L’Accordo sul Nucleare, la nuova frontiera iraniana
Dopo otto anni di crescenti tensioni, ispide minacce e dichiarazioni allarmanti, lo Stato Iraniano, per mezzo del suo nuovo Presidente moderato, tende la mano al Mondo e firma un accordo storico sul nucleare che impegnerà il suo Paese per i prossimi sei mesi. L’intesa raggiunta dopo quattro giornate di intensi negoziati a Ginevra, a cui hanno partecipato Stati Uniti, Gran Bretagna, Russia, Francia e Germania, prevede l’impegno da parte iraniana a stabilire al 5% la soglia massima dell’uranio destinato all’arricchimento, neutralizzare le riserve di uranio già arricchito al 20% convertendolo in ossido non utilizzabile per scopi militari o miscelandolo con uranio naturale, limitare nel numero e nella capacità le centrifughe in proprio possesso e fermare l’impianto di acqua pesante di Arak. Quale mezzo di verifica del pieno adempimento iraniano, l’accordo stabilisce un minuzioso sistema di accertamento affidato all’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, comprendendo non solo accessi quotidiani ed ispezioni ad impianti e reattori, ma anche alle miniere e ai giacimenti di uranio. A fare da corrispettivo alle concessioni iraniane, il vincolo delle Controparti ad allentare la morsa delle sanzioni economiche imposte alla Repubblica Islamica.
In tal senso l’intesa accorda, per tutta la durata semestrale del patto, l’impegno dei Paesi parte a non imporre nuove sanzioni con riferimento al piano nucleare iraniano, e allo stesso tempo sancisce l’eliminazione di quelle sugli scambi in oro e metalli preziosi, quelle relative al settore automobilistico e quelle sulle esportazioni petrolchimiche. Un risultato certamente considerevole, un do-ut-des apparentemente soddisfacente per i due schieramenti al tavolo ginevrino. Una svolta storica che tuttavia cela non poche zone grigie e che, proprio per questo, rimanda con ambizione ad un nuovo accordo allo scadere dei sei mesi di effetto del presente patto.
In questo rinnovato panorama diplomatico si inquadrano le differenti chiavi di lettura che i due schieramenti sembrano dare alle questioni cardine dell’accordo: la capacità iraniana di proseguire con il processo di impoverimento dell’uranio e le sanzioni. Da un lato, il Presidente Rohani, ha presentato al suo Paese e al mondo intero l’accordo raggiunto a Ginevra come una piena vittoria della diplomazia iraniana. Un approccio pragmatico che non solo ha riportato l’Iran al dialogo internazionale, ma ha anche garantito al Governo un semestre di sollievo dalle pressioni mondiali sulla già fragilissima economia interna, sollievo grazie al quale si potrà lavorare più serenamente per fronteggiare l’incredibile tasso d’inflazione, la pesante recessione e l’alto livello di disoccupazione che affliggono la Repubblica Islamica.
Non ultimo, la manovra iraniana, pur offrendo diverse concessioni al tavolo dei negoziati, è riuscita a guadagnare un risultato di tutto rilievo che, per quanto non espressamente sancito dal testo dell’accordo, si ricava in via indiretta quale diritto de-facto. Nello specifico la vera vittoria iraniana consiste nell’aver ottenuto il riconoscimento da parte delle Potenze Mondiali al diritto di persistere con il processo di arricchimento dell’uranio. Un diritto mai riconosciuto ufficialmente da nessuna delle controparti, ma che tuttavia trova la sua ragion d’essere nelle previsioni dell’intesa che fissano limiti massimi di uranio arricchito senza per questo vietarne il procedimento. Un diritto indiretto che quindi, per i sei mesi che verranno, consentirà all’Iran di procedere con lo sviluppo nucleare nazionale sebbene per i dichiarati scopi civili.
Di contro, l’approccio degli Stati Uniti e delle altre parti, fermi su una posizione di cauto ottimismo riguardo la reale volontà iraniana di arrivare ad un nuovo e più significativo accordo, in grado questa volta di contenere in maniera efficace le ambizioni nucleari della Repubblica Islamica. Inoltre, non mancano i dubbi rispetto lo stesso accordo appena raggiunto. A prescindere dal diritto de-facto di perseguimento nel processo di arricchimento dell’uranio che l’intesa lascia all’Iran, in concreto l’accordo ginevrino non intacca l’infrastruttura nucleare iraniana, lasciandone intatta la capacità ed il potenziale. Ne deriva che il pericolo di una bomba nucleare made in Iran sembra tutt’altro che scongiurato poiché a queste condizioni, l’attuale o futuro Governo a Teheran potrà decidere di riprendere in qualsiasi momento il programma nucleare nazionale non più solo per scopi civili. Sul piano delle sanzioni poi, la questione non è certo meno complessa. Se è vero che quanto previsto nel testo dell’accordo riduce di un certo grado le sanzioni imposte a livello internazionale sullo Stato iraniano, è altrettanto vero che le sanzioni sulle transazioni bancarie e sul petrolio permangono, determinando comunque nei prossimi sei mesi una perdita netta di circa US$ 30 miliardi del reddito nazionale iraniano.
Lecito a questo punto interrogarsi sulle effettive conseguenze di quello che è stato universalmente definito nel bene e nel male un Patto Storico, sia questo a voler intendere «un primo passo per un Mondo più sicuro» secondo la definizione del Segretario di Stato statunitense John Kerry, sia a volerlo paragonare ad uno «storico errore» come è stato al contrario bollato dal Governo israeliano. Nell’immediato, l’accordo è stato accolto con generale e misurato entusiasmo. Se in patria la notizia è stata acclamata come un segno di uscita dall’isolamento tanto economico quanto politico, a livello internazionale la percezione di un’alleviamento della tensione e l’ipotesi di un allontanamento di un conflitto con l’interlocutore iraniano hanno non solo ridato entusiasmo alle diplomazie, ma hanno anche convinto i mercati facendo scendere il prezzo del petrolio ed indebolendo le quotazioni dell’oro.
Quali le conseguenze nel lungo periodo è però ben altra cosa. Si prospetta in primo luogo il legittimo timore per una minaccia nucleare iraniana comunque non neutralizzata. In seguito, se un nuovo futuro accordo dovesse portare all’eliminazione anche delle sanzioni sul petrolio iraniano, che attualmente rappresenta la quarta riserva al mondo, le conseguenze sul prezzo mondiale del barile sarebbero notevoli andando ad intaccare l’economia di altri Paesi nell’area – prima fra tutti l’Arabia Saudita – con potenziali nuovi motivi di tensione interregionale. In ultimo, come sottolineato dall’analista in studi strategici e relazioni internazionali statunitense John Hulsman, un Iran in qualche modo recuperato dalla Comunità Internazionale, tramite questo e gli eventuali successivi accordi, sortirà l’effetto di ridurre l’importanza della crisi dell’intera regione mediorientale, consentendo in particolar modo agli Stati Uniti di spostare con più sicurezza la propria attenzione ed i propri interessi verso l’Asia, «il futuro dell’economia mondiale».
In definitiva, la questione iraniana sembra presentarsi come una questione tutt’altro che chiusa. Serviranno ancora manovre come quella ginevrina e allo stesso tempo manovre sul piano interno, ma come ha affermato il Presidente del Council on Foreign Relations Richard Haass, «cambiamenti di questo genere necessitano di buone dosi di tempo, ed è esattamente tempo quanto questo accordo di sei mesi intende offrire».
Matteo Marsini
Esperto di Diritto e Relazioni Internazionali