Gli stati arabi del Golfo ospitano diverse basi militari americane, un’eredità della Guerra del Golfo del 1991 che ha visto le forze alleate degli Stati Uniti cacciare le forze irachene dal Kuwait, e la successiva invasione dell’Afghanistan nel 2001 e l’invasione dell’Iraq nel 2003.
Il Comando Centrale degli Stati Uniti ha una sede avanzata in Qatar. La 5a flotta della Marina degli Stati Uniti opera dal regno insulare del Bahrain. Il Kuwait ospita il quartier generale avanzato della U.S. Army Central, mentre gli Emirati Arabi Uniti ospitano aviatori e marinai americani.
Circa 2.500 soldati americani, jet da combattimento e batterie di missili Patriot sono presenti oggi nella base aerea del principe Sultan a sud-est di Riyadh. Attualmente i militari statunitensi starebbero esplorando la possibilità di utilizzare un porto sul Mar Rosso e altri due aeroporti in Arabia Saudita a causa delle crescenti tensioni con l’Iran.
Yanbu, città saudita situata sul mar Rosso, che già duemila anni fa era considerata uno dei porti più importanti per il controllo del traffico di spezie, e le basi aeree di Tabuk e Taif andrebbero a formare una linea di comunicazione strategica, dando ai militari americani più opzioni lungo il Mar Rosso, attraversato da circa 17.000 navi mercantili all’anno, il 20% del commercio globale e la quasi totalità del commercio marittimo tra Europa e Asia. L’accesso al Mar Rosso, e quindi al Canale di Suez, riduce enormemente il tempo e il costo dei trasporti fra Asia ed Europa.
La valutazione dei siti, parte di un piano di “contingenza”, è in corso da oltre un anno, innescato dall’attacco all’industria petrolifera saudita con droni e missili nel settembre 2019. L’Arabia Saudita e gli Stati Uniti hanno accusato l’Iran di quell’attacco, che ha causato il temporaneo dimezzamento della produzione di petrolio saudita e determinato un aumento dei prezzi. L’aggiunta di queste località saudite sembra essere parte di ciò che McKenzie, generale dei marines e capo di Centcom (Comando centrale degli Stati Uniti) aveva precedentemente descritto al Congresso degli Stati Uniti come “Western Sustainment Network”, un sistema logistico di nuova creazione che si estende dai porti del Mar Rosso e del Mediterraneo al Golfo Persico, progettato per mitigare il potenziale impatto delle chiusure dei punti di strozzatura di Bab Al Mandeb e dello Stretto di Hormuz.
L’annuncio di questo piano arriva in un momento in cui la nuova amministrazione Biden ha manifestato la volontà di guardare con un occhio più scettico le relazioni con l’Arabia Saudita e di tentare negoziati con l’Iran per una versione aggiornata dell’accordo nucleare iraniano.
Tali piani di “contingenza” esistono già nel Medio Oriente, come gli accordi che concedono alle forze americane il diritto di utilizzare le basi in Oman in determinate circostanze. Ma la costa occidentale dell’Arabia Saudita fornisce anche un’ulteriore distanza dall’Iran, con cui le tensioni rimangono alte dopo che Trump si è ritirato unilateralmente dall’accordo nucleare di Teheran con le potenze mondiali nel 2018.
Nel frattempo, la Casa Bianca ha sospeso la vendita di armi a due alleati del Golfo, prima mossa significativa del presidente Joe Biden, per resettare le relazioni degli Stati Uniti con i paesi arabi sunniti fortemente corteggiati dal suo predecessore. Il congelamento temporaneo mette in attesa un accordo storico per la vendita di 50 caccia F-35, del valore di 23 miliardi di dollari, agli Emirati Arabi Uniti, un accordo che Washington aveva approvato come parte degli Accordi di Abraham, con cui gli Emirati hanno stabilito relazioni diplomatiche con Israele, così come altre armi destinate all’Arabia Saudita.
Il 29 dicembre, il Dipartimento di Stato aveva approvato anche la potenziale vendita di 3.000 missili guidati di precisione, del valore di 290 milioni di dollari, all’Arabia Saudita. Il Dipartimento di Stato afferma che effettuerà una revisione di routine degli accordi prima di annullarli o portarli avanti e per verificare che la vendita di armi sia in grado di soddisfare gli obiettivi strategici americani.
Alcuni critici temono che l’accordo della vendita di F-35 agli Emirati Arabi Uniti possa innescare una corsa agli armamenti in Medio Oriente, mentre il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu sarebbe contrario alla vendita perché teme che possa minare il vantaggio militare di Israele nella regione.
Biden, durante la campagna elettorale si è impegnato a fermare le vendite di armi all’Arabia Saudita, da lui definita regime repressivo, nel tentativo di fermare la guerra contro i ribelli Houthi nello Yemen, sostenuti dall’Iran, la cui situazione è ormai insostenibile. Secondo quanto riporta Reliefweb, dopo cinque anni di conflitto, lo Yemen soffre la più grande crisi umanitaria del mondo con 10 milioni di persone che soffrono la fame, la più grande epidemia di colera mai registrata con solo la metà degli ospedali pienamente funzionanti, l’arrivo del coronavirus ha solo peggiorato queste terribili circostanze. Eppure il piano di risposta delle Nazioni Unite per fornire acqua pulita, cibo e cure mediche ai più vulnerabili, è stato finanziato solo per il 44% nel 2020.
La politica estera dell’amministrazione Obama è stata condizionata da alcuni fattori che avevano inciso prepotentemente nelle strategie geopolitiche tradizionali, tra cui la necessità di ridurre il coinvolgimento militare diretto nell’area.
Oggi, i rapporti tra Washington e Riyadh potrebbero andare verso un deterioramento, superando forse il calo dei rapporti visto durante la presidenza di Barack Obama e con la conseguente perdita delle ricche commesse di armi. Malgrado ciò, per questioni geopolitiche facilmente intuibili, la nuova amministrazione Biden continuerà a difendere la partnership strategica con l’Arabia Saudita.
Elvio Rotondo
Country Analyst think tank “Il Nodo di Gordio”
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