Di Andrea Marcigliano
La crisi che sta, come un vero e proprio incendio, propagandosi un po’ lungo tutta la sponda sud del Mediterraneo, comincia – anche per i nostri Media e per un’opinione pubblica solitamente poco attenta agli accadimenti internazionali – a riverberare sulle nostre coste. Un riverbero inquietante, il cui primo, vistoso, segnale è rappresentato dall’ondata di migranti che, fuggendo dalla Tunisia, si riversa nelle nostre acque. Ondata che, facilmente, rappresenta solo un’avanguardia di quello che potrebbe accadere nelle prossime settimane se la situazione del Maghreb e del Vicino Oriente continuerà, com’è prevedibile, a degenerare. E questo perché ai tunisini si cominceranno ad aggiungere gli egiziani, i libici… senza contare che, in una situazione di sostanziale vacanza di governo e quindi di caos come quella in cui si trova la Tunisia e rischiano di precipitare Egitto ed altri paesi della “sponda sud”, diverrebbe impossibile filtrare o anche solo frenare la pressione dei migranti che, dall’Africa sub-sahariana si stanno precipitando versoi il Mediterraneo. Una massa immensa, diseredata, affamata, per la quale le coste tunisine, egiziane, libiche rappresentano soltanto la tappa d’imbarco per il viaggio della speranza verso la “terra promessa”: l’Occidente, l’Europa… della quale l’Italia, per la sua stessa morfologia, rappresenta la porta più accessibile. Un moto migratorio sino ad oggi rallentato – in parte compresso – proprio grazie ad accordi con quei regimi nord-africani che oggi stanno attraversando una profonda crisi, quando già non sono franati come quello tunisino di Ben Alì. Di qui la preoccupazione del nostro Ministro degli Interni e il suo pressante invito ad un’Unione Europea, al solito vaga ed assente, perché quanto oggi sta accadendo non venga considerato solo un “problema dell’Italia”, e si comprenda che il franare del “limes mediterraneo” potrebbe diventare a breve una tragedia per l’Europa tutta. Di qui, appunto, anche il ridestarsi improvviso dell’attenzione di media ed opinione pubblica…
Interessi italiani e Fondi Sovrani
Tuttavia quello dell’invasione di migranti è solo la ragione più appariscente, ma non la più profonda ed importante che lega il nostro paese agli accadimenti dell’altra sponda del Mediterraneo. Infatti, il coinvolgimento degli interessi italiani in quell’area rovente del mondo è complesso e decisamente notevole. Tanto per fare un esempio, rappresentiamo il secondo partner commerciale – dopo gli USA – dell’Egitto… per non parlare della Libia di Gheddafi, considerata – soprattutto in questi ultimi anni e in seguito alle aperture diplomatiche del governo Berlusconi – una vera e propria “Mecca” cui gli imprenditori italiani guardano con sempre maggiore intensità. Tanto che, recentemente, un signore come Cesare Geronzi alla domanda capziosa di un giornalista su come valutasse i (discussi) rapporti amicali fra il Cavalier Berlusconi e l’eccentrico leader libico, ha risposto, tranquillamente che “Gheddafi, oggi come oggi, rappresenta la luce dei suoi occhi”. Per altro forti sono gli interessi e gli investimenti italiani in tutto il Maghreb ed il Vicino Oriente, così come notevoli sono anche gli investimenti di “Fondi sovrani” con sede in quelle terre nella nostra economia interna. La sola Libia ha partecipazioni, più o meno rilevanti, in FIAT, in Finmeccanica (nel settore aereo-spaziale), in ENI – per ora un 1%, ma con un’opzione che può arrivare sino al 10% – in UNICREDIT GROUP, in Mediobanca, in Retelit… in pratica in tutti i settori nevralgici e strategici del nostro sistema economico. E persino il piccolo Bahrain – meno di 700.00 abitanti, un’estensione territoriale pari a quella della nostra Venezia Giulia senza il Friuli – attualmente nell’occhio del ciclone delel proteste, detiene notevoli quote azionarie di aziende e banche del “sistema Italia”. Come d’altronde un po’ tutti gli Emirati del Golfo. Insomma, due esempi che, da soli, possono farci apprezzare il potenziale impatto degli attuali sconvolgimenti geopolitici sulla nostra economia nel suo complesso, e non solo, quindi, sul pur delicato e cruciale export.
Non è solo questione di soldi…
Sconvolgimenti che abbiamo non a caso definito come “geopolitici”. Perché quello che è in atto rappresenta a tutti gli effetti un complesso processo di metamorfosi di tutta la geopolitica del Maghreb e del Vicino Oriente. Un processo innescato dalla crescita abnorme dei prezzi dei generi alimentari – e soprattutto del grano – dovuta alla politica dei tassi della Federal Reserve statunitense e alla conseguente tempesta speculativa. Portato però alle sue estreme conseguenze – quelle che già hanno travolto la Tunisia e, in parte, l’Egitto – dalla concomitanza di debolezze interne dei regimi e della volontà della nuova Amministrazione di Washington di ridisegnare gli equilibri complessivi di tuta la regione. E geopolitico, prima ancora che economico, è appunto il coinvolgimento, in qualche modo “obbligato” dell’Italia. Infatti, la nostra Penisola rappresenta il naturale baricentro del Mediterraneo; anzi costituisce la linea di separazione, e al contempo di comunicazione, fra l’Occidente e l’Oriente Mediterranei, quelli che gli antichi geografi arabi denominarono Maghreb e Mashrek. Perciò la “nostra” vocazione naturale è appunto quella di interferire ( nel senso etimologico della parola) negli accadimenti dell’altra sponda dell’antico Mare Nostro romano. Un mare che non separa, ma, storicamente, unisce e mette in comunicazione realtà certo diverse, eppure fra loro non così aliene come qualcuno, oggi, crede. O finge di credere. Coinvolta, dunque, nel Mediterraneo, coinvolta nel Nord Africa e nel Vicino Oriente…. la storia dell’Italia, soprattutto la sua storia geopolitica, ruota in sostanza tutta intorno a questa realtà. Storia dell’Italia pre-unitaria, dei secoli delle Repubbliche Marinare, della talassocrazia veneziana – modello, poi, dell’imperialismo britannico, come riconobbe il Disraeli – e quindi fulcro dei traffici e degli interscambi, anche culturali, che prepararono gli splendori del nostro Rinascimento. E poi ancora coinvolta come avamposto dell’Impero spagnolo degli Asburgo, che aveva in Napoli il suo più importante porto commerciale e militare mediterraneo. Nonché la seconda città, per splendore e ricchezza, dell’Impero, dopo Madrid…Geopolitica mediterranea dell’Italietta post-unitaria. Da Giolitti A Berlusconi.
Poi, con quell’Unità nazionale di cui oggi festeggiamo, fra mille polemiche, il cento cinquantenario, l’Italia, pur fragile, pur ridotta secondo i suoi critici ad un’Italietta irrilevante, tentò comunque di continuare a giocare un suo ruolo nin quello che, naturalmente, rappresentava il suo “giardino di casa”. O meglio, il suo “mare di casa”. La politica di Crispi e ancora quella del suo rivale Giolitti, l’acquisizione della Cirenaica e Tripolitania, il coinvolgimento nel disfacimento della Sublime Porta e nella questione d’Oriente lo testimoniano. Ed ancora più lo testimonia la politica mediterranea di Mussolini, non più solo colonialistica, ma volta a costruire una rete di rapporti – politici, ma prima ancora ideologici e culturali – con il nascente nazionalismo dei popoli arabi. Tanto da esercitare un’influenza non trascurabile tanto sul nazionalismo pan-arabistico egiziano di Nasser e Sadat, quanto sul bahatismo, socialismo nazionale, siriano e medio-orientale. Senza dimenticare le relazioni, storicamente eccellenti, con la nuova Turchia di Ataturk…
Storie vecchie si dirà. Storie da tempo superate e dimenticate. Eppure,s e leggiamo in controluce la pur opaca politica della famosa I Repubblica, troviamo che i momenti migliori della strategia internazionale dell’Italia hanno sempre coinciso con un rinnovarsi dell’attenzione geopolitica per il Mediterraneo. A partire da Enrico Mattei e dalla sua (sfortunata) sfida per fare del nostro paese una potenza economica ed energetica autonoma, ancorché incardinata nel sistem occidentale. Per arrivare agli anni del CAF, alle aperture di Craxi come Presidente del Consiglio, e di Andreotti come dominus della Farnesina verso il mondo arabo. Con la famosa battuta, una fra le tante, dell’ineffabile Giulio: “Uno i vicini di casa mica se li può scegliere….”. Linea ripresa a suo modo da Silvio Berlusconi, in questi ultimi anni, caotici e convulsi. A suo modo… perché, certo, il Cavaliere ha riletto la vocazione dell’Italia più in una chiave geo-economica che geo-politica. E tuttavia con l’indiscutibile fiuto del grande uomo d’affari, che gli ha permesso di sviluppare gli interessi del nostro Paese in tutta la regione mediterranea. Portando le nostre relazioni con Egitto, Libia, Turchia ed altre realtà limitrofe a livelli mai così buoni in precedenza. Tuttavia questo oggi non può più bastare. La politica estera dell’Italia necessiterebbe di un colpo d’ala – o di reni – che le permettesse di proporsi come potenza d’area capace di mediare, e in qualche modo governare i processi di trasformazione in atto nella regione. Difficile in questo momento, con una maggioranza tormentata e frammentata, ed un’opposizione miope come non mai. E come non mai asservita ad interessi estranei a quelli nazionali. Difficile, ma non impossibile, forse. E, soprattutto, necessario, per cercare di colmare il vuoto che sta lasciando l’assurda assenza dell’Europa. L’incapacità dell’Unione, prigioniera di particolarismi e meschini calcoli di bottega, di darsi una sua, comune, politica mediterranea.