Il recente discorso reso pubblico dal successore di Bin Laden alla guida di Al Qaeda, il dottor Al-Zawahiri, è stato analizzato e commentato nelle ottiche più disparate, ora mettendo l’accento sull’ennesima “scomunica” del Califfato di al-Baghdadi – con il quale perdura e va intensificandosi la contesa per la leadership del jihadismo radicale – ora, invece, sottolineando come il leader Qaedista indichi comunque come principale avversario i “Crociati” occidentali.
Differenti letture non di secondaria importanza, visto che, dalla prima, deriva l’idea – ma sarebbe forse meglio dire il sogno – di giocare sullo scontro fra Al Qaeda e l’IS per depotenziare la minaccia in Siria ed Iraq. Idea che, al di là delle divagazioni giornalistiche, sembra trovare consenso nell’Amministrazione statunitense, la cui strategia, negli anni di Obama, ha sempre mirato a far combattere ad “altri” le proprie guerre, evitando così l’oneroso – ed inviso all’opinione pubblica interna – coinvolgimento di truppe USA nei teatri di crisi.
Dall’altro lato, però, tutti quelli, Israele in testa, che considerano Al-Zawahiri e Al-Baghdadi alla stregua della padella e la brace, e che temono alleanze tattiche fra i due movimenti in specifici teatri. Come potrebbe facilmente avvenire in Siria, dove un accordo fra le milizie del Califfato e quelle del Fronte Al-Nusra – fedeli ad Al Qaeda – potrebbe portare al disastro, visto che i due gruppi, insieme, finirebbero per controllare oltre il 60% del territorio.
In effetti, la storia dei movimenti jihadisti – e, per altro, la stessa storia dell’Islam nel suo complesso – sembra dare ragione ai pessimisti e torto ad Obama e sodali: i gruppi radicali islamici identificano, sempre e comunque, il primo nemico/obiettivo nel Satana Occidentale e, in seconda istanza, negli “eretici” sciiti. E tendono a far blocco contro il nemico esterno, per poi procedere solo successivamente ad un regolamento di conti interno.
Proprio queste considerazioni dimostrano come abbia avuto ragione il premier italiano Renzi a chiamarsi fuori dall’intervento in Siria annunciato da Francia e Gran Bretagna. Una prudenza motivata dall’assenza di un progetto politico sensato è praticabile. Infatti i fantomatici “ribelli siriani” democratici che combatterebbero sia contro l’IS, sia contro i fedeli del regime di Assad sono mera leggenda. Se mai pure esistiti, sono stati ormai completamente debellati e resi ininfluenti, come dimostra la massiccia fuga dei profughi siriani appartenenti alle classi medie, più colte ed occidentalizzate, cui stiamo assistendo da qualche mese.
Ormai la partita interna in Siria si gioca a tre: Assad, il Califfo e i qaedisti di Al-Nusra. Intervenire alla cieca sarebbe dunque folle, un errore paragonabile a quello che fecero francesi e britannici in Libia, causando il disastro che abbiamo sotto gli occhi. È dunque necessario, prima dell’opzione militare, costruire un preciso progetto per il futuro assetto della Siria, e questo passa necessariamente attraverso un accordo con Teheran e Mosca che appoggiano Assad. E l’accordo con Putin è qualcosa che preoccupa molto Obama, Re Tentenna che sa ciò che non vuole, ma non sa ciò che vuole. E che con la sua ambigua politica è stato uno dei responsabili del disastro del Maghreb e del Medio Oriente.
Andrea Marcigliano Senior fellow
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