delle une che delle altre. A parte quelle persone che sono legate al fenomeno dell’immigrazione clandestina. Altro vaso di Pandora indirettamente causato dalla caduta del Muro di Berlino. Per converso, se all’inizio di quegli anni ’80 ci si poteva recare in Germania, la locomotiva d’Europa in procinto di eruttare lapilli e lava, permettendosi vacanze facili, shopping, ecc., oggi questo è impossibile. In Germania vi si fugge alla ricerca di lavoro, mentre noi siamo divenuti il suo bancomat.
E quindi anche quest’”Inno alla Gioia” tanto celebrato nello spot, al posto della gioia in quanto tale, ci evoca piuttosto la versione distopica e sarcastica, il leitmotiv sonoro che accompagna le scene di violenza del capolavoro di Stanley Kubrick, Arancia Meccanica, del 1971, altro film profetico. Il “dolce dolce Ludovico Van” come lo chiamava il protagonista, Alex De Large, giovane dedito alla violenza in tutte le sue forme, allorché in una scena molto cruda e calzante, allegoricamente in sintonia con la situazione attuale, riflette sul modo di imporre con la forza e la brutalità la propria leadership ai suoi compari, dicendo:
“E d’un tratto capii che il pensare è per gli stupidi, mentre i cervelluti si affidano all’ispirazione, e a quello che il buon Bog manda loro. La musica mi venne in aiuto. C’era una finestra aperta con uno stereo, e seppi subito che cosa fare”.
D’altra parte la retorica dell’attuale regime totalitario artefice della crescita zero di Eurolandia, nella persona di Angela Merkel, ha commemorato con queste parole quel fatidico giorno di 25 anni fa:
“Quel 9 novembre del 1989 fu il giorno in cui il sogno divenne realtà, ma nella nostra Storia tedesca il 9 novembre ci ricorda anche altro: la Notte dei Cristalli, l’orrido pogrom nazista che ferì il mondo e ferì Berlino oggi di nuovo unita. Allora festeggiamo con gioia ma anche con la Memoria. E pensando alle sfide comuni del presente e del futuro nel mondo globale“.
E continua:
“L’anniversario ci ricorda quale grande fortuna e regalo sia poter vivere oggi insieme nel nostro continente, uniti pacificamente in un ordine sociale economico che unisce libertà e responsabilità, perché oggi nell’Unione europea 28 Stati condividono gli stessi valori, libertà di espressione, di stampa, di fede e di viaggio, tutti principi elementari e diritti dell’umanità“2.
Come se l’Europa e soprattutto l’Italia, in cui la gente fa fatica ad arrivare alla fine del mese sia un luogo tanto idilliaco in cui vivere. Il momento cruciale delle celebrazioni si è svolto presso la Porta di Brandeburgo, luogo in cui sono confluite centinaia di migliaia di persone provenienti da tutto il mondo. E nell’aria di Berlino sono risuonate le note dell’ultimo movimento della Nona sinfonia “dolce dolce Ludovico Van”, con l’Inno alla Gioia. Un motivo altamente emblematico che evidentemente piace ai “neo-drughi” dell’economia e della finanza.
In definitiva una commemorazione non poteva mancare, certo. Ma siamo sicuri che veramente l’Europa di oggi rappresenti qualcosa di migliore rispetto a quell’Europa di 25 anni fa, immobile e assonnata. Quasi soporifera forse. Sicuramente sostenuta e foraggiata. Cullata nel suo bipolarismo rassicurante? Non si può indirizzare ai posteri l’ardua sentenza in quanto i posteri, gli eredi di ciò siamo già noi. Di certo il presente multipolare è un periodo storico interessante, avvincente, più di quanto lo fosse quello precedente. Tuttavia la Caduta del Muro di Berlino rappresenta forse un evento ben più emblematico ed epocale di quella fine della Guerra Fredda, legata allo scontro fra le due superpotenze: l’Impero Sovietico e gli Stati Uniti d’America.
Esso rappresenta l’inizio della fine dell’Occidente, che Franco Cardini in una recente intervista descrive così:
«Ma l’Occidente è finito! Ormai ha completato il suo ciclo, anche se ci vorrà ancora qualche tempo prima che se ne renda conto. I centri di produzione non solo economica, ma anche del pensiero sono altrove. Quella sfida che l’Occidente lanciò al mondo 500 anni fa aveva in sé quello che sta succedendo adesso. I veri eredi del pensiero occidentale sono i paesi del Brics. Noi abbiamo fondato una cultura raccolta da altri»3.
Quel 9 novembre del 1989, lo si potrebbe, in un certo senso, porre in relazione con il 12 ottobre 1492, il Columbus Day, il giorno della scoperta dell’America quale data simbolica dell’apoteosi dell’espansionismo occidentale. La Caduta del Muro di Berlino rappresenta il suo opposto: l’inizio del suo collasso.
Ermanno Visintainer
[articolo originale da RagusaOggi]
1 Francis Fukuyama, La fine della storia e l’ultimo uomo, Milano 1996.