Il viaggio di Papa Francesco in Albania presenta, oltre a quelle prettamente religiose, delle forti valenze geopolitiche. Infatti il paese, pur essendo uno dei più poveri d’Europa, sembra destinato ad assumere un ruolo chiave nel Grande Gioco contemporaneo. In primo luogo è il paese europeo con una più forte maggioranza islamica – circa il 58% – che tradizionalmente convive in modo pacifico con le minoranze cattolica – il 10% – e ortodossa – il 7 % – e a questa storia di tolleranza reciproca, non casualmente, il Pontefice ha fatto ampio e significativo riferimento nel suo primo discorso a Tirana. Ora, l’Islam albanese, oppresso come tutte le altre religioni durante il regime comunista, e di matrice turca, quindi influenzato dalle tradizioni del sufismo centro-asiatico: tuttavia il risveglio religioso di questo quarto di secolo post-comunista ha visto progressivamente il tentativo di penetrazione di predicatori, imam e madrase di formazione wahabita, finanziati e patrocinati dall’Arabia Saudita.
Questa contaminazione con l’ideologia alla base dell’islamismo politico radicale è divenuta più minacciosa dopo l’indipendenza del vicino, nonché etnicamente e linguisticamente affine, Kosovo, dove sin dai tempi della rivolta contro la Serbia sono presenti gruppi filo-jihadisti, rappresentati anche nel vertice politico e militare della giovane, ed estremamente instabile, Repubblica. Il rischio è, quindi, che ne venga contaminata pericolosamente anche l’Albania, che riveste un ruolo chiave nei delicati e periclitanti equilibri balcanici. Inoltre Tirana rappresenta anche una tappa fondamentale verso l’apertura alla stessa Turchia, che, con la strategia dell’attuale premier Davutoglu, sembra sempre più interessata a stringere le relazioni con i fratelli albanesi. Infine l’Albania è un tassello importante nella strategia di Bergoglio volta a rendere più distese le relazioni con il mondo ortodosso, che rischiano di venire compromesse dalla crisi Ucraina.
Andrea Marcigliano
Senior fellow
© RIPRODUZIONE RISERVATA