In un discorso in diretta televisiva venerdì 31 maggio, il presidente americano è tornato a parlare della delicata situazione in Medio Oriente ed ha sostanzialmente imposto una ripresa dei colloqui tra Israele e Hamas. Dopo aver affermato che il movimento islamista non sarebbe più capace di organizzare e mettere in moto azioni come quelle del 7 ottobre 2023, ha esortato la controparte ebraica a uscire da questa situazione di stallo lunga ormai quasi 8 mesi che ha portato all’uccisione di migliaia di palestinesi e che ha pesantemente deteriorato l’immagine di Israele.
Le risposte non si sono fatte attendere. Hamas, tramite i social media, ha accolto favorevolmente il messaggio di Biden dichiarandosi pronto ad affrontare in modo costruttivo qualsiasi proposta di cessate il fuoco basata su una tregua permanente, uno scambio di prigionieri e il completo ritiro delle truppe israeliane da Gaza. Da Gerusalemme, invece, il portavoce dell’ufficio del Primo ministro israeliano ha tenuto a ricordare che il Governo israeliano è impegnato nel riportare a casa gli ostaggi il prima possibile ma che un accordo non potrà essere raggiunto prima della completa distruzione delle capacità militari e di governo di Hamas. Dello stesso avviso Ben-Gvir e Smotrich (massimalisti della coalizione di Netanyahu), più volte minaccianti quest’ultimo di abbandonare il Governo qualora si arrivasse a qualsiasi sorta di accordo con Hamas prima della capitolazione del movimento islamico. Il Partito centrista di Benny Gantz, viceversa, dopo aver dato un ultimatum a Netanyahu per definire una strategia chiara per Gaza, ha presentato giovedì 30 maggio un disegno di legge per sciogliere il Parlamento. Mossa che però non avrà grandi ripercussioni. L’uscita del suo partito dal Governo di unità nazionale non manderebbe il paese alle urne. Gantz, criticato da vaste correnti del suo partito e dei suoi elettori per la copertura politica garantita a Netanyahu, sembra volenteroso di abbandonare l’Esecutivo per mere questioni di popolarità. Essendo sceso nei sondaggi, dove Netanyahu rimane il politico più gradito dagli israeliani, spera di recuperare credibilità tornando a fare una feroce opposizione.
Nella mattinata di sabato 1 giugno è arrivata anche la risposta di Netanyahu a Biden. Ribadendo che le richieste di Israele per porre fine alla guerra non sono cambiate il primo ministro israeliano cerca di prendere tempo. In una società, frammentata come quella ebraica, in cui momentaneamente le storiche divisioni sono anestetizzate dal trauma del già ribattezzato “Sabato Nero”, le pressioni necessarie a smuovere la politica di Re Bibi e soci non sono ancora forti abbastanza. Le elezioni presidenziali in Israele, tanto bramate a Washington, appaiono oggi un po’ più distanti.
Paolo Lolli
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