Lunedì 1 aprile a Damasco è stato bombardato un edificio dell’ambasciata iraniana. Tra le vittime, il cui numero non trova ancora conferme ufficiali, risultano alti comandanti delle forze Al-Quds dell’Iran (il servizio militare e di intelligence del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche) e il generale Mohammad Reza Zahedi. Sullo sfondo la mai dichiarata aperta guerra israelo-iraniana. Teheran, come già dimostrato in passato, reagirà stando però attenta a non provocare un’ulteriore escalation.
Il blitz israeliano si inserisce in un contesto mediorientale in incandescenza e dalle prospettive incerte. L’uccisione di Zahedi va a colpire uno fra i maggiori responsabili delle operazioni dei pasdaran in Siria e in Libano, probabilmente il più grave assassinio di un leader iraniano dai tempi del generale Suleimani. Israele ha di fatto valicato ampiamente quelle linee rosse che gli apparati islamici hanno più volte tracciato. Da tempo Teheran gioca una partita improntata su attendismo e equilibrismo. Dopo aver “circondato” Israele, tramite i suoi agenti di prossimità in Libano, nella Striscia e in Siria, ha cercato di mantenere alta la pressione senza però mai arrivare ad un punto di non ritorno. Israele, dal canto suo, da tempo colpisce “chirurgicamente” l’intelligence iraniana dislocata in Medio Oriente con lo scopo di indebolire la parte operativa dei delegati della Repubblica Islamica. Diverse negli anni sono state le operazioni condotte dall’esercito e dai servizi segreti atte a diradare tale ragnatela.
Teheran sicuramente risponderà a questo attacco. Sfrutterà l’occasione concessagli dall’Asse della Resistenza, gruppo eterogeneo di clientes iraniani (milizie sciite e irachene, Jihad islamica, Hizbullah, Hamas, Huthi) dislocati dalla Repubblica Islamica fino allo Yemen, di premere indirettamente verso lo stato ebraico senza sfociare in un conflitto diretto.
Paolo Lolli
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