Il 9 maggio di 43 anni fa veniva ritrovato nel bagagliaio di una Renault 4 rossa in via Caetani a Roma il cadavere di Aldo Moro. Il Presidente della Democrazia Cristiana era stato rapito 55 giorni prima e la sua scorta era stata assassinata in un’assembratissima via Fani il 16 marzo. Ci vuole qualche giorno per superare la cortina fumogena delle commemorazioni di regime su un avvenimento che è stato una vera e propria cartina di tornasole di storia italiana e fissare alcuni punti fermi. Il primo che Aldo Moro non era un outsider ma il Presidente della DC, di cui aveva difeso in Parlamento l’anno prima sul caso Lockheed la legittimità a governare ed alla cui storia apparteneva con orgoglio.
Il secondo che la sua morte fu accelerata in coincidenza con la disponibilità di Fanfani a portare proprio il 9 maggio alla Direzione democristiana quel gesto di clemenza nei confronti di un terrorista che avrebbe dovuto sbloccare la trattativa per la sua liberazione. Terzo che la famiglia dello statista democristiano dimostrerà pubblicamente la sua riconoscenza a Craxi, che si guarderà dallo sfruttarne la risonanza, alfiere del “partito della trattativa” contro quello della “fermezza”. Trattativa condotta poi tre anni dopo senza remora alcuna per la liberazione dell’assessore campano Ciro Cirillo. Non si è mai capito perché allora non fu perseguita con eguale determinazione per quello che doveva essere nella vulgata berlingueriana l’altro indispensabile partner del compromesso storico. O no?
La Redazione
© RIPRODUZIONE RISERVATA