Attraverso le riflessioni di Ernesto Ferlenghi, Presidente di Confindustria Russia e Copresidente del Forum Dialogo Italo-Russo della Società Civile, in quest’intervista in due puntate di Rodolfo Maria Salvi, Junior Fellow “Il Nodo di Gordio”, si analizzano l’impatto del Coronavirus nell’economia russa, lo sviluppo dei rapporti imprenditoriali italo-russi e il futuro degli equilibri geopolitici ed industriali della Russia post pandemia.
La Russia sta vivendo una recrudescenza nei contagi da Coronavirus, che hanno superato quota 500 mila. Che misure sono state adottate dal Governo Federale e quali saranno le ripercussioni nell’economia russa?
L’epidemia di Coronavirus sta impattando significativamente nel paese e il numero di contagi è allarmante, tuttavia bisogna notare un elemento di positività nella bassa mortalità riscontrata. La Russia ha avuto il vantaggio di essere colpita un mese e mezzo dopo la diffusione in Europa, permettendo di agire in anticipo con la costruzione di ospedali da campo, attraverso un’assistenza domestica capillare e rallentando la diffusione attraverso un sistema di tracciamento dei contagiati. Le città maggiormente colpite sono le metropoli come Mosca, città da 13 milioni di persone, dove è stato difficile attuare un lockdown totale, basti pensare che la sola metropolitana della capitale serve più di 7 milioni passeggeri al giorno.
Vista la vastità e le differenti caratteristiche nella Federazione Russa, la gestione della pandemia è stata delegata ai vari governi regionali, attraverso una cabina di regia e conferenze streaming tra Putin, i ministri e i governatori. Le prime misure anticrisi attuate sono fortemente sociali con sussidi per chi ha perso il lavoro, per le famiglie con bambini e compensazioni per i pensionati.
A livello economico, la crisi attuale è la quarta che colpisce pesantemente la Russia dal 1998. Sulla base dell’esperienze pregresse, il governo era preparato ad affrontare nuove congiunture negative con resilienza facendo forza sul basso debito pubblico (15% del PIL) e sul fondo di stabilizzazione per le emergenze con una dotazione di circa 170 miliardi di dollari, creato nei momenti di alto prezzo del petrolio. Grazie a questa dotazione di emergenza il governo potrà non solo sostenere le imprese russe che stanno subendo gli effetti della bassa domanda, ma anche promuovere un piano di ripresa basato sugli investimenti, iniettando liquidità e fiducia nell’economia reale. Il tessuto industriale russo è inoltre caratterizzato dalla bassa presenza di PMI, circa il 20%. Quindi salvare l’industria coincide in gran misura con il sostegno alle grandi aziende.
Sul lato dell’export, la pandemia rischia indirettamente di depauperare le entrate russe a causa del vertiginoso calo della domanda e del prezzo delle materie prime, gas e petrolio in primis. Ciò nonostante, la differenza tra esportazioni in dollari e costi interni sostenuti in rublo aiuta ad attutire gli effetti negativi. Bisogna notare che, a fronte di una svalutazione del 10%, il rublo ha retto bene nel mercato interno non presentando i tradizionali problemi di asintoticità e permettendo ai consumatori di mantenere in gran parte il precedente potere di acquisto. Questa caratteristica è dovuta alla minore dipendenza della Russia dall’importazione di materie prime e beni essenziali, una strategia di indipendenza sviluppata a seguito delle sanzioni occidentali del 2014.
Finanziariamente, il governo stima un crollo di -5% del Pil nel 2020 e una previsione di + 3.5% nel prossimo anno. Il budget federale si basa su un breakevena 42$/barile, il deficit corrente dovuto in gran parte alla crisi del settore petrolifero sarà coperto dal fondo di stabilità mentre ci si attende una ripresa del mercato energetico a partire dal prossimo anno. Il rilancio dell’economia interna si basa sullo stimolo dell’iniziativa imprenditoriale, incentivata dalla facile costituzione societaria e da una fiscalità agevolata. La tassazione è molto favorevole, soprattutto se comparata con gli standard europei, l’equivalente della partita iva paga in Russia tra il 4 e il 6%, l’imposta fiscale per i dipendenti è del 13% e le tasse sul profitto si attestano attorno al 25%. Da parte del governo, vi è una forte richiesta di operare attraverso società di diritto russo, pagando le imposte in rubli e senza limitazioni sulla riesportazione di capitali o dividendi.
Investimenti, fiducia e sostegni alla ripresa. Come si immagina l’economia russa da qui ai prossimi anni?
Oggi la vera sfida da affrontare è un salto nell’innovazione e nelle tecnologie. Sin dalle sanzioni del 2014, il governo russo ha deciso di risolvere la dipendenza della crescita interna dall’importazione di tecnologia occidentale. La politica industriale si basa sulla localizzazione degli investimenti per accrescere le competenze tecniche locali, attraverso i cosiddetti ‘progetti nazionali’, vengono stanziati 350 miliardi di € di investimenti infrastrutturali, digitali, energetici, tecnologici e strategici. In questa ottica si inserisce anche il recente piano nazionale di ripresa economica da 5 trilioni di rubli, presentato dal Primo Ministro Mishustin e che sarà attuato in tre fasi da giugno 2020 a dicembre 2021. In aggiunta ai ‘progetti nazionali’, la strategia anticrisi per la ripresa dell’occupazione e la crescita dei redditi prevede agevolazione per i finanziamenti, aiuti fiscali, investimenti infrastrutturali aggiuntivi, accelerazione dello sviluppo tecnologico e aumento della produttività. Le misure previste ricordano gli elementi di successo che hanno portato Mishustin alla guida del governo, come l’ottima gestione del fisco e l’aumento della digitalizzazione in Russia.
A livello imprenditoriale si ripropone un partenariato pubblico-privato, grazie al rientro agevolato di capitali russi dall’estero e ad incentivi fiscali che prevedono sino all’esenzione sul profitto per i primi dieci anni per quelle aziende che decidono di produrre localmente e nelle varie zone economiche speciali della federazione. Va precisato che la Russia non vuole incoraggiare la delocalizzazione di imprese occidentali, al contrario crede fortemente nella crescita del potere di acquisto e dei consumi e promuove le aziende che sono interessate ad un nuovo mercato a localizzarsi vicino al consumatore finale. Uno sviluppo “win-win”,dove la crescita della produzione e della domanda sono interconnesse. Le prospettive sono enormi e non limitate alla sola Russia. Il mercato di riferimento è quello eurasiatico, costituito attraverso l’accordo di libero scambio tra i cinque paesi aderenti all’Unione Economica Eurasiatica (EAEU): Bielorussia, Kazakistan, Russia, Armenia e Kirghizistan. Oggi qualunque prodotto, bene o servizio, può transitare liberamente tra i paesi membri, un’unione da 200 milioni di abitanti che sta interessando la partecipazione anche di altri paesi ex sovietici. Un elemento di novità politico, strategico ed economico per l’Europa, che può essere interessata ad un partenariato con un mercato vasto e dal forte potenziale di crescita, sia come potere di acquisto che nel numero consumatori. Con l’auspicio di un rinnovato confronto e dialogo tra UE, Russia e EAEU, facendo ripartire i colloqui istituzionali, ristabilendo le relazioni imprenditoriali positive e attive tra Europa e Russia sin dagli anni ‘50.
Nel prossimo mese e mezzo verranno presentate proposte per modificare i progetti nazionali e vi saranno aggiustamenti nel piano nazionale di rilancio economico, come Confindustria abbiamo accolto positivamente queste iniziative che rappresentano un volano per il rilancio economico ed imprenditoriale della Russia. A tal fine, stiamo cercando di far riconoscere uno stato di accessibilità e limitare la discriminazione per le società russe a capitale di maggioranza o totale straniero, che al momento non possono beneficiare dei sostegni economici governativi anti-pandemia.
A proposito della presenza imprenditoriale italiana in Russia. Quali sono le principali problematiche che le aziende incontrano e come rafforzare la nostra presenza?
Sin dagli anni 60’, le relazioni italo-russe sono caratterizzate da uno rapporto virtuoso nato sul modello della FIAT e di ENI. A livello istituzionale, abbiamo forse il record di visite bilaterali a sottolineare una forte vicinanza politica e culturale. Non a caso, Putin non ha indugiato ad inviare medici e materiali a sostegno dell’Italia nelle fasi più buie dell’epidemia. Un elemento di problematicità è tuttavia la nostra predisposizione all’esportazione, un tema tutto italiano dove siamo virtuosi e che rappresenta il 30% del PIL. Un fattore di sviluppo quando l’economia internazionale traina la crescita, ma di penalizzazione nei momenti di recessione globale. Tale modello ha avuto una flessione del 27% circa negli ultimi anni, e peggiorerà nell’anno corrente.
Nei rapporti con la Russia, l’interscambio crollerà non solo per la diminuzione degli scambi ma anche per il basso costo del petrolio che caratterizza l’ammontare totale. Tuttavia, nei periodi di crisi le aziende italiane non hanno mai abbandonato la Russia, rinvestendo persino nel mercato come nel caso recente della Barilla.
Il problema attuale per le imprese italiane è l’andamento asintotico della domanda interna, caratteristica comune a tutti i paesi dell’EAEU.
In Russia operano circa 450 le aziende italiane, poche se paragonate alle 5mila di nazionalità tedesca; il dato è persino peggiore se consideriamo quelle presenti con joint venture, 50 con partecipazione italiana a fronte di 3mila russo-tedesche. Va rivisto il modello di internazionalizzazione italiano, aumentando le partecipate localizzate che producono alto valore aggiunto e competitività. Nei settori economico, commerciale e strategico industriale viene premiata l’azienda straniera che entra sul mercato partecipando e condividendo i rischi: il partner estero mette il know how, il russo la quota di mercato. È penalizzante concorrere con società di diritto straniero rispetto a quelle costituite in Russia, anche a maggioranza estera. Il futuro si basa sul passaggio da un modello di made in Italyad uno di made with Italy. Sono diversi gli strumenti di sostegno per incentivare tale transizione, tra cui di rilievo è l’accordo tra CDP e il fondo di investimento russo (RDIF) da 300 milioni di € siglato lo scorso anno durante la visita del Presidente Putin in Italia. Il 19 giugno Confindustria Russia organizza una presentazione di questo fondo in formato di video conferenza per gli imprenditori italiani e russi con la partecipazione di CDP e RDIF.
Questi traguardi sono il frutto del coordinamento che abbiamo con l’Ambasciata d’Italia in Russia, che svolge un ruolo attivo di supporto, e grazie al sostegno di SIMES e SACE, la quale ha più di tre miliardi vincolati nel mercato russo. È importante riconquistare quote di mercato con politiche di promozione del nostro made in Italy strutturate in modo organico. È finito il tempo delle generiche missioni imprenditoriali nelle regioni russe, il mercato locale va studiato analizzando dinamiche e opportunità. Bisogna diventare i migliori competitor e il benchmark di riferimento è quello dei tedeschi, francesi e cinesi. Abbiamo bisogno di un fondo per la creazione di un team misto italo-russo, di 5/10 specialisti, per analizzare i piani di investimento federali, i settori e le strategie rilevanti in termini di crescita. In coordinamento con l’ICE e l’Ambasciata italiana, si può così identificare dove e come portare le aziende italiane ad investire, superando la logica del B2B attraverso la creazione di una rete di impresa. Identificato l’investimento, si selezionano le migliori imprese del tessuto industriale italiano e si propone un sistema omogeneo, che si presenta nel mercato russo assieme alle banche, alla CDP, con un pacchetto completo che ispiri fiducia e professionalità. È necessario dare alle aziende gli strumenti di cui hanno bisogno nell’analisi del mercato, dove le PMI da sole restano smarrite ed impotenti. Un mercato che sono convinto tornerà a crescere, assieme alla crescita del prezzo del petrolio ma anche con un nuovo modello di globalizzazione. Vi è una forte riconsiderazione del modello di sviluppo in Russia, con centralità nell’impulso interno e nella futura crescita dell’EAEU. Oggi il paradigma dominante è quello dell’autosufficienza tecnologica nei settori agroalimentare, digitale, spaziale, infrastrutturale, ecc.. (FINE PRIMA PARTE).
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