Mentre qui sento cantare dalle finestre l’inno di Mameli – in verità da sempre meno e meno entusiastiche voci – e tutti si chiedono quando Conte apparirà nuovamente su facebook per annunciare qualche altra trovata (sua o del suo “consigliore” Casalino) stiamo lasciando che ci scippino sotto il naso il nostro “giardino di casa”, per mutuare il linguaggio di Monroe. O, se vogliamo, la Quarta Sponda, per dirla con un altro che, forse, non è proprio opportuno citare.
Infatti in Libia, il generale Haftar, dominus della Cirenaica, ha lanciato in queste ore una nuova offensiva contro Tripoli, preceduta da un massiccio attacco missilistico. Non è la prima volta, certo. Già ripetutamente, nei mesi scorsi, il leader di Bengasi è sembrato essere sul punto di scalzare definitivamente il presidente Sarraj, e di conseguire il controllo anche della Tripolitania. Tutte le volte, però, è stato frenato dalla pressione internazionale, più che dalla resistenza delle milizie – in particolare quelle di Misurata – che appoggiano Sarraj. O meglio, che lo tengono in pugno. Il generale infatti, sul piano diplomatico, gode sostanzialmente del sostegno di Mosca e del Cairo, e di quello, più sottotraccia, degli Emirati Arabi e, sullo sfondo, dei sauditi. E soprattutto di Parigi, che sin dall’inizio ha puntato su di lui, in netta contrapposizione con tutto il blocco della NATO. Dove Washington, non con grande convinzione, appoggia e riconosce Sarraj, seguita dagli altri alleati. In particolare Ankara, che, non più tardi dello scorso anno, si è spinta a mandare una nutrita schiera di “consiglieri militari” a sostegno del governo di Tripoli.
Ora, però, Trump è troppo preso da altre questioni per preoccuparsi di un dossier, quello libico, ereditato di malavoglia dal suo predecessore. E in buona parte responsabilità del Segretario di Stato di questi. Ovvero di Hillary Clinton. Ed Erdogan ha troppe gatte da pelare in Siria e sul confine greco per poter davvero intervenire in modo massiccio in Libia. Quanto al resto della NATO e della Ue… beh lo spettacolo è a dir poco desolante. Tutti arroccati in se stessi, tremebondi, per la minaccia della pandemia.
Pandemia, o minaccia, che aveva spinto alla proclamazione di una tregua anche in Libia, patrocinata dall’ONU. Tregua della quale Haftar non sta tenendo alcun conto. Troppo ghiotta l’occasione per non approfittarne. E poi in Libia da un decennio si muore per guerra e derivati. Non sarà un virus a paralizzare genti abituate al rischio e alla precarietà.
Parigi, nonostante la pandemia, sta continuando ad appoggiare Haftar. Per trarne frutti dopo la fine del conflitto. In sostanza l’Eliseo continua a fare politica estera. Roma no. La Farnesina è lasciata a se stessa, priva di guida politica. E a poco servono le competenze del nostro Corpo Diplomatico, tra i migliori d’Europa, se non vi è un governo capace di sfruttarle e metterle a frutto.
Stiamo perdendo la Libia. Perdendo quella posizione privilegiata di partner politico ed economico che da Enrico Mattei ad Andreotti, da Craxi a, buon ultimo, Berlusconi, avevamo faticosamente intessuto. Ed altri, a partire dai poco affettuosi cugini francesi, ci stanno soppiantando.
Non è un giudizio politico di parte. È una semplice constatazione. Parigi fa politica estera, Roma no. Anche in Francia c’è la paura per l’epidemia. Ma una cosa è avere paura. Altra essere in preda al panico.
Andrea Marcigliano
Senior fellow think tank “Il Nodo di Gordio”
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