Abbastanza nota, parlando di Turchia, è la vicenda “Ergenekon”, la cosiddetta “Gladio turca”, un’ inchiesta della procura di Istanbul che portò alla luce l’esistenza di quest’organizzazione ultranazionalista. Ergenekon è un nome estremamente suggestivo, evocativo, pregno di risonanze e significati ancestrali per il mondo turco. Esso è ubiquitario e la sua notorietà si estende dalla mitologia alla letteratura. Tant’è che Ziya Gökalp, il poeta-filosofo turco a cavallo fra XIX e XX secolo, uno degli ideologi della Turchia moderna, gli volle rendere un omaggio, idealizzando il mito attraverso l’omonima composizione, Ergenekon (1914-15) 1.
Tuttavia qui il riferimento è diretto a militari, cospiratori ed avvocati ultranazionalisti che avevano nel mirino politici, giornalisti e scrittori accusati di vilipendio alla turcità, ovvero alla patria, fra i quali il premio Nobel Orhan Pamuk , aventi l’obbiettivo di trascinare il Paese verso un colpo di stato finalizzato a delegittimare il governo “islamista”. Ora, sebbene un paragone generale con la vicenda italiana di “Gladio” sia certamente pertinente, tant’è che la stessa stampa turca – forse alla ricerca di un precedente illustre – ne è al corrente fin nei minimi dettagli, al punto di citare il magistrato italiano Felice Casson che aveva condotto l’inchiesta, altrettanto non si può dire delle sue connotazioni ideologiche. Conditio sine qua non per continuare il discorso è, infatti, quella di astenersi dall’utilizzo di categorie politiche contrapposte quali destra e sinistra o reazione e progresso. Anche perché, parlando di Turchia, un meccanismo automatico è quello di percepirla, come in una notte in cui tutte le vacche sono nere, alla stregua di un Paese islamista associato o comunque erede dell’arabismo. Mentre si bypassa il fatto che questa nazione, fin dagli inizi del secolo scorso, ha invece elaborato e metabolizzato il concetto avanguardistico di un Islam – eterodosso se non eretico in altri contesti – visto come una realtà religiosa assimilata e forgiata dalla cultura nazionale turca su tradizioni pre-esistenti, di cui questa fede rappresenta solo l’ultima stratificazione. Il generale Buyukanit, capo di stato maggiore delle Forze Armate Turche, chiamate in causa a suo tempo dalla cronaca, per smarcarsi dall’imbarazzante impeachment fece ricorso alla nota metafora delle mele marce, dichiarando che: “In ogni ambiente ci sono persone che infrangono la legge, nei loro confronti è la giustizia a decidere. Anche in questa occasione c’è chi cerca di stabilire un legame tra questi fatti e le Forze Armate. Le Forze Armate turche non sono un’organizzazione criminale. Chi al suo interno commette degli errori ne deve rispondere davanti a un giudice”.
E di pari passo allo sgomento ed all’incredulità pubblica, questo sembra altresì essere l’atteggiamento prevalente della stampa turca nei confronti dell’attuale operazione Balyoz (martello in turco), apparentemente un’estensione della precedente inchiesta Ergenekon. Una cospirazione militare intenzionata a rovesciare il governo dell’Akp (Partito per la giustizia e lo sviluppo), che ha portato all’arresto di una quarantina di persone, tra le quali alti ufficiali delle Forze Armate, da sempre custodi della laicità kemalista della Repubblica turca.
Sono scattate le manette per 14 alti ufficiali, accusati di fare parte dell`operazione, tra i quali l’ex comandante dell’Aviazione, Ibrahim Firtina, il generale Engin Alan e altri dieci ufficiali oltre a due militari in pensione: i generali Çetin Dogan e Suha Tanyeri. Oltre ai militari, fra gli arrestati c`è anche Ozden Ornek, ex capo della Marina militare e autore di alcune annotazioni che parlavano di un golpe in preparazione da parte dell’esercito.
Il primo a rendere noto il piano Balyoz è stato il quotidiano Taraf, secondo il quale il piano aveva lo scopo di diffondere nel Paese, attraverso atti di violenza e terrorismo, una strategia del terrore atta – sempre secondo Taraf – a screditare l’Akp e dimostrare che il governo non era in grado di proteggere la popolazione. Del resto sono decenni che l’esercito, o meglio i vertici delle Forze Armate, svolgono il ruolo di gendarme della laicità, spesso in contrapposizione all’orientamento espresso dall’elettorato. Il tentativo di golpe militare di cui si è parlato non è una novità in questo Paese.
Sull’operazione tuttora in corso vige il massimo riserbo sebbene non manchino timori di insabbiamento delle indagini. Tuttavia la reazione generale della stampa, degli intellettuali e dell’opinione pubblica è stata compatta e inflessibile e non sembrano esserci pericoli per la stabilità del governo.
Un aspetto positivo della vicenda risiede nel fatto che essa ha portato il Paese ad un intenso dibattito interno sui valori repubblicani. Varie testate giornalistiche nazionali hanno esteso parallelismi con altri paesi europei, come Spagna, Portogallo e Grecia che in passato hanno vissuto problemi analoghi di interferenze nell’assestamento dei processi democratici. “Sebbene anche le Forze Armate, come ogni istituzione burocratica, siano restie al cambiamento, volenti o nolenti dovranno cambiare”, scrive il giornale Zaman. Un quesito d’obbligo riguarda il motivo per cui, da una Turchia protagonista, conducente una politica estera attiva ed intraprendente, che interloquisce con Russia, Iran, Europa e soprattutto con l’Italia e che in definitiva, sta attraversando uno dei periodi economicamente e politicamente più fulgidi della sua storia attuale, non si possa accettare qualche piccola ingerenza o deviazione di percorso.
Il sospetto che dietro alla facciata ultranazionalista di questi movimenti, da cui lo stesso generale Buyukanit aveva preso le distanze, nell’ombra si stiano muovendo dei poteri occulti, è pertanto alquanto intensa.
La vicenda comunque dimostra la maturità acquisita dalla Turchia nella gestione di determinate situazioni destabilizzanti e riguardanti la propria politica interna.