La cultura di un popolo ha sempre radici profonde, più si percorrono queste ramificazioni sotterranee e più gli intrecci si fanno complessi, dacché, riemergendo, non si riconoscono più così nettamente le distinzioni convenzionali. L’Occidente confluisce nell’Oriente attraverso la regione caucasica, come l’ordito e la trama dei tappeti, che lì sono intessuti, l’incrocio di culture e di popoli forma un disegno articolato.
Quando la narrazione è complessa, ricca di ramificazioni, e la capacità di ascolto è limitata, particolarmente in quest’epoca così superficiale e veloce, la sintesi è una scelta opportuna e l’uso di concetti evocativi, non necessitanti di mediazione interpretativa, risulta vincente. Così, alla 57ma Biennale d’arte di Venezia, “Viva Arte Viva”, il padiglione dell’Azerbaijan, allestito anche quest’anno a Palazzo Lezze in campo Santo Stefano, con la mostra “Sotto un unico sole – L’arte di vivere insieme”, curata da Martin Roth, già direttore del Victoria & Albert Museum, applica una scelta delle opere rigorosamente selettiva, indubbiamente sottrattiva rispetto all’esposizione della scorsa edizione, quella del 2015.
Al piano terra di Palazzo Lezze, si è accolti dalle immagini di “UNITY”, video mapping del gruppo Hypnotica, che accompagna il visitatore in un tunnel di immagini e musica. Venti schermi mostrano i volti di persone provenienti dalle diverse regioni dell’Azerbaijan, la narrazione labiale fuoriesce dallo schermo, prende forma scritta e, come cascata d’acqua, invade le pareti e il pavimento, fino a formare una figura umana tridimensionale.
Salendo, al primo piano si trovano due installazioni dell’artista Elvin Nabizade, “UNDER ONE SUN”, una sinuosa sequenza di saz, strumento musicale tradizionale azero, sospesa a mezz’aria – a metà tra l’evocazione dello scheletro di un animale preistorico e l’idea del percorso che compie il sole dall’alba al tramonto – invita a curvare verso la sala adiacente dove si mostra “SPHERE”, una composizione sferica di più strumenti musicali – armonia e caos.
Il richiamo alla tradizione è marcato con forza nella saletta ricca di tappeti, dove il visitatore può accomodarsi e bere un Chai, amaro più dell’amaro, accompagnato da un baklava, dolce più del dolce. E ancora, due installazioni video del gruppo Hypnotica, completano il percorso.
Sarà un caso, ma, a poca distanza da campo Santo Stefano, al museo Correr in piazza San Marco, che ospita il circuito collaterale alla 57ma Biennale di Venezia, l’artista iraniana Shirin Neshat espone le sue potenti foto in bianco e nero, “The Home of My Eyes”, ritratti di uomini e donne di diverse regioni dell’Azerbaijan. Le vesti scure fanno emergere il chiarore del volto e delle mani, sulla cui pelle corrono incisi con l’ inchiostro i versi del poeta Nizami Ganjavi, in lingua farsi. L’arte è al contempo provocazione e dialogo.
Le radici profonde si intrecciano, le trame si infittiscono e il disegno risulta complesso, ma, non c’è dubbio, è l’arte il linguaggio più efficace per vivere sotto un unico sole.
Anna Scavezzon
Conservatore di Beni Culturali
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