Niente golpe sudamericani: l’eversione democratica no-vax e no-pass passa per una lenta erosione delle istituzioni democratiche. Così esordisce un noto (boh?) criminologo, allertando il nostro riflesso pavloviano addormentato in difesa delle istituzioni democratiche (riboh?). Mamma mia, proprio non ci avevamo pensato, noi che abbiamo attraversato gli anni settanta in corteo, il primo fu quello per i braccianti uccisi ad Avola nell’autunno del 68, il primo sciopero di quel Liceo Classico, noi che nel settembre 76 abbiamo commemorato Mao Tze Tung, noi che il 7 aprile del 77 abbiamo difeso pubblicamente e con tanto di firma il diritto dell’Autonomia operaia ad esistere, noi che siamo stati in piazza ogni 12 dicembre, noi che abbiamo promosso il referendum sulla responsabilità civile dei magistrati, insieme a quello contro il nucleare dopo Chernobyl, vinto in modo quasi bulgaro in nome del popolo italiano per essere poi disatteso e beccarci Mani Pulite, noi che siamo ancora davanti al Raphael a pigliarci in faccia le monetine dei seguaci di Occhetto
e Buontempo, noi che abbiamo fatto un mare di errori ma che del fiume di rubli arrivato dai Soviet al PCI fino almeno al 1991 – Stepankov docet – forse abbiamo visto qualche rivolo rinsecchito, forse. Noi che eravamo rimasti, ci perdonerà, al Leviatano ed all’homo homini lupus di Hobbes dal cui diritto positivo ci sentivamo protetti dal diritto naturale proclamato da Antigone contro Creonte, il ribellarsi è giusto della coscienza individuale contro la polis cadmea. Ed anche a Saul di Tarso, in arte San Paolo, prima che arrivasse Spadaro, Antonio non Odoardo che riposa alle Porte Sante sul viale dei colli a Firenze, quello della Civiltà Cattolica. Ma si sa i Gesuiti a forza di frequentare per lavoro il pensiero cosiddetto liberale si sono inevitabilmente infarinati e grazie al nuovo patto costantiniano tra Stato e Chiesa procurato dal Covid sono diventati attorcigliate colonne di sale del capitalismo di sorveglianza. Un po’ come il KGB e la CIA che hanno finito per somigliarsi in toto, a Berlino come a Comiso, e si sa chi si assomiglia si piglia. Noi che abbiamo abboccato o forse no alla favola della democrazia dell’alternanza per ritrovarci alla fine con un commissariamento, unico in Europa, della Repubblica parlamentare.
Intendiamoci, noi che siamo stati vaccinati, questo sì veramente, con i colcos e lo stalinismo ed abbiamo imparato da Tachai e dal metà studio metà lavoro della rivoluzione culturale della Rossanda e di Karol, è difficile che si possa ancora innamorarci. Noi che non ci caschiamo più e forse è un peccato perché quegli innamoramenti di gioventù, quell’equilibrio fondato sulla deterrenza atomica, produssero, eterogenesi dei fini, una grande storia di libertà e di emancipazione del Lavoro di cui andiamo orgogliosi e ci meraviglia leggere di presunti liberal, ne abbiamo letti ahimè, inneggianti niente meno che a Bava Beccaris, altro che Bertolucci e Novecento! Noi che non abbiamo creduto mai a Beppe Grillo, affezionati alle sezioni fumose per niente cool dei partiti e del sindacato che tornavi a casa e dovevi esporre fuori il loden affumicato, noi che rifiutiamo i talk show e i social degli apprendisti stregoni della pseudo politica e della falsa neutralità scientifica ed ogni tanto sbirciamo le copie ingiallite di Medicina Democratica, Psichiatria Democratica, mettiamoci pure Magistratura Democratica e ci esaltiamo a leggere il Fofi di Quaderni Piacentini che preferisce l’Ultimo tango a Zagarol all’omonimo di Parigi, noi che continuiamo a preferire Keynes e financo La Pira al neoliberismo di Hayeck e di Milton Friedman, noi che abbiamo girato con la Lambretta 125-special con due cartelli ai lati che reclamavano libertà per Praga quando Draghi studiava diligentemente alla Sapienza e chissà che avrebbe pensato Caffè della Goldman&Sachs, beh noi non ce la facciamo ad unirci al coro dei benpensanti che dalle colonne di carta che non legge più nessuno, esaltano la linea della fermezza e del no con pretestuosi ed improbabili ragionamenti che farebbero orrore all’austero, lui davvero, Schäuble.
Noi che un tempo avremmo detto e lo ribadiamo oggi che la libertà è un valore non negoziabile, noi che gridavamo all’MSI fuorilegge ed al fanfascismo con la DC che occhieggiava sorniona agli opposti estremismi, noi che dopo la Biennale del dissenso di Ripa di Meana abbiamo affermato una libertà della classe operaia diversa e più profonda di quella che poi Gorbacëv avrebbe tradotto nel disfacimento post-comunista, la cui unica way out è stato Putin e di questo non siamo nè pentiti nè dissociati, noi che cerchiamo di cogliere gli elementi sociali positivi di un processo di transizione convulso separandoli dalle prospettive distopiche che sembrano prevalere. Non ci fanno paura i movimenti e la loro complessa, mai ingenua e lineare identità lo sappiamo, ma i nuovi Fouché.
Ma è solo un caso che “la testa più forte che io conosca”, così lo descrisse Honorè de Balzac, sia morto a Trieste solo e abbandonato da tutti.
Le ragazze di Trieste cantan tutte con ardore…
La Redazione
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