Basta uno zero virgola in positivo del Pil per far gridare agli analisti finanziari che la recessione in Europa è finita. Uno zero virgola che, per l’Italia, è inferiore alla media continentale. Ma gli ordini di scuderia, per l’informazione, sono quelli: esaltare il successo europeo, la ripresa a prescindere dai dati. E se il rimbalzo tocca solo l’industria, mentre il terziario arranca, non importa.
D’altronde una tabella pubblicata da uno dei quotidiani allineati evidenziava la crisi dei Paesi Bric a fronte del rilancio europeo. Da notare che i Brics hanno persola “S”: il bluff politicamente corretto di aver inserito anche il Sudafrica pare non reggere più. Restano Brasile, Russia, India e Cina. Tutti davvero in crisi? Secondo gli analisti sì. Peccato che ognuno di questi Paesi registri una crescita superiore a quella europea.
Ma al di là della retorica e delle analisi di comodo, è vero che i Paesi Bric stanno rallentando la loro crescita. E questo potrebbe avere ripercussioni anche gravi sia a livello interno sia sul fronte internazionale. Interno, innanzi tutto. Perché Pechino, per fare l’esempio più preoccupante, ha bisogno di una crescita annuale vicina al 10% per mantenere tranquilla una popolazione che dimostra sempre più spesso segnali di nervosismo. I livelli salariali si sono alzati, e di molto, in Cina. Ma il rallentamento mette a rischio il futuro lavorativo proprio della fascia emergente della popolazione: laureati, tecnici specializzati, professionisti. In pratica la nuova borghesia.
La Cina, però, rischia di diventare un grande problema per l’economia internazionale. Per i Paesi come la Russia – secondo gli analisti – perché Pechino sta rallentando l’acquisto di gas, petrolio, materie prime in genere. Dunque Mosca vede ridursi l’export, con problemi di bilancia commerciale e ricadute sugli investimenti interni. Ma caleranno i prezzi anche delle materie prime in arrivo dalla Mongolia, dal Myanmar, dall’Indonesia. Quel che gli analisti, però, fingono di ignorare, è che i cinesi stanno cominciando a ridurre anche l’acquisto di prodotti finiti occidentali. Dalle auto all’abbigliamento, all’agroalimentare comincia ad imporsi uno stile locale, cinese. Qualche grande catena occidentale si supermercati sta pensando alla chiusura o, comunque, ad un ridimensionamento della presenza.
Può resistere l’Italia, a patto di metter fine ad una politica di povertà e sobrietà che distrugge l’immagine dell’Italian lifestyle.
Quanto agli altri Paesi Bric, la Russia è alle prese con il “rischio Cina” ma anche con l’insufficienza di investimenti per rafforzare la propria industria non legata a gas e petrolio. Inoltre Mosca paga, sempre più a caro prezzo, la totale incapacità nell’ambito del soft power. Non investe sulla comunicazione e sull’immagine all’estero e le grandi manifestazioni sportive – come i Mondiali di atletica – diventano un autogoal poiché vengono sfruttati dai media al servizio di altri interessi per distruggere l’immagine della Russia. Attacchi mediatici per il poco pubblico allo stadio, attacchi contro gli atleti russi, attacchi alla politica sportiva russa con insinuazioni sul doping. Risposte? Nessuna. Un errore gravissimo che rischia di essere pagato molto caro.
Anche il Brasile sta attraversano una fase di grandi difficoltà. Spese faraoniche per Olimpiadi e Mondiali di calcio, mentre la povertà non frena e le favelas son sempre lì a rappresentare un atto di accusa. Ma è l’intera America del Sud ad affrontare problemi economici, provocati sia dal rallentamento cinese – con calo dell’export di materie prime e con caduta dei prezzi – sia dall’offensiva del Fmi contro i Paesi che stanno cercando di ribellarsi al potere economico mondiale per riconquistare una propria autonomia. Brasilia sta pensando ora ad un accordo del Mercosur con l’Unione Europea, ridando fiato e speranze all’intera area. Infine l’India. Che, in questa fase, è il Paese che va meglio tra i 4 Bric. Ma, comunque, con una crescita modesta ed insufficiente per portare il Paese ad un livello di sicurezza sociale. Anche perché l’India non riesce a trasformarsi in una locomotiva economica ed in un faro politico per l’intera area. E questo rappresenta un grande freno per l’espansione ed il rafforzamento del Paese.
Questo vale anche per la Russia. Che cerca di ritrovare un ruolo da super potenza, che cerca di conservare le posizioni nel Mediterraneo (in Siria) e magari di rafforzarle. Ma con l’incapacità di incidere a livello di soft power non riesce neppure ad approfittare appieno delle potenzialità, enormi, in Asia Centrale.