Fuori della metafora, le Tre Torri, di cui all’evocativo titolo del quadrimestrale in parola, sono i tre poli dello scacchiere geopolitico mondiale dei nostri giorni, cioè Stati Uniti, Cina e Russia, che rappresentano il leit-motiv sviluppato, nelle sue varie sfaccettature, nel ricco palinsesto tematico della rivista.
È inutile nascondercelo: la governance globale dei prossimi decenni sarà in mano a Stati Uniti, Russia e Cina e alla loro capacità di gestire le relazioni internazionali, come ben fa rilevare il direttore Daniele Lazzeri, con una miriade di piccole e medie potenze, il cui destino è quello di fare da corollario alle strategie di questi tre grandi poli di attrazione geopolitica del pianeta, cercando, di volta in volta, di ritagliarsi magari un proprio spazio di influenza regionale, sfruttando, all’occorrenza, le mutevoli condizioni nei rapporti di forza tra Washington, Mosca e Pechino nei vari quadranti geopolitici.
Tre unici players globali, dunque, come uniche potenze non solo intenzionate, ma anche in grado di giocare una partita a 360° su tutta la carta geopolitica mondiale. E pertanto capaci di divenire poli di attrazione per tutti gli altri attori, dalle potenze regionali ai paesi minori, sino alle nuove coalizioni locali che si stanno affacciando sulla scena internazionale.
Capacità di attrazione che, però, non si traduce automaticamente, anzi ben difficilmente potrà tradursi, scrive Andrea Marcigliano, nel costituirsi di tre Blocchi internazionali compatti e coesi, anzi, e contrario, tenderà a rendere ancora più dinamico (e insicuro) il possibile gioco delle alleanze, all’insegna della transitorietà e variabilità e sempre in funzione di momentanei e particolari interessi, in un contesto che è quindi destinato a condizionare gli strumenti e i modelli operativi della nuova geopolitica internazionale.
Come insegna, a titolo esemplificativo, il caso Turchia che, «delusa dalle scelte di Washington — che legge come in contrasto con i suoi particolari interessi nazionali — è stata immediatamente attratta dalla «Torre» russa, con la quale sembra poter trovare — nonostante tutte le differenze — maggiori convergenze». Un trend che continua alla grande al momento in cui si redigono le presenti note con la visita del premier Erdogan al Cremlino in nome della ripresa dei rapporti economici, messi a dura prova dopo la crisi russo-turca del novembre 2015, del comune progetto del Turkish Stream, ostacolato però dall’Europa e della professione di fede anti-Isis con il terzo round dei colloqui di Astana per mediare, insieme all’Iran, il cessate-il fuoco in Siria.
Un intreccio nel quale le stesse Tre Torri appaiono, di volta in volta, alleate o nemiche, intessendo le loro relazioni bilaterali — o trilaterali che dir si voglia — in una sorta di partita di Mah Jong a tre. Gioco — guarda caso di origine cinese, che prevede più contendenti, classicamente quattro (sic) — e richiede, quindi, strategie complesse e raffinate; molto diverso, comunque, dagli Scacchi, la grande sfida a due, che ha caratterizzato i decenni della Guerra Fredda. A questo punto non v’è chi non veda come nell’analisi in questione manchi il plausibile quarto giocatore, la Quarta Torre, quella dell’Unione europea, che si conferma, ancora una volta, «nano politico e gigante economico»!
È il profilo critico che esamina Augusto Grandi, secondo il quale «Trump lo sa bene e non ha la benché minima intenzione di resuscitare un cadavere politico alle prese con liti da ballatoio interne. Dunque il presidente americano continuerà a privilegiare le relazioni a due ogni volta con un diverso Stato dell’Unione europea, in modo da rendere evidente la totale inesistenza della stessa Ue». Secondo quella stessa logica di potenza, aggiungerei, che la Cina ha mostrato già di voler già praticare verso i Paesi del Rimland del Mar Cinese meridionale, mantenendosi alla larga dal forum internazionale dell’ASEAN per affrontarne e risolverne le infinite controversie.
«L’Europa a traino tedesco non ha alcun ruolo nel Mediterraneo — continua l’Autore con un velo di malcelata amarezza — lasciando campo a Putin o alle confuse strategie francesi in Libia (confuse ma sicuramente più efficaci rispetto al nulla altrui). Non ha credibilità nel confronto sulle frontiere ad Est, con sempre più Paesi dell’ex-blocco sovietico che hanno superato l’odio per gli anni di oppressione e guardano di nuovo a Mosca come partner commerciale e come sponda politica». E quelli su cui ci siamo soffermati sono soltanto alcuni «spunti» critici tratti dalle analisi portate avanti dal periodico nei 27 contributi che ci propone (per ben 243 pagine, con illustrazioni originali costruite ad hoc per meglio stimolare l’immaginario collettivo sui vari temi trattati).
Le riviste di geopolitica si mostrano sempre, in un certo qual modo, restìe a pubblicare articoli di storia tout court, anche se alla fine vi cedono, quasi per intervalla insaniae. E in questi casi fanno benissimo, come ci mostra infatti l’ottimo articolo del nostro collega Andrea Liorsi dedicato a «La difesa di Corfù nel 1716», l’ultimo successo militare terrestre della Serenissima nel plurisecolare scontro con l’Islam. Non dimentichiamoci mai che la Storia rappresenta sempre il necessario e fecondo humus della stessa geopolitica, perché «nel futuro e nel passato vedasi il presente », come scriveva nel XVII secolo il gesuita portoghese António Vieira, nel senso che «il presente altro non sarebbe che il riflesso fugace di cose passate e a venire»!
Ezio Ferrante