Vi è un aspetto della crisi Ucraina che sembra sfuggire – per lo meno sottaciuta – sui grandi media occidentali. È il conflitto, sordo e latente, per il controllo del Polo Nord. Un conflitto che vede coinvolte, in primo luogo, le due Grandi Potenze, Stati Uniti e Russia, ma che coinvolge anche gli altri paesi che possono, in base ai trattati internazionali, rivendicare diritti sulla regione polare: Canada, Norvegia, Danimarca. Il Polo Nord da tempo non è più solo una regione di interesse per la ricerca scientifica, visto che vi sono stati individuati grandi giacimenti di combustibili fossili, gas e petrolio, ancora tutti da sfruttare. Giacimenti che, secondo le previsioni, dovrebbero rappresentare circa il 13% del totale mondiale. Inoltre la fase di riscaldamento globale che il nostro pianeta sta attraversando rende, prevedibilmente, più facile e meno costoso avviare l’estrazione sistematica di queste risorse.
Tant’è vero che la ExxonMobil statunitense e la Rosneff russa hanno da tempo siglato degli accordi per lo sfruttamento congiunto della regione polare. Tuttavia i motivi di contrasto sembrano essere maggiori delle convergenze, e da qualche tempo Washington appare molto preoccupata per l’intenzione di Mosca di cominciare a sfruttare i giacimenti nella regione sud-orientale del Mare di Barents, cui sarebbe interessata anche la Cina. È possibile, quindi, valutare in una diversa ottica le manovre militari congiunte della NATO dei prossimi giorni e l’intenzione dichiarata dall’Alleanza Atlantica di stabilire nuove basi nei paesi che si affacciano sul Baltico. Più che a difendere Polonia e Paesi Baltici dai rischi di una, ipotetica, aggressione russa, queste dovrebbero servire a presidiare l’area petrolifera, inibendo la penetrazione di Mosca nella regione.
Senior fellow de “Il Nodo di Gordio”
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