Non sarà la Cina a comprare titoli di Stato italiani, ma il contrario: è un po’ questo il dato più sorprendente che emerge dalla visita del ministro dell’Economia e delle Finanze Giovanni Tria nella Repubblica Popolare, da lui classificata come “molto positiva”: “in base agli obiettivi che l’avevano motivata, un successo”. Come ha ricordato il suo vice direttore generale Fabio Panetta, Bankitalia è tra le prime istituzioni in Europa a investire nel renminbi, dopo Bcee Bundesbank. “Un avvio di investimento molto cauto. È un mercato che conosciamo, ma su cui non abbiamo esperienza operativa. Ci sarà un portafoglio titoli acquistati direttamente dalla Banca d’Italia per una quantità contenuta in rapporto all’entità delle riserve, ma con un valore segnaletico importante”. Tria ha poi parlato della Belt and Road Initiative, e vari accordi sono stati siglati: tra Cassa depositi e prestitie Bank of China; tra Fincantierie China State Shipbuilding Corporation; tra Sname State Grid Corporation of China.
Ma sui retroscena di questa “opzione cinese” forse la persona più titolata per spiegare è Michele Geraci. Il palermitano 51enne che dalla posizione di docente di finanza in tre prestigiose università nell’area di Shangai si è ritrovato ora a fare il sottosegretario allo Sviluppo Economico nel governo Conte. Su di lui circola un aneddoto. Una volta che si trovava al ristorante cinese con un amico e si mise a fare appunto ordinazioni in cinese a un cameriere che alla fine confessò ammirato: “ma questo conosce il cinese meglio di me!”. “Ma no, non è vero!”, si schernisce Geraci. “Sì, so il cinese. Ma non benissimo”. Comunque, una rarità in un governo occidentale. “È vero, la difficoltà di accedere direttamente ai media cinesi spesso non permette di cogliere bene quel che accade in Cina. Così continuano certi stereotipo stile anni ’80 e anni ’90 sul Paese esportatore di merci di basso prezzo ma anche di bassa qualità, ormai non più corrispondente alla realtà”.
Potendo dunque accedere direttamente a fonti cinesi, cosa ci può dire sul modo in cui a Pechino vedono il governo di cui lei fa parte?“Secondo l’uso locale, non ci sono commenti ufficiali sugli affari interni di un paese straniero. Posso però dire dai miei contatti che c’è molto interesse e curiosità. Un interesse anche positivo, perché sanno bene che il mio ruolo può condurre a relazioni più strette”.
In passato però alcune componenti di questo governo hanno visto la Cina in modo non troppo favorevole. Era percepita soprattutto come fonte di dumping, anche sociale.“Che la Cina sia solita ricorrere anche a questo tipo di dumping può anche essere vero. Ma ciò non significa che non dobbiamo interessarci. Sia Salvini che Grillo da un paio di anni hanno infatti iniziato a interessarsi alla Cina senza preconcetti, e così è nato il rapporto con entrambi. Entrambi mi hanno chiesto: “cosa fa la Cina? Cosa sta succedendo? Spiegacelo un attimino”.
Forse è però il caso di insistere su questo punto. Indubbiamente i Cinque Stelle fecero anche un convegno con i Brics, ma la Lega presso i suoi elettori mantiene una immagine non dico anti-cinese, ma sicuramente ostile alla sempre maggior presenza commerciale ed economica della Cina in Occidente. Lei dice ufficialmente che non è più così e che anche la Lega punta sulla Cina?“La Cina ci farà molta concorrenza e ci saranno molte sfide a cui dovremmo prepararci a difenderci. È ovvio che l’imprenditore e il dirigente di aziende temono giustamente la concorrenza di una Cina i cui prodotti sono ormai di alto valore, ma continuano a essere di prezzo basso. La Cina non è più il paese che fa le magliettine e l’elettronica a basso costo. La Cina manda le sonde su Marte, fa 800 milioni di tonnellate di acciaio, fa 35 milioni di auto elettriche, è all’avanguardia sullo sviluppo della fisica quantistica. È giusta la preoccupazione, però questa preoccupazione non può essere solo sul piano del ‘difendiamoci’. Bisogna invece cogliere quella gran quantità di opportunità che pure si offrono, e che finora ci siamo lasciati in gran parte sfuggire”.
Ad esempio? “Dobbiamo favorire quelle imprese cinesi che portino in Italia aumento di capitale, nuovi posti di lavoro, e accesso al mercato cinese dei prodotti delle aziende che sono state oggetto dell’acquisizione. E c’è anche la grande opportunità di investire assieme in Africa, dove la Cina ha messo 300 miliardi di dollari negli ultimi 10 anni”.
E dove Xi Jinping è poco fa andato in visita in occasione dei Brics. Ma il Brics è ancora una realtà importante? “Direi di no. Sono paesi che non hanno praticamente nulla in comune gli uni con gli altri, e che è anche poco utile mettere assieme. Il vertice dell’organizzazione che si riunisce una volta all’anno è un evento mediatico, ma poco più”.
Chi sono i cinesi che potrebbero venire in Italia?“Fare i nomi è inutile. Sottolineo solo che la Cina è il paese che ha il sistema di infrastrutture più sviluppato al mobndo. Trasporti, porti, ferrovie, linee aree. È stato questo uno dei principali motivi di successo del sistema economico, perché hanno speso in infrastrutture ed hanno creato quella mobilità della popolazione e quella crescita economica. Quindi questo è un campo cui dobbiamo guardare con attenzione”.
Uscendo dal discorso cinese, lei è un economista che da tempo sostiene la piena compatibilità tra reddito di cittadinanza e Flat Tax.“Si sostengono a vicenda, Da una parte, in Italia le aziende non trovano i giovani e i giovani non trovano lavoro. Dall’altra, uno degli asset principali che ha l’Italia è quello legato al nostro patrimonio culturale, Il reddito di cittadinanza non è un sussidio ai fannulloni, ma un modo per permettere ai giovani di dedicarsi alle attività a cui sono propensi. Non è possibile che tutti vogliano fare ingegneria e finanza, svuotando quegli studi e lavori umanistici che sono alla base della forza competitiva del nostro paese. La Flat Tax nel contempo serve a attirare investimenti stranieri. Quindi la Flat Tax lavora sul lato dell’offerta di lavoro, il reddito di cittadinanza lavora sul lato dello sviluppo delle capacità di chi cerca lavoro.
E secondo lei sarebbe finanziabile?“Si tratta di un concetto che ho appunto appreso in Cina, che quando è in crisi fa investimenti e riprende alla grande, tornando a crescere a livelli dell’8-9 per cento all’anno”.
Maurizio Stefanini
Giornalista e scrittore de “Il Foglio” e “Libero”