La Libia, situata al centro del Mediterraneo e del Maghreb gode innegabilmente di una posizione altamente strategica, e soprattutto, è considerata la porta d’accesso dell’Africa sub-sahariana verso l’Europa. Il paese, come è ben noto, è ricco di importanti riserve petrolifere e di gas. Per questi motivi la Libia, dopo il conflitto del 2011, che ha visto l’abbattimento del regime del leader Gheddafi, a capo del paese per più di 40 anni, è diventata l’obiettivo di una competizione geostrategica sempre più complicata, che contrappone gli Emirati Arabi Uniti, l’Egitto e la Russia al Qatar, alla maggior parte dell’Europa e alla Turchia.
La Libia è divisa tra il governo di Tripoli (Tripolitania), riconosciuto a livello internazionale e guidato dal primo ministro ad interim Abdul Hamid Dbeibah, e l’amministrazione della parte orientale del paese, Bengasi (Cirenaica), sostenuta dal generale Khalifa Haftar.
Il paese è stato martoriato dal conflitto armato e dal caos politico a partire dalla rivolta del 2011. Nella capitale, Tripoli, gruppi di sicurezza, evoluti dalla miriade di milizie che hanno colmato il vuoto di sicurezza dopo la rivoluzione del 2011, sono stati spesso coinvolti in scontri con fazioni rivali. Pesantemente armati ed equipaggiati questi gruppi operano in modo indipendente, non sono sotto l’autorità diretta dei Ministeri dell’Interno o della Difesa anche se ricevono fondi pubblici, e hanno ottenuto uno status speciale dal primo ministro e dal consiglio presidenziale nel 2021.
Dal 2018, la Russia, con la crescente presenza della Wagner in Libia, impegnata nell’addestramento delle truppe della parte orientale del paese sotto il comando del generale Khalifa Haftar, leader dell’Esercito nazionale libico (LNA) si avvia verso una collaborazione più strutturata con Bengasi.
Dopo la morte del fondatore della Wagner, il destino della forza paramilitare in Libia e in Africa sembrava incerto. Il comando e la responsabilità della presenza all’estero della Wagner sono stati assegnati all’intelligence militare russa (GRU), in particolare al generale Andrei Averyanov, numero 2 del servizio. Sembra che le sue disposizioni fossero di costruire una forza combattente in tutta l’Africa composta da circa 20.000 uomini.
Averyanov, accompagnato dal vice ministro della Difesa Yunus-Bek Yevkurov, avrebbe incontrato Haftar nel settembre dello scorso anno, in occasione di alcuni viaggi effettuati in Mali, Burkina Faso, Repubblica Centrafricana (CAR) e Niger. Dalla morte di Prigozhin, il vice ministro della Difesa russo ha visitato Haftar ripetutamente per assicurarsi che rimanga nell’orbita della Russia.
Secondo le stime attuali, si ritiene che il Corpo di spedizione (Wagner) abbia circa 800 contractors dispiegati in Libia, con altri 4.600 impiegati nell’Africa sub-sahariana. Oltre ai suoi caccia, il Corpo di spedizione manterrebbe tre basi aeree – una nel bacino petrolifero di Sirte, una ad al-Jufra nell’interno e una a Brak al-Shati. La strategica base aerea di al-Jufra, verrebbe utilizzata come hub di transito per le redditizie operazioni africane. I russi forniscono anche protezione personale ad Haftar.
Il Mediterraneo centrale e orientale è un’area incredibilmente importante per l’Europa e, per estensione, per la NATO. La Russia ha già un porto nel Mediterraneo a Tartus in Siria, un porto a Tobruk rafforzerebbe la presenza di Mosca nel Mare Nostrum.
Secondo quanto riportato dalla BBC, la Russia starebbe offrendo ai governi africani un “pacchetto di sopravvivenza al regime” in cambio dell’accesso a risorse naturali di importanza strategica.
Nel frattempo, Belgassim Haftar, figlio di Khalifa Haftar, leader incontrastato dell’Esercito nazionale libico (LNA), il 7 febbraio scorso ha prestato giuramento davanti al presidente della Camera dei rappresentanti, Aqila Saleh, come direttore generale del “Fondo per lo sviluppo e la ricostruzione”, la cui missione sarebbe quella di attuare piani e programmi per la ricostruzione e lo sviluppo del paese. D’altronde la situazione non era molto diversa nei quattro decenni di governo Gheddafi, confermato anche in un articolo del giornale Al Majalla del luglio dello scorso anno, che riportava che la “Libia di oggi è uno Stato in decadenza, dove i servizi governativi sono stati sostituiti da un’anarchia a malapena funzionante, alimentata da corruzione e nepotismo. Una miriade di milizie salafite e criminali mantiene una squallida pace tra una scaramuccia e l’altra. I leader politici libici si sono ritirati dietro le difese fornite dall’estero, dove progettano di minare il desiderio di elezioni del loro popolo e di consolidare il proprio potere”.
Nell’Esercito nazionale libico di Haftar ci sono rivalità tra le brigate, comprese quelle guidate dai suoi figli. Suo figlio, Saddam, è a capo della Brigata Tarek bin Ziyad, uno dei gruppi armati più grandi e influenti del LNA. È un mix di soldati che hanno combattuto al fianco di Muammar Gheddafi nella guerra civile libica del 2011 e di combattenti di tribù alleate. Saddam ha anche preso il controllo dell’apparato di ricostruzione di Derna, dove la famiglia e i suoi alleati possono guadagnare somme enormi.
Il generale Haftar ha nominato il figlio Khaled a capo delle nuove “Unità di sicurezza” del LNA. Khaled già comandante della 106esima brigata, uno dei reparti più forti dell’LNA, è, dall’8 luglio dello scorso anno, anche il capo dello staff della nuova forza. Secondo The New Arab, in base a un decreto emesso da Haftar, la 106a Brigata sarà portata sotto l’ombrello delle Unità di sicurezza. La nuova forza includerà anche la Brigata Khalid ibn Al-Walid, una delle più forti milizie fedeli ad Haftar.
Secondo il rapporto 2023 del gruppo di esperti delle Nazioni Unite sulla Libia, “la famiglia Haftar ha assunto il controllo della maggior parte della vita sociale ed economica della Libia orientale”, dopo la sconfitta militare del 2020. Al momento è molto difficile immaginare cosa accadrà nella Libia orientale quando Haftar, che ha 80 anni, lascerà la scena.
La situazione della sicurezza in Libia è altamente instabile poiché il paese è bloccato in una situazione di stallo politico tra due governi rivali. La diffusa prevalenza delle armi e l’esistenza di milizie con lealtà diverse aggravano la minaccia del conflitto. Malgrado gli sforzi dell’ONU per un serio processo di stabilizzazione del paese, al momento la presenza di forze militari straniere sul suolo libico non lascia intravvedere molte speranze.
Elvio Rotondo
Country Analyst
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