Jünger e Schmitt scrivono un saggio attuale sul rapporto tra Occidente e Oriente, fermandosi più volte sulla sfida tra “democrazia” e “autoritarismo” evocata dal presidente Usa Joe Biden. “Per la storiografia occidentale l’atto di arbitrio è inconciliabile con la dignità del monarca”
Il Nodo di Gordio, proprio come il nodo che stringeva il giogo al timone del carro consacrato da Gordio a Zeus nel suo tempio, e che Alessandro Magno nel 334 a. C. troncò con un colpo netto di spada, ottenendo così il dominio dell’Asia e del mondo, così come predicava un’antica profezia. Ma Il Nodo di Gordio è anche un’opera monumentale di Ernst Jünger, pubblicata per la prima volta nel 1953, dopo la Seconda guerra mondiale e in piena Guerra Fredda, a cui due anni dopo replicava con uno scritto altrettanto intenso l’amico Carl Schmitt. È un’opera che riflette sulla natura del rapporto-scontro fra Oriente e Occidente.
“Questo incontro”, scrive Ernst Jünger in apertura del suo Nodo di Gordio, non soltanto occupa una posizione di primo piano fra gli avvenimenti mondiali, ma “rivendica di per sé un’importanza capitale. Fornisce il filo conduttore della Storia”. Un incontro, tuttavia, che nella storia si è spesso trasformato in scontro: “Con tensione sempre rinnovata i popoli salgono sull’antico palcoscenico e recitano l’antico copione. Il nostro sguardo si fissa soprattutto sul fulgore delle armi che domina la scena”.
Lo storico Franco Cardini racconta Il Nodo di Gordio
“Il Nodo di Gordio” è stato recentemente ripubblicato dalla Piccola Biblioteca Adelphi con gli scritti originali di Jünger e Schmitt, in un’edizione curata da Giovanni Gurisatti. Saggio fondamentale che è stato raccontato e sviscerato nei suoi punti focali – in occasione di una serata svoltasi lo scorso 28 gennaio al Teatro di Pergine Valsugana (Tn) e organizzata dall’omonimo think-tank – dallo storico Franco Cardini.
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